Bertinotti e Bersani, accecati

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Bertinotti e Bersani, accecati

Fini (tutt’altro che al di sopra di ogni sospetto per molteplici ragioni, dall’uso familiare delle donazioni al suo partito alla ben più grave presenza a Genova nella sala di comando dei carabinieri durante i pestaggi del G8 del 2001) aveva escogitato un trucchetto per lasciare almeno per un altro decennio ad alcuni presidenti della camera, tra cui lui stesso, i privilegi di cui assurdamente finora godevano a vita. Appena è stato annunciata questa decisione, il solo Casini ha avuto il fiuto politico di rinunciare immediatamente al regalo scandaloso (comprensivo di appartamento a due passi dal parlamento, studio all’interno del palazzo, segretari ed auto di servizio…). Bertinotti, come Luciano Violante, ha subito dichiarato che sarebbe stata demagogia rinunciare unilateralmente al dono, e che si "atterrà, come sempre, a quello che ha deciso l’Istituzione"…

Che tristezza! Si può capire Irene Pivetti, che avendo smesso di far politica da lungo tempo (non è stata mai rieletta) perde il privilegio: protesta senza pudore. Ma la Pivetti non ha ambizioni politiche, non dovrà mai ripresentarsi davanti agli elettori. come è possibile che Bertinotti, che è anche un ex sindacalista, non capisca lo sdegno dei pensionati da 500 euro mensili o dei milioni di cassintegrati a zero ore, dei precari senza sostegno? Non si rende conto di come è assurdo delegare la decisione a un parlamento pieno di Scilipoti, Calearo e simili?

Ma è stato Bersani che ha completato il quadro dell’incoscienza di questo ceto politico: ha ribadito che bisogna fare pulizia, ma senza eliminare il contributo ai partiti (spacciato per rimborso elettorale), altrimenti si cadrebbe nel populismo… Evidentemente il PD, che è di fatto in gran parte dell’Italia un “partito” solo di nome, e in realtà è un comitato di notabili e di aspiranti tali, non riesce neppure a sentire l’indignazione del paese per lo sperpero di risorse per mantenere una pura finzione: il parlamento non decide praticamente niente.

Effettivamente aveva una logica la proposta fatta una volta da Berlusconi: risolvere tutti i problemi in una più economica riunione dei capigruppo… Paradossalmente poi Monti sta realizzando qualcosa del genere davvero, riunendo quando lo ritiene utile i tre segretari per consultazioni… Ma pur non avendo nessuna funzione, gli inutili parlamentari resistono attaccati tenacemente alla poltrona.

Quello che sfugge a Bersani, quando evoca lo spettro del “populismo”, e paventa un parlamento in mano ai miliardari (perché, ora non lo è?), è quanto danno ha fatto alla sinistra il sistema di retribuzione dell’attività politica. Non solo i parlamentari, o i consiglieri regionali, ma perfino i sindaci di grandi e medio-piccoli comuni hanno stipendi o indennità sproporzionate, e se le sono spesso aumentate o addirittura raddoppiate.

Anche nel PRC un gran numero di mediocri selezionati con criteri clientelari battagliava per non pagare i modesti contributi al partito, calcolati sulla sola indennità di base, e ovviamente si batteva con le unghie e con i denti per non perdere il posto ben retribuito alla successiva scadenza elettorale. Altro che rotazione! Già in DP Mario Capanna capeggiò una triste scissione di tutti quelli che avevano fatto due legislature e a norma di statuto non avrebbero potuto ripresentarsi…

Un po’ di storia…

Quando nel 1913 Giolitti introdusse insieme al suffragio universale (maschile) un’indennità parlamentare, lo scopo dichiarato era di assicurare la possibilità alle classi subalterne di eleggere i propri rappresentanti, ma di fatto puntava a inserire questi ultimi nel ceto politico staccandoli dalla loro base popolare.

Nel secondo dopoguerra il progetto è andato avanti a tutto spiano, e sono quindi aumentati – anche in quelli che si dicevano ancora partiti della classe operaia – gli aspiranti a una carica elettiva per ragioni tutt’altro che ideali. Per giunta già negli anni Sessanta era cominciato anche nel partito comunista qualche fenomeno di autoriduzione del contributo versato al partito. Se nell’immediato dopoguerra erano molti gli operai e i braccianti eletti, poi era cominciata la ricerca di nomi prestigiosi di professionisti, che recalcitravano di fronte al pagamento delle quote previste, asserendo di aver rinunciato a una brillante carriera di avvocato, ecc.

Nel PRC poi ho conosciuto diversi casi del genere, su cui si tendeva a stendere un velo di silenzio; ho anche assistito nella commissione del CPN che discuteva le Tesi congressuali a polemiche furibonde di alcuni deputati e senatori contro la proposta di aumentare un po’ i contributi o di calcolarli sulla retribuzione effettiva e non su quella di base, molto inferiore a quella reale.

Ridicolo raccontare che il contributo statale ai partiti servirebbe a consentire l’entrata di lavoratori in parlamento: quanti ce ne sono? Comunque a tale scopo sarebbe più che sufficiente un ragionevole contributo spese (in termini di oggi potremmo dire entro i 3.000 euro mensili, come avevano proposto Cannavò e Turigliatto), una somma che poteva effettivamente consentire di lasciare le proprie attività per quattro anni (senza rielezione successiva, per lasciare posto ad altri e al tempo stesso non staccarsi troppo dalla propria base e dal proprio ambiente). La rotazione è stata più volte inserita negli statuti del PCI e del PRC, e rarissimamente applicata. Per i dirigenti (in senso lato) erano previste deroghe, che ignoravano che si può far politica anche senza sedere in parlamento. Chi si ricorda che Lenin non fu mai candidato alla Duma?

Le indennità che senatori e deputati si sono a mano a mano attribuite hanno avuto comunque un effetto sicuro di corruzione, tanto più forte nel caso di personaggi inconsistenti e senza arte né parte come quelli che riempiono le due camere attualmente. Detto per inciso, quando Gigi Malabarba, che non ne poteva più di quattro anni di presenza nel Senato, chiese di non essere rieletto, più che ammirazione suscitò stupore nei “colleghi” dello stesso PRC…

Una ulteriore precisazione storica: il PCd’I delle origini aveva un forte orientamento egualitario, che rimase per parecchi anni; si è perso gradatamente anche in seguito al culto del capo, che ha cominciato ad essere esteso poi anche a quelli locali, caricati di onori e sgravati da oneri…

Il fenomeno era parallelo ovviamente a quanto accaduto in URSS a partire dagli anni Trenta, quando le sperequazioni retributive (moltiplicate dai “negozi speciali” riservati alla Nomenklatura) cominciarono a crescere fino ad essere comparabili con quelle del sistema capitalistico. L’effetto principale fu l’inamovibilità degli eletti (a parte la forma estrema e violenta delle “purghe”) perché un mediocre operaio o contadino che saliva di grado nella nomenclatura e guadagnava come dirigente 20 o 30 volte di più di quando lavorava in fabbrica o nel kholchos, ovviamente difendeva con le unghie e con i denti il suo posto e i suoi privilegi, se veniva criticato e temeva di tornare al punto di partenza: così contribuiva a indebolire e screditare lo stesso sistema che l’aveva selezionato, accelerandone l’involuzione burocratica.

Va detto anche che in Italia, per i partiti di centro e di destra, naturalmente, l’aumento delle indennità non cambiava molto, dato che erano pieni di possidenti e professionisti di grido: la follia fu la complicità dei “comunisti” in questa corsa ai privilegi.

Ultima considerazione: io stesso ho sottolineato più volte che tagliare del 30 o 50 o anche del 70% le retribuzioni ai parlamentari e i contributi ai partiti non risolverebbe i problemi dell’Italia: il vero “costo della politica” non è questo versato direttamente ai partiti, ma quello pagato dall’intero paese per i regali senza limiti ai capitalisti di ogni genere e dimensione, pagato per commesse insensate, di cui il traforo della Valdisusa è solo l’esempio più visibile grazie alla tenacia dei NoTAV.

Il taglio alle retribuzioni dei parlamentari da solo non risolve quindi i problemi dell’economia, ma è indispensabile per una moralizzazione. Ma a patto che sia davvero radicale, non un semplice ritocco (con trucco incorporato) come è stato fatto finora sulla questione dei vitalizi: per questo vale la pena di rilanciare la proposta della soglia di 3.000 euro. Come potrebbero gli Scilipoti (di ogni partito) sostenere di fronte a milioni di pensionati a 500 euro che con 3.000 euro al mese non si può vivere?

La sinistra, quella che sta fuori del parlamento oggi (non per sua scelta, ma per suoi errori) e quel poco di sinistra che può esserci ancora in qualche piccola frangia residua del PD, devono avere il coraggio di fare questa battaglia del limite a 3.000 euro e della soppressione totale delle sovvenzioni ai partiti. Non c’è nessuna possibilità che qualcosa del genere sia approvato da questo parlamento di nominati e inquisiti, ma c’è invece la probabilità concreta di porsi alla testa di un movimento di indignazione e di protesta durissima dei cittadini beffati.

Oggi non c’è nemmeno l’ombra di un partito operaio, neppure tra quelli che usano tanto il nome di comunista, ma rimpiangono acriticamente un passato che conteneva già i germi del tracollo: ma ce n’è bisogno. E deve essere costruito puntando sulla militanza, sull’autofinanziamento, sulla raccolta paziente di contributi anche minimi dagli iscritti, come era stato possibile in un passato non lontano. Esattamente come deve fare la FIOM, a mano a mano che la “linea Marchionne” si generalizza, e deve ricominciare a organizzare una forma di raccolta di fondi (ma anche di contrazione netta delle spese inutili) come quella che aveva creato le premesse della grande ascesa operaia, negli anni in cui il padrone non ti raccoglieva certo i contributi degli iscritti.

Discutere di questo è dunque urgente e irrimandabile.

(a.m. 10/4/12)