Cina «incidenti» industriali e disastro ecologico

 

 

di Richard Smith

A l'encontre

 

 

Mercoledì 13 agosto 2015, attorno alle 22.30 (ora locale), sono successe potenti deflagrazioni nella zona portuale di Tianjin, uno fra i dieci più grandi porti del mondo. Sembra che all'origine delle esplosioni ci sia un incendio in un capannone di proprietà della ditta Tianjin Dongjiang Port Ruihai International Logistics – autorizzata a stoccare «prodotti pericolosi» nonostante le sue lacune in materia di sicurezza. Subito, le autorità hanno imprigionato alcuni «quadri» della ditta. Il che s'inserisce nella politica tradizionale, come spiega un responsabile dell'ONG China Labour Bulletin, di base a Hong Kong: «Di solito, in questo genere di casi, le autorità trovano capri espiatori; alcuni responsabili saranno licenziati o retrocessi, ma alle fine le cose cambieranno pochissimo nonostante la grande pubblicità che avvolge la tragedia».

In data 16 agosto, il potere doveva anche riconoscere la morte di 114 persone e il ricovero in ospedale di 722 feriti e la sparizione di 85. Il funesto conteggio non è finito. Lo stesso giorno, il generale Shi Luze, capo di stato maggiore della regione militare di Pechino –la capitale si trova a circa 140 km da questa città di 14 milioni di abitanti – era costretto ad ammettere che parecchie centinaia di tonnellate di materiale altamente tossico erano immagazzinate in due punti del sito. La stampa cinese, benché fortemente controllata, aveva già indicato la presenza di 700 tonnellate di cianuro di sodio. I media internazionali seguono questo «incidente industriale» difficile da camuffare. Tanto più che nella zona sono impiantati Toyota e Renault. Lo testimoniano i parchi di macchine che bruciano.

I riflettori sono meno puntati su altri due «incidenti» successi un giorno prima. Infatti nella notte dall'11 al 12 agosto 2015, un'esplosione in un giacimento di carbone e di gas ha ucciso 13 persone nella provincia di Guizhou (sud ovest). Un evento ricorrente. Nel 2014, nelle miniere di carbone, 921 lavoratori non sono forse stati «registrati» come deceduti, in seguito ad un incidente? La stessa notte, dall'11 al 12 agosto, uno slittamento di terreno nel sito di vanadio (metallo raro) di Shangluo (sud) ha sepolto oltre 60 operai nei dormitori della miniera.

Si nutre anche la confusione sullo statuto dei pompieri. Quelli assunti dalle grandi ditte (ad esempio chimiche) non hanno la stessa formazione (da ciò, un errore commesso all'inizio della lotta contro l'incendio), la stessa attrezzatura, neanche gli stessi stipendi di quelli dipendenti da autorità statali. Sono informazioni sulla sorte di questi giovani – come si vede anche dalle fotoche le famiglie richiedono. Gli estintori della censura sono stati particolarmente attivi… per annegare oltre 50 siti web accusati di diffondere «rumori»e «seminare il panico». Si può afferrare la frequenza degli «incidenti industriali» consultando la pianta interattiva messa in linea da China Labour Bulletin

[http://maps.clb.org.hk/accidents/en#201412/201508/235].

 

Queste «catastrofi industriali» s'intrecciano strettamente con  una politica di sviluppo dove è decisivo il controllo del Partito-Stato sui settori chiave dell'industria. Attraverso le SOE (State-Owned Enterprises, imprese di proprietà dello Stato) e sotto la supervisione del SASAC (Commissione di supervisione e di amministrazione dei beni pubblici importanti del consiglio degli affari statali), i vertici del PCC (Partito comunista cinese) hanno il dominio sul sistema bancario, l'energia (miniere, petrolio, atomo). l'industria pesante, le telecomunicazioni, l'industria aerospaziale, le ferrovie, l'armamento, ecc. La quotazione in borsa della China National Petroleum Corporation, della Baosteel Group Corporation o della State Grid Corporation of China non cambia il loro statuto, anche se è stato modificato il nome ed eletto un PDGdalla cerchia dirigente di un partito che riunisce 86 milioni di membri. Un PDG che, certo, dispone di una certa autorità che gli permette di dettare investimenti purché concordino con gli interessi dei suoi mandanti in termini di scelte politiche di «crescita» e di arricchimento personale così come di influenza. Le SOE, in collegamento con il potere centrale, i poteri regionali e locali, rimangono l'elemento centrale di un sistema di potere politico nel quale s'intrica la nomenklatura del Partito-Stato e dell'esercito, che ricorre a un potente discorso nazionalista. La stabilità del sistema implica, da una parte, integrare i capitalisti privati (nel partito, quando non ne sono nati direttamente o indirettamente in qualità di «figlio di») e, dall'altra, cercare di offrire un posto di lavoro ai 12 milioni di giovani che entrano ogni anno nel mercato del lavoro. Gli investimenti più eccessivi sono quindi giustificati in nome della «creazione di posti di lavoro», anche se soddisfano esigenze di arricchimento e/o di aumento dell'ascendente politico dei «decisori». La corruzione non può che installarsi in un tale groviglio.

L'articolo di Richard Smith, dello Institute for Policy Research and Development (Londra), che abbiamo parzialmente tradotto, è stato pubblicato sul Numero 71, di maggio 2015, della Real-World Economics Review. L'autore vi descrive il disastro ecologico in corso. Il dramma di Tianjin ne è soltanto un aspetto. Nel documentario di Chai Jing sull'inquinamento in Cina, intitolato Under the Dome,

 [https://www.youtube.com/watch?v=T6X2uwlQGQM

che si può vedere su youtube, sottotitolato in francese:

[http://www.courrierinternational.com/video/chine-le-documentaire-censure-sur-la-pollution-de-lair-en-francais], il direttore della divisione inquinamento provocato dai veicoli del Ministero per la Protezione dell'Ambiente riassume con questa frase la sua influenza di fronte a coloro che non applicano i regolamenti e non rispettano le leggi: «Non mi sogno di aprire la bocca per timore che coloro che inquinano possano vedere che non ho denti

(Redazione di A l'encontre)

— — —

La prima volta che Li Gengxuan ha visto entrare nel suo paese i camion con cassoni di una fabbrica vicina, non poteva credere a ciò che vedeva. Fermandosi fra i campi di cereali e il terreno di gioco della scuola primaria, i lavoratori versarono a terra secchiate di un liquido bianco e frizzante. Poi, senza una parola, fecero dietro-front e rientrarono in fabbrica.

Nel marzo 2008 Li e altri contadini di Gaolong, un paese nelle pianure centrali della provincia di Henan, vicino al Fiume Giallo, dichiararono ad un reporter del Washington Post [le citazioni che seguono sono ricavate da quell’ articolo] che i lavoratori della fabbrica vicina, della Luoyang Zhonggui Hig-Technology Company, scaricavano ogni giorno da nove mesi i rifiuti industriali nei campi attorno al loro paese. Il liquido, tetracloruro di silicio [componente chimico usato particolarmente nell'industria dei semiconduttori] è un sottoprodotto della produzione di polisilicio. Si tratta di una sostanza altamente tossica. Quando il tetracloruro di silicio viene esposto all'aria umida, si trasforma in acidi e in gas di cloruro d'idrogeno, velenoso e che può provocare nella gente vertigini e difficoltà respiratorie.

Ren Bingyan, professore di scienze dei materiali all'Università industriale Hebei, contattato dal Washington Post, ha dichiarato al giornale che «il terreno dove si sparge o nel quale si seppellisce questo prodotto diventa sterile. erba alberi potranno crescere in questi posti […] È […] tossico, è un inquinante. Gli umani non possono mai toccarlo.»

Quando fu istituita la discarica, i raccolti deperirono per colpa di questi «rifiuti bianchi» che a volte si alzano in nuvole di parecchi metri al di sopra del suolo e si diffondono attraverso i campi quando il liquido si asciuga. I contadini del paese iniziarono a svenire e ad ammalarsi. E durante la notte, dicevano gli abitanti del paese «i camini della fabbrica liberano pesanti soffi d'aria acre che bruciano gli occhi e rendono difficile la respirazione

«E' aria avvelenata. A volte diventa così cattiva che non possiamo sederci fuori. Allora dobbiamo chiudere porte e finestre», afferma Qiao Shi Peng, camionista di 28 anni che si preoccupa per la salute del figlio di un anno.

 

Lo sviluppo della Cina si fa ad un prezzo sociale ed ambientale orribile

Gli scarichi di rifiuti industriali senza nessun riguardo sono un evento comune nell'intera Cina. Ma ciò che ha attratto l'attenzione del Washington Post era il fatto che la Luoyang Zhonggui High Technology Company era un'impresa di «energia verde», che produce polisilicio destinato a pannelli solari venduti in tutto il pianeta. In effetti l'impresa era un importante fornitore della Suntech Power Holdings, che era allora il produttore leader di pannelli solari. Nel 2008, Shi Zhengrong, il fondatore della Suntech, figurava in capo all'elenco dell’ Hunrun Report delle persone più ricche della Cina. [L'elenco viene pubblicato ogni anno a Hong Kong sotto il titolo: China Rich List]

 

Il tetracloruro di silicio è un sottoprodotto inevitabile della produzione del polisilicio. Ma l'inquinamento sconsiderato di villaggi agricoli non è inevitabile. Oggi la Cina è l'unico paese al mondo dove tali pratiche criminali e un tale disprezzo cinico della salute e della vita dei contadini sono diventati prassi comune su scala nazionale da parte dello Stato a tutti i livelli. Persino le agenzie ambientali governative denunciano un simile comportamento e lottano, invano la maggior parte del tempo, per porvi fine. Come ha dichiarato un ricercatore cinese al Post: «se succedesse lo stesso negli Stati Uniti, si andrebbe in prigione». Ma, in Cina, i regolamenti in materia ambientale sono regolarmente scherniti dalle industrie statali e private, in connivenza con gli agenti governativi a tutti i livelli, mentre i contadini, i lavoratori e gli attivisti ecologisti e i loro legali che protestano vengono incarcerati, picchiati, o anche peggio.

La produzione di polisilicio genera circa quattro tonnellate di rifiuti liquidi di tetracloruro di silicio per ogni tonnellata di polisilicio prodotta. In Germania, dove Siemens fabbrica pannelli solari, sono introdotte tecnologie che mirano a limitare l'inquinamento, in modo da trattare il tetracloruro di silicio e renderlo innocuo. Ma una simile tecnologia è cara. Nel 2008, il costo per una produzione sicura di polisilicio ammontava in Germania a 84.500 dollari a tonnellata. In Cina questo importo non sarebbe molto più basso. Le imprese cinesi producono questo materiale a un costo che varia fra i 21.000 e i 56.000 dollari a tonnellata, risparmiando così milioni di dollari al mese unicamente con lo scarico dei rifiuti tossici nelle zone rurali, vicino a comunità contadine impotenti.

Il paese di Gaolong è uno specchio della Cina. Dimostra come il connubio del capitalismo e del collettivismo burocratico stalinista ha creato un sistema economico ibrido diabolicamente distruttore, un'economia canaglia [la parola inglese è 'rogue', allusione alla formula 'Stati canaglie'] che distrugge l'ambiente della Cina, rovinando la salute dei suoi abitanti, rendendo il paese sempre più invivibile, portando il paese al crollo ecologico e minacciando di trascinare con l'intero pianeta (non c'è un'immagine migliore della collusione governo-imprese e del suo impatto ambientale catastrofico sulla salute de** abitanti del documentario della giornalista Chai Jing Under the Dome [Sotto la Cupola, che si può vedere   con sottotitoli qui] ], trasmesso in febbraio e considerato la Primavera silenziosa cinese [dal libro pubblicato negli Stati Uniti nel 1962 da Rachel Carson, che fece epoca, sull'impatto dei pesticidi, in particolare sulla salute degli uccelli].

 

La Cina si autodistrugge

Da oltre tre decenni, il «miracolo» dell'economia cinese provoca l'invidia del mondo, o almeno quella delle economie capitalistiche per le quali la creazione di ricchezza costituisce lo scopo supremo dell'esistenza umana. Dal 1979, il PIL cinese è cresciuto con una media che sta appena sotto al 10% all'anno. Mai, come ce lo dice la Banca Mondiale, una nazione si è industrializzata e modernizzata così velocemente o in così poco tempo ha tirato fuori dalla povertà così tanti milioni di persone. Da paese arretrato, stagnante in un «socialismo» della povertà prettamente agricolo, Deng Xiaoping ha fatto venire investitori stranieri, introdotto stimolatori del mercato, creato zone di esportazione, trasformato la Cina nella fabbrica mondiale dell'industria leggera e rinnovato le monumentali imprese statali cinesi (SOEs, State Owned Entreprises).

Trentacinque anni di crescita economica hanno fatto passare la Cina dalla 10a economia mondiale nel 1979 al primo posto nel 2014. Ancora di più, dopo decenni di crescita fondata sulle esportazioni, il 12° piano quinquennale cinese per il 2011-2015 cerca di ricentrare l'economia sul mercato interno per realizzare il «sogno cinese» di un ringiovanimento nazionale di Xi Jinping [in carica dal marzo 2013] e di trasformare la Cina in una società di consumo di massa sul modello statunitense. Dopo che la Cina ha attraversato il quasi crollo mondiale del 2008-2009 senza perdere un attimo, mentre le economie capitalistiche occidentali hanno lottato per non sprofondare in una «grande recessione», anche il settimanale della Tatcher The Economist deve riconoscere che il capitalismo statale cinese potrebbe, sotto alcuni aspetti, essere superiore alle democrazie capitalistiche e mostra forse la via dell'avvenire.

Ma lo sviluppo cinese si è fatto a un prezzo sociale ed ambientale orribile. E' difficile cogliere la violenza demoniaca e l'imprudenza gratuita dell'assalto animato dalla ricerca del profitto della Cina contro la natura e i cinesi stessi. Dieci anni fa, nel marzo del 2005, in un colloquio con il giornale tedesco Der Spiegel, Pan Yue, il giovane e loquace viceministro dell'ambiente cinese, ha dichiarato: «il miracolo cinese giungerà presto al termine perché l'ambiente non può più seguirne il ritmo».

Aggiungeva: «Usiamo troppe materie prime per sostenere la nostra crescita […] Le nostre materie prime sono rare, non abbiamo abbastanza terre, e la popolazione non smette di crescere. Attualmente vivono in Cina 1,3 miliardi di persone, il doppio di 50 anni fa. Nel 2020, saranno 1,5 miliardi […] ma anche le aree desertiche aumentano, le terre utilizzabili e abitabili sono diminuite di metà durante gli ultimi cinquanta anni […] Le piogge acide cadono su un terzo del territorio cinese, la metà dell'acqua dei nostri sette maggiori fiumi è del tutto inutilizzabile, mentre un quarto dei nostri cittadini non accede all'acqua potabile. Un terzo della popolazione urbana respira aria inquinata e meno del 20% dei rifiuti urbani sono trattati e trasformati in un modo ecologicamente sostenibile […] A causa di aria e acque inquinate, perdiamo fra l'8 e il 15% del nostro PIL. E ciò non include i costi per la salute […] Soltanto a Pechino, dal 70 all'80% dei casi di cancro sono legati all'ambiente.»

Criticando gli economisti occidentali che ci rassicurano affermando che una crescita supplementare è la chiave per riparare i danni ambientali dovuti alla crescita, Pan dichiarava:

«C'è inoltre un altro errore […] Il postulato secondo il quale la crescita economica ci darà le risorse finanziarie per affrontare le crisi legate all'ambiente, delle materie prime e della crescita della popolazione. [Ma] non ci saranno abbastanza soldi, non abbiamo il tempo. I paesi sviluppati con un PIL pro capite fra 8.000 e 10.000 dollari se lo possono permettere; noi non possiamo. Prima di raggiungere i 4.000 dollari pro capite, verremo colpiti da diverse crisi di ogni tipo. Non saremo abbastanza forti economicamente per reggerle

L'onestà esplosiva di Pan Yue gli è costato di venire silurato, ma comunque ha sottostimato la rapidità, la ferocia e la scala della distruzione ecologica in Cina, una distruzione che va ben oltre il solo paese.

 

Consumare il pianeta per sostenere una crescita insostenibile

Con la crescita cinese decollata durante i decenni 1980 e 1990, il boom industriale ha ridotto le risorse del paese, particolarmente in legno, petrolio e minerali, costringendo Pechino a rivolgersi all'esterno per nutrire i suoi motori di crescita vorace. Il boom frenetico e assetato dell'industrializzazione nelle città settentrionali della Cina ha esaurito le falde acquifere, lasciando circa 600 città, Pechino inclusa, di fronte a gravi penurie di acqua, e inquinando pesantemente la maggior parte delle riserve rimanenti.

Gestori di foreste affamati di profitti hanno abbattuto la maggior parte di quanto rimaneva delle foreste cinesi, spogliando avventatamente le montagne e scatenando nel 2009 inondazioni così vaste, con un numero così alto i vittime, che il governo ha vietato lo sfruttamento del legname. I gestori cinesi si sono allora volti verso la Siberia, la Malesia e l'Indonesia, o anche verso la Nuova Guinea e alcune parti dell'Africa, per depredare il legname.

Sin dall'inizio, la Cina disponeva di poco petrolio, in modo che l'industrializzazione e il boom delle vendite di macchine [dal 2012, la Cina è il maggior mercato mondiale] ha trasformato rapidamente la Cina da un modesto esportatore di petrolio in un importatore netto nel 1993, poi nel 2013 nel primo importatore mondiale. I minerali di ferro, di rame e altre riserve minerarie cruciali per l'industria sono state velocemente esaurite, costringendo il paese a importarne quantità crescenti.

Di conseguenza, oggi, con il 20% della popolazione mondiale, la Cina è ormai di gran lunga il maggior consumatore mondiale di materie prime per uso industriale (cemento, minerali, minerali industriali, carburanti fossili e biomassa). La Cina consuma oltre il 32% del totale mondiale di queste risorse, quasi 4 volte più degli Stati Uniti, il secondo maggior consumatore. La Cina consuma poco più della metà del carbone mondiale e un terzo del petrolio mondiale. La Cina è il maggior produttore e consumatore di acciaio, con il 46% della produzione, e dipende dall'importazione per il 77% dei suoi minerali i ferro. La Cina è diventata il maggior consumatore mondiale di legname e di prodotti forestali, spianando le foreste dalla Siberia all'Asia meridionale, passando dalla Nuova Guinea, il Congo e Madagascar. Green Peace ha concluso che se si mantengono le tendenze attuali, «le future generazioni vivranno su un pianeta che ha perso le sue antiche foreste

La Cina, ovviamente, ha la maggiore popolazione mondiale e si industrializza a partire da un livello comparativamente basso, da tre soli decenni. Quindi sorprende poco che consumi una grande quantità di risorse per costruire infrastrutture e modernizzarsi. Ma il fatto è che la maggior parte di queste risorse sono state sprecate su una scala spaventosa e in cambio di tutti questi rifiuti e questo inquinamento, la maggior parte dei Cinesi ha ottenuto molto poco.

 

La rivoluzione dell'usa e getta [Disposables Revolution] e la «Grande accelerazione» del consumo mondiale

Per iniziare, osserviamo le aree di esportazione che hanno nutrito lo sviluppo cinese. Quando la Cina ha lanciato, all'inizio degli anni 1980, il suo processo di «riforma e apertura» (gaige kaifang) e invitato investitori stranieri a impostare imprese comuni e speciali aree economiche, la combinazione cinese di manodopera a molto buon mercato con praticamente nessuna restrizione in materia ambientale, attrasse un gran numero di industrie mondiali fra le più inquinanti ed insostenibili. Acciaio, coke, alluminio, cemento, prodotti chimici e petrochimici, rivestimenti metallici, conciatura del cuoio, plastiche, vernici e rifiniture, fibre sintetiche e produzione tessile, tintura dei tessuti, produzione di carta, così come il riciclaggio delle batterie automobilistiche ed elettroniche: la maggior parte delle industrie tossiche e che emettono fumi, dovendo affrontare restrizioni ambientali crescenti negli Stati Uniti e in Europa, si rilocalizzarono in Cina dopo il 1980. Il 70% degli “e-rifiuti” mondiali viene scaricato in Cina.

In cima a tutto ciò, le masse dei lavoratori migranti Cinesi costituivano una calamita per le industrie di trasformazione e di assemblaggio, le maggiori consumatrici di manodopera del mono. Dagli anni 1990, la Cina contava oltre 104 milioni di lavoratori dell'industria, circa due volte più di Stati Uniti, Canadà, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito ed Italia riuniti. Questi lavorano dalle otto alle sedici ore al giorno, spesso otto giorni alla settimana, per uno stipendio medio di 0,57 dollari all'ora nel 2002. Ossia, secondo quello che si può stimare, meno di quanto guadagnava un operatore di macchina tessile all'inizio della Rivoluzione industriale in Inghilterra. Dagli anni 1980, questo «prezzo cinese» ha determinato il quadro di un alto volume di produzione dell'industria leggera.

La caduta dei prezzi ha incoraggiato il maggior boom del consumo mondiale nella storia e, in compenso, accelerato il saccheggio delle risorse mondiali a un livello senza precedenti. La messa a disposizione immediata di un tale serbatoio di lavoratori a così buon mercato ha provocato ugualmente una piccola rivoluzione industriale, che ha permesso ai produttori di distruggere la maggior parte delle categorie di beni durevoli rimanenti per sostituirli con sostituti economici e gettabili. Con questa rivoluzione dell'usa e getta, i sarti locali e i negozi di ritocchi, i negozi di riparazione delle scarpe, quelli di riparazione di apparecchi elettrodomestici, di televisori ed altri sono praticamente spariti in Occidente, perché è diventato meno caro buttare gli oggetti e sostituirli anziché aggiustarli.

Per esempio i vestiti: la «moda effimera» (conosciuta anche con il nome di «trashion fashion» ['trash' in inglese si traduce con cianfrusaglia o negli Stati Uniti spazzatura]) di H&M, Target, Zara ed altri, domina ormai il mercato degli abiti da donna, con abiti così economici che spesso non valgono neanche il prezzo di una pulizia a secco. Come riferisce Elizabeth Kline nel suo recente libro Overdressed: The Shockingly High Cost of Cheap Fashion [http://www.overdressedthebook.com/], «i modelli di acquisto stagionale sono stati sostituiti da un consumo permanente». Zara rifornisce due volte alla settimana questi negozi con nuove linee di vestiti. H&M e Forever 21 stoccano quotidianamente nuovi vestiti. Per citare di nuovo la Kline: «comprare un numero così alto di vestiti e trattarli come se fossero usa e getta significa imporre un peso enorme sull'ambiente ed è una cosa semplicemente insostenibile.» Per non dire altro.

I raccolti di cotone negli Stati Uniti necessitano ogni anno dell'uso di 22 miliardi di libbre [circa 10-11 milioni di tonn.] di pesticidi tossici. La maggior parte delle fibre sono tinte o sbiancate, trattate in bagni chimici tossici, per renderle più luminose, più dolci, resistenti allo scolorimento, all'acqua o alla sgualcitura. Guarnizioni in tessuto e pigiami per bambini sono trattati con prodotti chimici spaventosi per renderli resistenti alle macchie o al fuoco. Questi bagni tossici consumano enormi quantità di acqua e di prodotti chimici. Inutile dire che in Cina è routine scaricare questi prodotti nei corsi d'acqua e nei laghi, senza averli bonificati, esattamente come il tetracloruro di silicio è buttato nei campi di cereali di Li Gengxuan. In seguito a tutti questi trattamenti chimici, i tessuti devono essere asciugati sotto lampade riscaldanti. Tali procedimenti sono enormi consumatori di energia.

L'industria tessile è una delle fonti più importanti di emissioni di gas serra nel mondo, e cresce in modo esponenziale. Nel 1950, quando sulla Terra vivevano circa 2,5 miliardi di persone, il consumo di tessuti, per tutti gli usi, ammontava a circa 10 milioni di tonnellate. Attualmente, con 7 miliardi di abitanti, consumiamo oltre 70 milioni di tonnellate di tessuto annualmente, quasi tre volte più a persona di quanto era consumato negli anni 1950. Produrre 70 milioni di tonnellate di tessuto consuma quantità spaventose di risorse, incluso oltre 145 milioni di tonnellate di carbone e tra 1,5 e 2 trilioni di galloni di acqua pura ogni anno [un gallone USA = 3,78  litri, più o meno 7 miliardi di tonn. – USA 1 trilione = 1000 miliardi]. Le fibre sintetiche come il poliestere e i suoi simili (che rappresentano ormai il 60% del mercato) sono le peggiori: per la loro produzione consumano fra 10 e 25 volte più energia rispetto alle fibre naturali. Per riassumere, la «moda effimera» accelera la «buttabilità» del pianeta [difficilmente traducibile: 'the disposal of the planet'; 'disposal' indica il carattere buttabile, come in 'disposable nappy' pannolini monouso.NdT].

E quanto è vero per l'industria cinese dell’abbigliamento lo è pure per la maggior parte delle altre industrie cinesi di esportazione. Si tratti di vestiti o di scarpe buttabili, di giocattoli, di attrezzi, di casalinghi, fino ai gadget di plastica e altre cianfrusaglie natalizie, passando per gli iPhone e gli schermi televisivi piatti da 60 pollici, fabbricati con cura e cari, ma comunque programmati per diventare obsoleti, sono per la maggior parte concepiti deliberatamente per non potere essere aggiustati né in gran parte riciclati. Dopo la loro breve esistenza, finiscono accatastati nelle montagne di rifiuti sempre in aumento prima di essere rispediti, fra l'altro in Cina, in contenitori pieni di “e-rifiuti” per esservi «riciclati» da bambini che fanno fondere la plastica delle carte SIM sopra a fuochi all'aria aperta o abbandonati a galleggiare negli oceani del mondo in giganteschi gorghi di plastica, profondi parecchie centinaia di metri.

 

12° piano quinquennale: quadri di distruzione planetaria…

Quando si esamina l'economia interna cinese, ci sono rifiuti da togliere il respiro. Appena l'economia cinese si è aperta all'Occidente e le esportazioni cinesi iniziarono a fare entrare miliardi di dollari in cambio, Pechino ha lanciato ondate successive di progetti di infrastrutture gigantesche: dighe, aeroporti, ferrovie, strade, metropolitane, fognature, nuove industrie, nuove abitazioni, nuove città, nuovi porti e molte altre cose. I pianificatori governativi cinesi sovraccarichi di lavoro hanno fatto sfoggio delle prodezze di ingegneria cinese e di potenza economica costruendo le più grandi dighe del mondo, i grattacieli più alti, gli aeroporti più vasti, i ponti più lunghi e più alti, le reti stradali e ferroviarie più lunghe così come i tunnel più lunghi.

Da quando Deng Xiaoping ha lanciato le sue «quattro modernizzazioni: agricoltura, difesa, scienza e tecnologia» e riformato e aperto il paese, quest'ultimo si è ritrovato in un «Grande Balzo in Avanti» [riferimento ad un altro Grande Balzo in Avanti nel 1958-1960] permanente: piani quinquennali hanno fissato i tassi di crescita industriale all'8% e promosso industrie «pilastri» successive: l'automobile, l'elettronica, la petrochimica, l'energia pulita, ecc.

Per l'attuale 12° piano quinquennale (2011-2015), il Consiglio degli Affari statali della Repubblica popolare si augura lo sviluppo di «sette industrie strategiche emergenti» che includono: 1° tecnologie efficienti in termini di energia e di ambiente come il «carbone pulito» [«produrre più energia inquinando pochissimo»]; 2° la prossima generazione delle tecnologie informatiche, la nuvola informatica (cloud computing) così come «l'internet delle cose» [https://it.wikipedia.org/wiki/Internet_delle_cose]; 3° la biotecnologia; 4° la fabbricazione high-tech di veicoli e di aerei, l'espansione dei treni ad alta velocità per una rete di oltre 45.000 km, l'espansione delle vie rapide [autostrade a più corsie] per 83.000 km; 5° una nuova generazione di energia nucleare, un maggior numero di sistemi basati sulla produzione di energia solare ed eolica; 6° nuovi materiali che includono lo sviluppo delle terre rare, di vetri e ceramiche speciali, di fibre ad alta velocità così come materiali composti; 7° veicoli che funzionano con energie nuove: batterie per motori, motori di addestramento, controlli elettronici, veicoli elettrici e a presa, veicoli a basse emissioni.

Non c'è dubbio che i Cinesi hanno usufruito di nuove abitazioni, infrastrutture, scuole, ospedali, ecc. Ma il governo ha pure sprecato una quantità sbalorditiva di risorse per costruire intere industrie di cui la Cina non ha bisogno, costruendo progetti vanitosi ed inutili, abitazioni superflue, infrastrutture in esubero, ecc. Questo boom degli investimenti è stato caratterizzato fin dall'inizio da una sovrapproduzione incontrollata e da un inquinamento che sfugge a qualsiasi controllo.

 

Quadro n.1: la «folle moda dell’auto»

Il 12° piano quinquennale chiede di «migliorare la capacità indipendente della Cina di fabbricare automobili, producendo sul posto tutti gli elementi chiave», «una commercializzazione su larga scala» di veicoli ibridi e dal buon rendimento energetico, la «costituzione di marchi famosi nel mondo e di competenze fondamentali», ecc. Ibrida o meno, è un'industria di cui la Cina non ha bisogno. Fino al 1979, la Cina produceva circa 160.000 veicoli a motore all'anno, e bus e camion costituivano il 90% del totale. La gente si spostava in bici, in bus e in treno. Nel 1990, la Cina contava appena 5,5 milioni di auto, di camion e di bus sulle strade. Dal 2013, la Cina è diventata il maggiore assemblatore di auto nel mondo; lanciava 18,7 milioni di macchine e di veicoli leggeri, più del doppio di quanto gli Stati Uniti hanno prodotto lo stesso anno. Dal 2013 la Cina aveva 240 milioni di auto sulle strade, quasi tanto quanto gli Stati Uniti e si stima che nel 2050 ci saranno in Cina da 390 a 532 milioni di auto.

La domanda è la seguente: perché la Cina ha bisogno di un'industria dell’auto così enorme? Il titolo principale di Bloomberg News, il 9 aprile 2014, citando l'ultima relazione del GIEC [ICCP], era il seguente: «Le macchine sono diventate il massimo contributore all'aumento dei gas serra». Che cosa è sbagliato in questa immagine?

«L'automobilizzazione» della Cina ha provocato tre cambiamenti profondi. Il primo: ha aumentato in modo straordinario il tempo necessario per raggiungere qualsiasi punto delle città bloccate dagli ingorghi (la velocità media sulle strade attorno a Pechino è 14,5 km/h) e creato ingorghi epici, che superano i record storici mondiali, sulle autostrade che servono Pechino ed altre città. Nel 2010, un ingorgo vicino a Pechino si estese su oltre 100 km e durò due settimane. Il secondo: ha generato una nuova e densa coltre di smog al di sopra degli strati già spessi di smog provocati dalla combustione di carbone, che soffocano le città cinesi. E il terzo: ha pavimentato terre agricole ed umide indispensabili e ha sperperato enormi risorse che né la Cina né il mondo possono permettersi. Tutto questo non sarebbe mai dovuto succedere.

Negli anni 1990, il Partito comunista ha promosso la produzione di auto in joint venture come un'industria «pilastro» per due motivi: il primo, una volta che il governo si era imbarcato nella sua strategia di riforma del mercato, abbandonando l'impiego a vita, aveva bisogno d'incoraggiare la crescita per creare posti di lavoro nel privato e nelle imprese statali, come i governi capitalistici dovunque. Li Keqiang, il primo ministro, sottolineava, nel novembre 2013, che:

«L'occupazione è la cosa più importante per il benessere. Il governo non deve mollare neanche un attimo sull'argomento […] Per noi, una crescita stabile ha per scopo principale il mantenimento dei posti di lavoro».

La produzione automobilistica e le industrie collegate forniscono oramai in Cina un posto di lavoro cittadino su otto, esclusa la costruzione di strade, un altro settore che impiega un'importante mano d'opera.

Poi, il Partito comunista cinese (PCC) ha promosso la moda dell’auto per incoraggiare il sostegno politico della classe media alla ricerca di uno status. Negli anni 1980, il PCC sosteneva un consumo modesto. Ma dopo il sollevamento di Tienanmen, nella primavera del 1989, il governo decise un consumismo esteso per placare le classi medie. Da lì viene la moda dell’auto, seguita dalla moda dei voli di linea, quella dei centri commerciali, dei treni ad alta velocità, del turismo all'estero, ecc. Non è poco ironico che mentre il PCC, durante gli anni 1990, accelerava la produzione di auto e vietava le bici sulle strade pubbliche, i paesi europei andavano nell'altra direzione, vietando le auto in parecchie strade dei centri urbani, promuovendo l'uso delle biciclette e il car sharing e l’aumento dei trasporti pubblici. La Cina ha iniziato seriamente ad estendere le metropolitane urbane soltanto alla fine degli anni 2000. dopo che due decenni di «automobilizzazione» hanno intasato le sue città ed aumentato drammaticamente l'inquinamento dell'aria.

 

Quadro n.2: le strade che nessuno percorre

Mentre la Cina era impegnata nella corsa a superare gli Stati Uniti nel rango di maggiore costruttore automobilistico, il Partito comunista decise che doveva anche «raggiungere e superare» il sistema di autostrade interstatali statunitense. Così, dal 2010, la Cina ha costruito oltre 85.000 km di vie rapide fra le città, superando le autostrade interstatali statunitensi che si estendono su 75.000 km. Ma il programma – i cui costi di realizzazione sono enormi, sventra città e ricopre migliaia di ettari di preziose terre agricole, di paludi, ecc. – è però un altro spreco studiato male. Infatti, eccetto alcune autostrade attorno a città importanti, Pechino o Shenzhen, le vie rapide cinesi sono spesso sotto-utilizzate. In alcuni posti i contadini fanno seccare i raccolti su super-autostrade vuote. Tom Lasseter, direttore dell'ufficio di Pechino della McClatchy [agenzia giornalistica] scriveva sotto questa immagine:

«Vedete una sola macchina su questa strada? Si sente spesso parlare degli ingorghi nelle grandi città cinesi. Ma ecco il rovescio della moneta: in paesi e città rurali della Cina, agli amministratori locali piace costruire ampi progetti di cui si possono gloriare, facendo dimostrazioni di grandiosità ma anche di inutilità. Ieri stavo nella città di Fengzhen, nella Mongolia interna. Secondo i criteri cinesi si tratta di una località di piccole dimensioni, forse 200.000 abitanti. Immaginate quindi la mia sorpresa quando, lasciato il centro della città, siamo passati, su questa autostrada a 8 corsie, vicino a un gigantesco Palazzo Comunale. Nessuna auto. Un passante potrebbe cadere per colpa di un attacco cardiovascolare senza correre il rischio di essere investito per ore. La città è già sui carboni ardenti per avere costruito una fabbrica di elettricità che Pechino ha giudicato inutile. Attraverso la Cina, c'è un numero altissimo di alberghi praticamente vuoti, di autostrade nuovissime vuote, di aeroporti moderni che perdono denaro perché non c'è traffico, ecc. Ciò che succede è dovuto al fatto che gli amministratori locali, non eletti, che non hanno particolarmente conti da rendere per colmare i bisogni locali, pensano che questi progetti faraonici danno ai loro comuni un lustro che può attrarre gli investimenti, cioè la loro via per la promozione in questo sistema a partito unico. Così, per ogni autostrada a 8 corsie come quella che vedete, c'è un burocrate felice che riflette sulla carriera luminosa che potrebbe aprirsi davanti a lui.»

Quanto cemento è stato scaricato, quante armature metalliche sono state forgiate, e quanto carbone è stato bruciato per produrre l'energia necessaria all'erezione di strade che pavimentano tanto spazio in Cina – senza alcuno scopo utile?

 

Quadro n.3: treni e metro mezzo vuoti

E quanto acciaio, alluminio, rame, cemento è stato consumato per costruire l'enorme rete nazionale dei treni ad alta velocità? Il 12 piano quinquennale ha iscritto nel bilancio centinaia di miliardi di dollari per costruire oltre 25.000 km di ferrovie ad alta velocità entro il 2020. Dal 2013, la Cina ha già costruito più treni ad alta velocità di tutto il resto del mondo messo insieme. Però ciò significa anche più creazione di posti di lavoro ed edificazione di progetti prestigiosi che richiesta di modernizzazione. I treni ad alta velocità sono molto costosi da costruire e da fare funzionare e consumano oltre due volte più elettricità dei treni ordinari. I biglietti costano quindi 10 volte il prezzo di un treno normale. Nella misura in cui pochi Cinesi possono permettersi tali prezzi, i treni circolano spesso mezzi vuoti, o anche di meno. Gli esperti cinesi in trasporti affermano che il governo getta i soldi dalla finestra per treni-razzi, importi che potrebbero essere usati meglio per treni ordinari, in particolare le linee merci, e quelle per lo sviluppo dei trasporti di massa nelle città e attorno ad esse. Nouriel Roubini, economista dell'Università di New York, ha dichiarato alla Reuters nel 2011:

«Sono stato di recente a Shanghai e ho preso un treno ad alta velocità fino a Hangzhou», ha detto riferendosi alla nuova linea Maglev che diminuisce i tempi di viaggio fra le due città dalle quattro ore precedenti ad un'ora attuale.

«Il treno ad alta velocità, nuovissimo, era mezzo vuoto e la stazione nuovissima vuota per tre quarti. Parallelamente a questa ferrovia corre anche una nuova autostrada che sembra vuota per tre quarti. Vicino alla stazione si trova pure il nuovo aeroporto di Shanghai da dove potete volare per Hangzhou. Non c'è nessuna giustificazione che un paese con questo livello di sviluppo economico abbia non solo una duplicazione ma pure una triplicazione di questi progetti di infrastrutture.»

Duplicazione, triplicazione, eccessiva costruzione e spreco sono dappertutto in Cina, anche per quanto concerne le metro. Ventidue città possiedono già reti metropolitane ed è stato iscritto al budget 2012 del denaro per costruire altre metro in altre 16 città entro il 2018. Wang Menshu, un ingegnere in metropolitane dell'Accademia cinese di ingegneria – che ha contribuito alla realizzazione della prima metro in Cina, a Pechino nel 1965 – afferma che queste ultime non sono per niente necessarie, sono troppo onerose e dipendono ancora una volta da una politica di prestigio più che della costituzione di un servizio pubblico: «Città di seconda, terza, pure quarta zona… queste città non hanno bisogno di costruire metropolitane. Anche se possono permettersi la costruzione,non possono permettersi di farle funzionare. Ma, in parecchi posti, si pensa che se si ha la metropolitana, si diventa una grande città

 

 

Quadro n.4: la Cina, « potenza aerospaziale e per i viaggi aerei di prima grandezza»

l 12 piano quinquennale richiede con forza che si spinga la Cina a diventare una « potenza aerospaziale e per i viaggi aerei di prima grandezza». Piani esigono circa un centinaio di nuovi aeroporti, migliaia di aerei di linea, migliaia di elicotteri e di jet privati, e piccoli apparecchi di ogni tipo. La Boeing stima che i trasportatori aerei cinesi avranno bisogno di oltre 5.620 nuovi apparecchi – per un valore di 670miliardi– entro il 2031. Un ottimo affare per la Boeing. Ma non solo la Cina non «aveva necessità» di questa industria, ma è del tutto suicida, per paesi in via di sviluppo come la Cina, ripetere gli stessi errori ecologici dell'Occidente.

Il GIEC [ICCP] calcola che l'aviazione è attualmente responsabile per circa il 3,5% del cambiamento climatico di origine umana e afferma che se le tendenze attuali si mantengono, questa parte aumenterà fra il 5% e il 15% entro il 2050 mentre salirà vertiginosamente il contributo assoluto di emissioni generate dall'aviazione. L'aviazione è già la fonte di emissioni globali di biossido di carbonio che cresce più velocemente e se continua a crescere allo stesso ritmo, sorpasserà tutte le riduzioni [nelle emissioni] che gli ingegneri sono riusciti a realizzare in altri settori. Non ci sono, né attualmente né in un futuro prevedibile, alterative concrete ai carburanti a base di cherosene per gli aerei commerciali. Per questa ragione, il giornalista specializzato sull'ambiente George Monbiot, dopo aver esaminato la letteratura sull'attenuazione delle emissioni di gas serra, ha concluso che mentre si possono rendere un po' più ecologiche alcune forme di trasporto, virtualmente non c'è niente che si possa fare in materia di aviazione con le tecnologie attuali o con quelle che si possono prevedere.

«In altri termini, non c'è technofix [possibilità di risolvere problemi ecologici con le tecnologie]. Non si possono conciliare la crescita dell'aviazione e il bisogno di affrontare il cambiamento climatico. Stando così le cose [i guadagni in efficienza tendono ad essere annullati da questa crescita] una diminuzione del 90% delle emissioni esige non solo che questa crescita cessi,ma anche che la maggior parte degli aerei che oggi stanno volando rimanga a terra. Sono certo cosciente che non sarà un messaggio popolare. Ma è difficile vedere a quali altre conclusioni ci si può giungere considerando i dati disponibili.»

In un mondo dove gli scienziati specialisti del clima ci dicono che dobbiamo diminuire del 90% le emissioni mondiali di biossido di carbonio entro il 2050, le emissioni mondiali dell'aviazione stanno per raddoppiare entro il 2030. Sarebbe suicida lasciare che ciò accada. In mancanza di un miracolo tecnico, l'unico modo di diminuire le emissioni dell'aviazione consiste nel diminuire il numero delle persone che volano attorno al pianeta anziché aggiungerci milioni di Cinesi. Affrontare questa realtà potrebbe non essere popolare né in Cina né negli Stati Uniti, ma neanche l'alternativa sarebbe popolare.

 

Quadro n.5: edilizia frenetica, città fantasma e la madre di tutte le bolle immobiliari

Ma niente di tutto ciò è paragonabile allo spreco di risorse generato dal boom dell'edilizia durante gli ultimi decenni. Il rullo compressore dell'edilizia ha inghiottito le migliori terre agricole periurbane cinesi, sfrattando decine di milioni di contadini e di abitanti di città ed anche consumando quantità spaventose per costruire abitazioni che non sono necessarie, centri commerciali, parchi industriali, palazzi per uffici, fabbriche elettriche, e infrastrutture in un paese che già straripa di città sovrappopolate ed inquinate. Nel decennio che segue il 2000, le città cinesi sono aumentate di circa l'80%.

Un'indagine nazionale rivela che oltre 130.000 km2 di terre agricole, cioè uguali alla metà della Germania, sono state ricoperte di cemento durante l'urbanizzazione frenetica fra il 1996 e il 2009 (e da allora il ritmo non è diminuito). Milioni di abitanti delle città sono stati espulsi da Pechino e da Shangai, che sono state completamente ricostruite con migliaia di grattacieli, palazzi di appartamenti, autostrade e centri commerciali. Le città e le provincie sono in competizione per costruire grattacieli che attraversano le nubi d'inquinamento, anche se non hanno prospettiva di trovare acquirenti.

Si stima che entro il 2020, 12 delle 20 torri più alte staranno in città provinciali come Shenyang, Wuhan e Suzhou. La percentuale di uffici vuoti a Shenyang raggiunge quasi il 30%. Però, si stanno costruendo altre tre torri, tutte più alte del Chrysler Building di New York e gli architetti ne studiano altre 12: La maggior atrocità architetturale di Pechino, la torre della China Central Television (CCTV) ideata dallo studio di architettura Rem Koolhaas – che ha ricevuto dagli abitanti il soprannome di «mutandone»– è quasi vuota da quando è stata costruita nel 2008. [la sua ubicazione nel centro di Pechino – con tutti i problemi di trasporto e di distanza fra questo luogo di lavoro e la localizzazione delle dimore dei «quadri medi»– ha rinviato il trasloco del personale alla fine del 2014].

Le città lottano per costruire «centri finanziari» surrogati di Wall Street a Pechino (abbandonato) e a Tianjin (abbandonato e incompiuto). Si costruiscono dappertutto uffici per quadri dal fasto sbalorditivo. La costa cinese si riempie di molti porti superflui, alcuni quasi vuoti, eppure se ne stanno pianificando altri.

Dagli anni 1980, la Cina ha costruito abbastanza nuove abitazioni per rialloggiare l'insieme della popolazione, ma il boom dell'edilizia si mantiene da solo, motore perpetuo dell'edilizia per l'edilizia – offerta senza domanda. Non ci sono soltanto chilometri di palazzi abitativi vuoti,ma anche intere «città fantasma» che competono con torri d'uffici, ospedali, scuole, aeroporti futuristici,musei, università, biblioteche, teatri, campi da sport e chilometri di torri di appartamenti e McMansions [termine dispregiativo usato negli Stati Uniti per descrivere fastose residenze sovradimensionate] ecc.

Oltre il 22,4% degli appartamenti e delle case cittadine erano vuote nel 2014. Da una stima, sono stati costruiti in Cina oltre 64 milioni di appartamenti di troppo, abbastanza per alloggiare quasi la metà della popolazione statunitense. Però si stanno costruendo milioni di altre abitazioni. Economisti hanno avvisato che ciò che la Cina sta realmente costruendo era la più ampia bolla immobiliare della storia. Il CEO della China Vanke, il maggior costruttore di case in Cina (il che fa di lui il maggior costruttore nel mondo) Wang Shi, intervistato dal giornalista della CBS Lesley Stahl, ha dichiarato che ciò non può durare «si tratta senza dubbio di una bolla». Quando scoppierà, «sarà un disastro, un disastro».

 

Quadro n.6: edilizia «tofu»

L'edilizia in Cina toglie il respiro, ma può essere terribilmente abborracciata, pericolosa e condannata ad una vita breve. Nasce dal fatto che i reparti locali di controllo e di regolazione delle costruzioni, così come quelli incaricati della sicurezza alimentare e dell'ambiente, sono subordinati agli amministratori locali che sono soci, e ne traggono utili, delle stesse compagnie edili che i regolatori devono nominalmente controllare.

Ne consegue che la sicurezza è spesso subordinata alla rapidità di costruzione e ai costi, con risultati prevedibili. I Cinesi lo chiamano doufazha, edilizia «tofu» [ed anche «fast-food buildings»]. I ponti crollano regolarmente. Fra luglio 2011 ed agosto 2012, sono crollati otto ponti importanti. Un giornalista australiano ha contato che sono crollati quattro ponti in solo nove giorni nel luglio 2012. Crollano pure i ponti dei treni ad alta velocità. Alcuni treni cadono. Milioni di contadini sono stati espulsi dalle loro terre e sparsi in «nuove località» attorno alle città dove alloggi orrendi già si fessurano mentre i contadini sfrattati vi si stanno sistemando. Nel 2010, il ministero cinese delle Abitazioni ha riconosciuto la cattiva qualità dell'edilizia ed avvisato che «le nuove case edificate possono durare soltanto 20 o 30anni».

Alcuni amministratori esigono che vengano emessi regolamenti più severi per l'edilizia, ma la maggior parte dei cinesi giudica che ne è responsabile la corruzione. Thu Lijia, professore all'Accademia cinese di «governance» a Pechino, afferma che la frode all'offerta è la regola e che non c'è nessun controllo dei processi di approvvigionamento in materiali. «Abbiamo leggi adeguate che riguardano le aste, ma non sono applicate. Le aste sono soltanto uno show». Zeo Niu, una studentessa universitaria intervistata dalla radio pubblica nazionale dopo il crollo di un grande ponte nel 2012, conosce benissimo il sistema. Suo zio dirige una compagnia edile nella Cina centrale. Afferma che l'uso di materiale inferiore alle norme che si fattura al prezzo dei beni di alta qualità è la prassi. Ciò che la sconvolge davvero, dice, «è che crollano così tanti progetti che la gente è sopraffatta. Io non ricorderò i nomi delle vittime di questo incidente e la gente non lo ricorderà più. Tutto verrà sepolto da un nuovo incidente.»

 

Pubblicato su Alencontre il 17 agosto 2015

 

(Traduzione di A. Marie Mouni)