Cina. Il lavoro forzato degli studenti

di Aditya Chakrabortty

 

La Cina può contare su un esercito di manodopera studentesca che fabbrica prodotti Apple, console Playstation e altri aggeggi per i paesi occidentali. I racconti dei giovani che fanno questo lavoro è sconvolgente.

 

Nella settimana che inizia il 14 ottobre, i lettori inglesi leggeranno molte penose banalità sulla Cina. Quando George Osborne [ministro delle finanze del governo Cameron] e Boris Johnson [sindaco di Londra], viaggeranno da Shanghai a Shenzhen, snoccioleranno i loro abituali discorsi sul commercio, gli investimenti e la concorrenza mondializzata. Invece, non parleranno di Zhang Lintong. Tuttavia, il racconto di questo giovane di 16 anni ci dice sugli aspetti umani dei rapporti tra la Cina e l’Occidente, più che tutta la valanga di banalità ministeriali.

 

Nel giugno 2011, Zhang e i suoi compagni di classe sono stati strappati alle loro famiglie e spediti in una fabbrica che produce aggeggi elettronici. Gli studenti hanno lavorato per sei mesi nelle gigantesche fabbriche della Foxconn nella città di Shenzhen, situata nel Sud del paese, a venti ore di treno dalle loro case nella Cina centrale. Zhang ha spiegato ai ricercatori che non gli era stata lasciata scelta: «A meno di poter presentare un certificato medico dell’ospedale municipale attestante che si era gravemente malati, dovevamo partire immediatamente».

 

Zhang (nome fittizio), era studente in una scuola secondaria di formazione professionale. Era illegale inviarlo in un tale tirocinio pratico. Senza contare che per la legislazione del lavoro cinese, i tirocini pratici devono avere un rapporto diretto con gli studi dello studente. Ma Zhang, che studiava Belle Arti ed era un ammiratore dei pittori realisti russi, ha dovuto passare sei mesi a produrre iPhone e altri apparecchi elettronici di consumo corrente.

 

Figlio unico di una famiglia contadina che vive nella campagna cinese, la prima esperienza di Zhang nella megaimpresa è stata di vedersi separato dai suoi compagni di classe, altrettanto sbalorditi di lui. Sono stati obbligati a sistemarsi in diversi dormitori della fabbrica, tra adulti sconosciuti. Gli sono state date uniformi identiche a quelle dei lavoratori della fabbrica e una formazione molto rudimentale. Poi c’è stato il lavoro. Zhang doveva svolgere in maniera ripetitiva due o tre piccoli compiti, ancora e ancora, in piedi per ore davanti a una immensa catena di montaggio che produceva pezzi per Apple. Una volta uscito dal quadro di lavoro ha detto ai ricercatori: «È faticoso e noioso (…) Mi piacerebbe molto lasciare, ma non posso

 

Questa storia può sembrare incredibile, ma è molto banale. Foxconn, la principale fornitrice di Apple in Cina, e che fabbrica prodotti anche per molte altre imprese di elettronica di consumo, è una delle imprese più grandi per numero di occupat/e/i della Cina. È anche una di quelle che utilizzano più manodopera studentesca. Nell’ottobre 2010, l’impresa stimava che, secondo i periodi, fino al 15% – ossia 150.000 sulla sua forza lavoro di un milione di lavoratori – erano studenti. Sembra che più di 28.000 tra loro fossero destinati a lavorare esclusivamente per Apple. L’anno scorso, degli universitari hanno riferito che il 70% del personale di una fabbrica di scatole del cambio per conto della giapponese Honda proveniva dalle scuole secondarie.

 

Questo tipo di sfruttamento non è un caso isolato nella storia recente: la settimana scorsa Foxconn ha ammesso di avere violato la legge obbligando degli studenti a fare ore straordinarie e a lavorare di notte. Sembra che più di un migliaio di questi abbiano lavorato alla fabbricazione della console PlayStation 4 (Sony) che sarà messa in vendita tra breve.

 

Nel corso di due anni, sono state raccolte da Jenny Chan, Pun Ngai, e Mark Selden, 63 interviste con studenti medi stagisti – tra questi quella con Zhang – con l’obiettivo di pubblicare un libro sul tema. I racconti dei giovani sono sconvolgenti. Durante il suo tirocinio, una ragazza di 16 anni soffre di dolori mestruali. I dolori continuano per mesi. Lei pensa che siano causati dal lavoro notturno e dallo stress che regna in fabbrica: «Quando siamo in ritardo sugli obiettivi di produzione, non abbiamo più pause». Si capisce che la ragazza intrappolata in questa situazione si mostri reticente a parlarne con il caposquadra, un uomo, ma i suoi genitori sono talmente lontani che non possono che offrirle consigli per telefono.

 

E non si tratta semplicemente di una serie di sfortunate coincidenze. Zhang e i suoi compagni di classe, e centinaia di migliaia di giovani come loro, si trovano al centro di una delle più potenti «relazioni economiche» attualmente in atto. Fanno parte di un «rapporto commerciale» che implica che ragazzi cinesi sono obbligati ad entrare in una macchina produttiva con la collaborazione delle grandi imprese e la connivenza dei governi locali (governi delle province) per produrre oggetti luccicanti che le transnazionali miliardarie venderanno ai consumatori occidentali.

 

L’anno prima che Zhang fosse costretto a lavorare in una fabbrica Foxconn, una città della sua provincia natale dello Henan ha ordinato a tutte le scuole professionali di inviare i loro studenti in una fabbrica Foxconn nella stessa città di Shenzhen. Quelle che li avevano mandati altrove dovevano interrompere i loro tirocini e mandarli con la massima urgenza nel sud del paese. È quello che intendo quando parlo di connivenza da parte dei governi locali.

 

Chan e i suoi colleghi pensano che le direttive erano destinate a fornire una forza lavoro già preparata per l’imminente apertura di una fabbrica di iPhone nello Henan. Questi fatti non sono tenuti segreti: la direttiva è stata comunicata alla stampa, e il governo locale ha supervisionato la sua applicazione. Sono stati fissati obiettivi ufficiali di reclutamento, e il governo locale ha ricevuto l’equivalente di 1,8 milioni di euro di sussidi affinché Foxconn possa assumere i lavoratori e le lavoratrici de/lle/i quali Foxconn ha bisogno. Peraltro, gli insegnanti sono partiti con le loro classi; Foxconn li paga per assicurarsi che gli studenti lavorino duro e non fuggano.

 

In una fabbrica, gli studenti lamentavano dolori di stomaco e soffocamento e hanno fatto domande sulla sicurezza del loro posto di lavoro. Sapete che cosa ha risposto il loro insegnante? Come ha poi raccontato ai ricercatori, ha evocato la catastrofe nucleare di Fukushima: «Riflettete attentamente sull’altruismo degli scienziati e delle squadre mediche [a Fukushima] quando il Giappone ha dato la notizia della tragica fuga radioattiva. Nessun giapponese si è ritirato dal lavoro di salvataggio. Allo stesso modo, noi tutti dobbiamo assumerci la responsabilità per il bene dell'umanità».

 

Grazie a questo sistema, i consumatori occidentali possono procurarsi, un anno dopo l’altro, i loro nuovi straordinari aggeggi. Apple vi dirà che le condizioni inumane nelle fabbriche dei suoi fornitori cinesi appartengono al passato, anche se ammette che certi tirocini sono ancora «mal gestiti». Bisogna essere ciechi per crederci. Un controllo dei responsabili di una verifica dei conti di Apple, nel maggio 2013, «ha riscontrato che a Chengdu [città nel sudovest della Cina]non erano stati impegnati tirocinanti dal settembre 2011». Tuttavia, nel settembre 20111, un funzionario per le risorse umane di Foxconn ha detto a Chan che nella fabbrica di Chengdu lavoravano più di 7000 studenti apprendisti, cioè più del 10% dell’insieme del personale. (Pubblicato sul quotidiano The Guardian, 14 ottobre 2013).

 

Questo articolo inviato da Gigi Viglino, che lo ha tradotto, proviene da sito di A l’encontre.

Viglino lo commenta così: Da qualche tempo, gli analisti economici occidentali si chiedono come farà l'economia cinese a mantenere la competitività data dal basso costo del lavoro, visto che l'afflusso di forza lavoro dalle campagne è in diminuzione, la politica del figlio unico ha dato i suoi frutti e i giovani sono in diminuzione, e infine le/i lavoratrici/tori occupat/e/i, con le loro lotte sono riuscit/e/i ad avere aumenti salariali significativi. Ecco una risposta «creativa» del capitalismo burocratico cinese…”

Raccomando l’articolo a chi si aspetta ancora che da Cina (e Russia) possa venire un contributo alla liberazione dei popoli… Qui da noi sono per fortuna sempre meno, ma a Cuba, per esempio, è ancora “verità ufficiale” che la Cina sia socialista… (a.m. 5/11/13)