Correa e la foresta amazzonica: inquietanti conferme

 

Verie agenzie hanno dato notizia che anche la foresta amazzonica dell’Ecuador sarà sfruttata per l’estrazione del petrolio. Il progetto di salvare il parco Yasuní-ITT è definitivamente accantonato.

L’avevo anticipato in diversi articoli (facilmente reperibili sul sito cliccando sulla colonna in alto a destra la parola Ecuador) e ne aveva parlato Alberto Acosta nel saggio pubblicato pochi giorni fa sul sito: Acosta: il correismo a nudo . Ora l'Huffington Post conferma la notizia, anche se dà credito al “dolore” di Rafael Correa, quando ha chiesto al Congresso l'autorizzazione a procedere allo sfruttamento dell'area. "Con profonda tristezza ma con il pieno senso di responsabilità nei confronti del Paese ho dovuto prendere una delle più difficili decisioni del mio governo", ha sottolineato il presidente in un messaggio televisivo. Nel 2007 Correa aveva proposto all'Onu di non sfruttare i giacimenti Ishpingo, Tambococha e Tiputini in modo da preservare la biodiversità, proteggere i mezzi di sussistenza delle popolazioni indigene ed evitare emissioni di Co2. In cambio del non sfruttamento di riserve stimate in oltre 800 milioni di barili di greggio, pari al 20% delle riserve nazionali, il governo dell'Ecuador aveva chiesto un “risarcimento” di 3,6 miliardi di dollari alla comunità internazionale in 12 anni. L'Ecuador, invece, ha ricevuto solo 13,3 milioni di dollari in contributi effettivi e impegni per circa 116 milioni di dollari.

"Purtroppo dobbiamo dire che il mondo ci ha abbandonato. Credo che l'iniziativa non sia stata capita dai paesi ricchi", ha sottolineato Correa denunciando "l'ipocrisia" delle nazioni che emettono la maggior parte del gas serra nel mondo. Correa, inoltre, ha annunciato la firma di un decreto che prevede la liquidazione del fondo fiduciario originariamente creato per raccogliere i contributi internazionali, mettendo così una parola fine all'iniziativa ambientale. Il mese scorso, il presidente aveva istituito una commissione per valutare i progressi del progetto, che aveva concluso che "i risultati economici non erano all'altezza delle aspettative". Nel parco di Yasuni, che si estende per 982 mila ettari, non ci sono solo gli oltre 800 milioni di barili di greggio. Il parco è uno dei luoghi in cui si trova una delle più grandi concentrazioni di specie animali e vegetali al mondo: ospita infatti 696 specie di uccelli, 2.274 specie di alberi, 382 specie di pesci, 169 specie di mammiferi, 121 tipi di rettili. Lo sviluppo degli idrocarburi in questa zona incontaminata della foresta amazzonica avrà delle tragiche ripercussioni sulla biodiversità e sull'ambiente. Il non sfruttamento dei giacimenti del parco Yasuni, aveva stimato il Governo dell'Ecuador, avrebbe permesso di evitare l'emissione di oltre 400 mln di tonnellate di diossido di carbonio (Co2), l'equivalente di quello che produce ogni anno il Brasile. (il testo completo della notizia in http://www.huffingtonpost.it/2013/08/16/ecuador-foresta-amazzonica-sfruttata-per-petrolio_n_3766758.html?utm_hp_ref=italy). In realtà da tempo erano stati segnalati arretramenti sostanziali combinati con nuove proclamazioni di intenti, esattamente per il “marketing pubblicitario”. La notizia è stata confermata da altre fonti, con valutazioni diverse sull’impatto:

http://www.bluewin.ch/it/index.php/564,872542/Ecuador_cede,_si_a_trivellazioni_in_parco_Yasuni,_proteste/it/news/estero/sda/ e http://www.ilvelino.it/it/article/correa-si-decide-a-sfruttare-petrolio-in-riserva-amazzonica/276cf863-b575-4480-8d9f-621099a3618d/

 

Ma non è tutto: come risposta alle critiche (che contrariamente a quanto sostiene l'Huffington Post  non sono cominciate solo ora, dopo l’annuncio della rinuncia al progetto Yasuní-ITT) Rafael Correa ha rilanciato un suo vecchio progetto: sopprimere i giornali che troppo spesso lo criticano, permettendo solo le edizioni on line (per risparmiare cellulosa e alberi…): http://www.huffingtonpost.it/2013/08/20/ecuador-giornali-di-carta_n_3783775.html?utm_hp_ref=italy

Si tratta di una inquietante  conferma di quanto sosteneva Alberto Acosta in Acosta: il correismo a nudo , un saggio che forse ha spaventato qualche visitatore del sito per la sua lunghezza, (è ancora fermo a una novantina di visite, un po’ per l’estate, un po’ per timore di alcuni che fosse ancora una volta un articolo in spagnolo destinato ai visitatori latinoamericani). Ma invece merita assolutamente di essere più letto di quando non si sia fatto in questo periodo ferragostano. Per invogliare a leggerlo, come ho fatto altre volte per articoli che rischiavano di passare inosservati, segnalo quindi alcuni passi, il primo dei quali riguarda proprio il progetto ambientalista, di cui dava per scontata la liquidazione:

“Tutti conoscono il confuso discorso per sostenere internazionalmente la Natura, presentando l’iniziativa Yasuní-ITT come un progresso rivoluzionario, in contrasto con l’apertura al grande sfruttamento minerario o con l’ampliamento dei confini petroliferi nel sud dell’Amazzonia, una zona che all’inizio della “Rivoluzione cittadina”si era promesso di rispettare”.

 E poi ancora:

“Analogamente, mentre si intensifica l’estrattivismo con i grandi impianti di estrazione mineraria o ampliando i confini del petrolio, si avanzano nuovi progetti governativi con l’intestazione del “Buen Vivir”. Si solleva addirittura la tesi di un socialismo del Buen Vivir, che conta sul sostegno di qualche illuso all’estero. Tutto questo costituisce un Sumak Kawsay propagandistico e d’impianto burocratico, privo di contenuto, ridotto allo stato di termine-prodotto. Risulta quindi preoccupante la riduzionistica e semplicistica visione del Buen Vivir come prodotto di marketing pubblicitario di una determinata politica ufficiale”.

 

Ho sottolineato questa denuncia di Acosta, perché effettivamente in Italia non sono pochi gli ambientalisti che hanno abboccato all’amo di questo marketing pubblicitario, sorvolando sui fatti che vanno in senso contrario, come il tentativo di togliere il riconoscimento legale e l’agibilità alla principale e storica associazione ambientalista, Acción Ecológica.

Ma vorrei concludere con un altro passo importante del saggio di Acosta, che è la articolata introduzione di un libro collettivo a cui hanno collaborato molti dei principali intellettuali militanti ecuadoriani, alcuni marxisti rivoluzionari, altri ecologisti di lungo corso, altri anarchici. Ed è utile anche per capire meglio gli altri paesi protagonisti del cambiamento latinoamericano dell’ultimo decennio.

“In breve, l’Ecuador ha cominciato la transizione con un procedimento post-neoliberista, ma non post-capitalista. Scontrandosi con il neoliberismo, il governo si scontra con soggetti con cui si è scontrata anche la resistenza popolare. Tuttavia il suo progetto non è esclusivamente “uscire dalla lunga e triste nottata neoliberista’, ma affermare un nuovo progetto di modernizzazione capitalistica, e le due cose non si possono separare” Mario Unda).

Questo operare per la modernizzazione del capitalismo in Ecuador non ha aperto la strada alla trasformazione del sistema produttivo. In oltre sei anni di governo si sono approfondite le tendenze a un’economia basata su una materia prima, si conserva la concentrazione delle esportazioni in pochi prodotti, permane il basso livello di valore aggiunto nelle esportazioni, rimane costante la bassa partecipazione dell’industria nella struttura economica, non muta l’elevata concentrazione della struttura produttiva e l’elevato tasso di controllo del sistema finanziario da parte della banca privata: lo ha ammesso in modo documentato, nell’agosto 2012, la Segreteria di Pianificazione e Sviluppo (SENPLADES). Questa importante istanza di governo ha esplicitamente accolto il fatto che non c’è stata trasformazione del sistema produttivo. Né ci sarà nel prossimo futuro”.

 

Acosta ritiene che “per i prossimi anni il cammino è segnato: oltre a forzare lo sfruttamento petrolifero e la grande estrazione mineraria, si intende dare impulso all’acquacoltura, ai biocombustibili, ai transgenici…. Vi sono anche piani per lo sviluppo della petrolchimica, sia nella fase di trattamento del petrolio sia in prodotti derivati, soprattutto fertilizzanti, come anche alla siderurgia. Si proseguirebbe con il sistema industriale tradizionale, che non necessariamente porta a superare il capitalismo e, ancor meno, a costruire il “Buen vivir” o Sumak Kawsay, che reca in germe la matrice di una nuova civiltà. (…) Questa “permanente deriva conservatrice” (Mario Unda), che contraddistingue il correismo, va costruendo una nuova egemonia dominante, che subordina i settori popolari e la sinistra stessa alla logica di un capitalismo rinverdito. I suoi tratti, secondo Mario Unda, sono inoccultabili: “il disprezzo dell’organizzazione sociale autonoma, il rigetto della mobilitazione e della protesta, la negazione della componente decisionale della pianificazione, le concessioni al discorso di destra sull’insicurezza e la violenza, l’esaltazione dello spionaggio e della repressione per trattare tanto la delinquenza come il controllo sul lavoro e la protesta sociale, […] Per finire, ormai da un pezzo il correismo può generare solo un’affermazione conservatrice”.

Il saldo del bilancio ci dice che in Ecuador il capitalismo gode di buona salute, si estende la dipendenza dalla rendita e non si sono certo ridotti i meccanismi di sfruttamento degli esseri umani e, meno ancora, della Natura…

(a.m.21/8/13)