A proposito del rapporto tra Grecia e Russia

 

Ci vuole una bella faccia tosta per scandalizzarsi per il tentativo del governo Tsipras di ottenere qualche investimento della Russia e magari della Cina in Grecia. Prima di tutto perché molti paesi europei nel 2014 hanno accettato cospicui investimenti della Cina (nel 2014 18 miliardi di dollari, di cui 3,5 arrivati in Italia, che è al secondo posto subito dopo la Gran Bretagna con 5,1 miliardi), e nessuno ha obiettato. La Russia non è in grado di intervenire a questo livello, anche perché ostacolata dalle sanzioni e dal timore di ulteriori misure discriminatorie, ma è comunque strettamente legata alla Cina sia attraverso la partecipazione alla AIIB (Asian infrastructure investment bank, a cui hanno aderito un gran numero di paesi europei come Gran Bretagna, Germania, Francia Italia, ecc.) e alla NDB (New development bank) recentemente costituita con gli altri quattro BRICS.

Nessuno potrebbe seriamente contestare un eventuale afflusso di investimenti russi e cinesi in Grecia, tanto più in quanto già iniziato, senza che nessuno obiettasse, con i governi liberisti sotto tutela della trojka. Se viene denunciato oggi come rivelatore di un’irresponsabilità dell’attuale governo greco, è solo per tentare di bloccare una misura che, pur non essendo risolutiva, potrebbe dare un minimo di respiro alla Grecia sottoposta a un tentativo di strangolamento.

Diverso il problema nel dibattito interno a Syriza, che si era battuta contro le privatizzazioni, giustamente anche nel caso dell’acquisto di parte del Pireo da parte di una società di trasporti cinese. Ma oggi, dovendo, dati i rapporti di forza in Europa, ridimensionare in gran parte il programma su cui si è presentata alle elezioni e le ha vinte, dovrà fare delle scelte, e ha una certa logica in questo momento accettare queste privatizzazioni pur di avere un afflusso immediato di denaro che eviti o almeno rinvii il soffocamento totale, permettendo di mantenere almeno gli impegni minimi presi con la parte più povera della popolazione.

Tuttavia sarebbe da stolti illudersi che Russia e Cina garantiscano un trattamento generoso alla Grecia in nome di rivoluzioni ormai lontane e rinnegate (in Russia anche formalmente, in Cina nella pratica). Entrambi i paesi si riallacciano sempre più al loro passato prerivoluzionario, ed entrambi si muovono – con mezzi diversi –  per recuperare l’antica grandezza: nel caso della Russia i territori che le sono stati strappati in varia forma dopo il crollo del 1989-1991; nel caso della Cina ricercando di ricostruire in nuovo modo le antiche vie della seta che aveva perduto sotto i colpi dell’aggressione europea.

Ma guai a dimenticare che sono due paesi imperialisti che non fanno certo beneficenza. E che almeno per quanto riguarda la Russia ci sono precedenti inquietanti. L’impero zarista, a cui si richiama oggi Putin, ha ostentato spesso la sua protezione alla Grecia per la comune appartenenza religiosa, ma non ha rinunciato poi a usarla come moneta di scambio nei suoi rapporti con le altre potenze. E anche l’URSS staliniana nel 1944 abbandonò cinicamente la Grecia (che si era liberata da sola e voleva essere socialista) alla feroce riconquista britannica e poi statunitense, in cambio del via libera per la sua dominazione nel resto dei Balcani e dell’Europa Orientale. Su questo si veda qui. Meglio non dimenticarlo mai, come fanno invece alcuni nostalgici del “socialismo reale”.

Comunque, a proposito delle tante delusioni avute dalla Grecia nel suo rapporto con l’Europa, che ha sempre ritenuto di poterle imporre re e presidenti, ho pensato di allegare come appendice un breve articolo scritto un mese fa per il giornale Sinistra anticapitalista e che non avevo inserito sul sito finché il giornale era in distribuzione:

Appendice

L’Europa vista dalla Grecia

Un rapporto difficile quello tra la Grecia e l’Europa. Da sempre.

Affascinati dal sostegno di molti intellettuali europei, a partire dal più famoso di tutti, lord Byron, che morì a Missolungi nel 1824 durante la guerra di indipendenza, i greci hanno sempre guardato con speranza mal riposta gli europei che avevano fatto della loro causa una bandiera. Anche Beethoven aveva dedicato nel 1811 un pezzo a Le rovine di Atene (op. 113), in cui gli dei dell’Olimpo non riconoscevano più il loro popolo ridotto in schiavitù dai barbari (cioè dai turchi).  Quando ottennero l’indipendenza tra il 1827 e il 1830 i greci si accorsero subito che dietro poeti, scrittori e musicisti c’erano le cancellerie delle maggiori potenze europee, a partire dalla Russia che aveva inviato sul posto due suoi uomini politici di origine greca, Alessandro Ypsilanti e Giovanni Capodistria, come dirigenti del nuovo Stato. Ma, nonostante i 200.000 morti greci nella guerra di indipendenza, presto una troika formata da Russia, Inghilterra e Francia decise di imporre al paese un regime monarchico, proponendo prima un principe di Sassonia, che rifiutò, poi un giovanissimo principe di Baviera, che dopo la sua cacciata nel 1862, fu sostituito da un principe di Danimarca, cognato del principe di Galles, che divenne re col nome di Giorgio I e la cui dinastia resse fino al 1973.

Nel frattempo, con la guerra di Crimea la trojka si era scomposta, ma i greci avevano fatto l’errore di guardare con simpatia (per affinità religiosa e odio anti turco) proprio alla Russia sconfitta. Lo pagheranno caro, subendo vessazioni varie dalle potenze che la tutelavano: ad esempio fu costretta nel 1897 a rinunciare all’unione già realizzata con Creta. Senza allungare l’elenco delle umiliazioni subite dalla Grecia anche nel XX secolo, va detto che i suoi governanti dimostrarono una notevole capacità di cercare guai, sia impegnandosi attivamente nelle guerre balcaniche, sia e soprattutto attaccando la nuova Turchia nazionalista di Kemal per conto dell’Intesa nel primo dopoguerra, prendendo nel 1922 una batosta solenne, che lasciò alla Grecia il problema di sistemare un milione e mezzo di connazionali scacciati dalla Turchia.

Al tempo stesso la dinastia regnante era sempre più legata alla Germania, e incoraggiò l’avvicinamento del dittatore Metaxas alla Germania nazista e all’Italia fascista. Ma questa simpatia fu ricambiata dall’aggressione mussoliniana del 1940 (a cui la popolazione riuscì eroicamente a resistere) e poi da quella nazista del 1941, che ebbe maggior successo e si trascinò al seguito lo scalcinato esercito fascista. L’occupazione fece letteralmente morire di fame migliaia di greci, privati di tutto per sfamare gli eserciti occupanti. Al tempo stesso la Banca di Grecia dovette “prestare” alla Deutsche Bank tutto il suo oro, che non fu mai restituito e che ora viene rivendicato dal governo Tsipras. Ma anche l’Italia ha contratto un debito pesante con quelle due aggressioni.

Questa vicenda chiarisce meglio di ogni altra il rapporto della Grecia con i maggiori paesi europei: è un rapporto semicoloniale. Infatti dopo la conquista ogni potenza coloniale addebitava le sue spese di guerra al paese conquistato. Insomma, la Grecia, come anche l’Albania, si sentiva parte dell’Europa, ma era invece considerata quasi come una parte del mondo afroasiatico, un paese a cui si potevano imporre re o ministri, e anche vietare referendum, come si è visto ancora all’inizio di questa ultima crisi. La ragione principale è la debolezza strutturale della borghesia greca, che non è autonoma, è una "borghesia compradora", che fornisce servizi (trasporti marittimi) al grande capitale europeo e mondiale a cui è strettamente integrata ma non ha un ruolo trainante nell’economia del paese. La borghesia armatoriale più di quella italiana o di altri paesi europei vive e prospera grazie a condizioni di favore abnormi, come l’esenzione totale dalle tasse sancita formalmente dalla costituzione, e realizza i suoi affari in gran parte fuori del paese. Mentre la debole borghesia manifatturiera non a caso già nel secondo dopoguerra aveva mostrato di non avere i margini per un’operazione riformista come quella che nello stesso periodo aveva consentito alla borghesia italiana di ottenere la collaborazione del PCI alla restaurazione capitalista.

Oggi queste vicende sono lontane. Ma sembra che si riproducano in forma diversa. La grande novità rappresentata dalla vittoria di Syriza potrebbe concludersi con una sconfitta, per un errore di valutazione della situazione in Europa da parte di Tsipras e Varoufakis, che sembrano aver nutrito troppe illusioni sulla socialdemocrazia europea per costruire un’Europa diversa da quella attuale dominata dal grande capitale. La partita non è chiusa, perché Syriza è un’organizzazione militante e democratica, che controlla i dirigenti e ne corregge gli errori, ma è essenziale non lasciarla sola nella sua battaglia.

Antonio Moscato