Cuba: controrivoluzione e utopia socialista

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La vera controrivoluzione contro l’utopia socialista

Pedro Campos

http://observatoriocriticodesdecuba.files.wordpress.com/2012/01/compendio-oc-enero-11_2012.pdf

 

La controrivoluzione vera non si nasconde per poi manifestarsi apertamente contro l’utopia socialista.

«No. È impossibile, nelle attuali condizioni, sviluppare su larga scala il cooperativismo, l’autogestione e la connessa trasformazione democratica della società. Non ci sono condizioni oggettive né soggettive; dobbiamo prima sviluppare il capitalismo, lasciare che i capitali nazionali e internazionali ci sviluppino il paese, ci portino a modernizzare l’industria saccarifera e il resto dell’industria, i porti e le comunicazioni, perché ci serve una classe operaia forte e organizzata. Per giunta, l’imperialismo è proprio lì, potrebbe facilmente appropriarsi delle cooperative e delle imprese autogestite e approfittare della trasformazione democratica per cambiare i dirigenti storici e riportare di nuovo al potere la vecchia oligarchia.»

Coloro che parlano così, e che non nascondono con questo il loro avvicinamento al nuovo imperialismo cinese, non ingannano neanche i bambini delle elementari. In ogni caso,  sarebbe molto facile per l’imperialismo – che è solo uno, si dipinga di azzurro, di arancione o di rosso – appropriarsi delle appartenenze dello Stato, che è di “tutti”, ma di cui in realtà si sentono padroni solo i burocrati, sempre più isolati dal popolo.

Se le proprietà appartenessero al popolo, a titolo individuale o collettivo, ai gruppi lavorativi o sociali, ai lavoratori liberi associati o a singoli individui, allora sì che tutto sarebbe difficile per l’imperialismo. Affrontare ed espropriare uno Stato burocratico, pergiunta disposto a condividere il potere economico con il capitale straniero, non sarebbe la stessa cosa che affrontare ed espropriare un popolo padrone dei mezzi di produzione e del proprio destino.

Con un discorso che parrebbe ortodossamente marxista (“il grande sviluppo delle forze produttive del capitalismo e l’abbondanza che genera è ciò che renderà possibile l’avvento del socialismo”), i fautori dello statalismo, che ha distrutto l’economia del paese, ne ha dilapidato le risorse e i mezzi, spingendo i giovani, i professionisti e i tecnici formati dalla rivoluzione culturale ad abbandonare il paese o a vendere frittelle e gelati, sono diventati il freno principale dello sviluppo delle nuove forme socialiste di produzione.

I nemici della de-statalizzazione sono quelli che contrastano la consegna della direzione, della gestione e del controllo degli utili delle imprese statali ai consigli dei lavoratori, che ostacolano l’instaurazione di una legge che estenda la forma cooperativa alle imprese e ai servizi, mentre danno contemporaneamente la priorità allo sfruttamento del lavoro salariato da parte di privati ricchi, impediscono di liberarsi dai lacci presenti nella pletora di assurdi regolamentazioni statali monopolistiche sul mercato, respingono l’urgente unificazione della moneta e altro, sono insomma quelli che ritardano lo sviluppo e l’approfondimento del processo rivoluzionario cubano verso la socializzazione e la democratizzazione del potere economico e politico. Se raggiungeranno o meno i loro obiettivi, sarà la storia a dirlo. Quel che però è chiaro è che molti giovani, lavoratori, professionisti e tecnici, donne di casa e pensionati, che hanno visto la propria vita rovinata dall’infausto “socialismo di Stato”, non sono disposti a continuare nell’inganno e chiedono al partito/governo radicali cambiamenti delle politiche economiche e sociali statocentriche.

Questi stessi, per conto proprio e senza attendere le disposizioni della buroborghesia consolidata, sviluppano vari progetti di vita economici, sociali, culturali e politici al di fuori delle istituzioni statali, in cui molti si ostinano a cercare di controllare tutto quel che si muove nella società e a denigrare tutto ciò che è diverso con accuse di complicità con il nemico imperialista: “O con me o con il nemico imperialista”, per loro non esistono altre scelte.

C’è allora da chiedersi: Chi è stato il vero complice del nemico imperialista? Quelli che con le loro politiche si sono prestati a dimostrare che il “socialismo” – quello che non c’è mai stato –  è un disastro economico, sociale e politico, quelli che sono riusciti a ottenere che buona parte del popolo non voglia più neanche sentire la parola “socialismo”, quelli che sono riusciti a farlo rifiutare come modello di emancipazione dall’America latina?

Tutti coloro che desiderano cambiamenti socializzanti e democratizzanti, per de-statalizzare e sburocratizzare l’economia e la politica, o i fautori dell’immobilismo controrivoluzionario, burocratico, che puntano sull’ investimento straniero e sul capitalismo privato nel tentativo di salvare il loro burocratico modello statocentrico-dipendente di taglio neostalinista, per poi “cercare” di riproporre la riedizione del ciclo di espropriazione della borghesia da parte della “classe operaia”?

Coloro che non si sono mai proposti di cambiare i rapporti di produzione salariali del capitalismo?

Chi vuole approfondire la rivoluzione e cambiare tutto quel che vi si oppone, o coloro che in nome del cambiamento non vogliono cambiare nulla, perché tutto continui allo stesso modo di prima, soprattutto la burocrazia stessa che detiene il potere politico e ha portato il paese all’attuale disastro?

Coloro che esercitano varie forme di violenza e repressione per combattere chi sostiene pacificamente idee diverse?

Occorrerà anche darsi una risposta: Potrà la maggioranza dei vecchi cervelli, retrogradi, conservatori, anchilosati e assuefatti ai vecchi schemi di ordine e comando, autoritari, educati al centralismo burocratico, cambiare mentalità, come richiedono i vertici del potere, di fronte all’auto-ammissione dell’incapacità del sistema centralistico?

Non sarebbe più produttivo cambiare le teste ormai logorate nel neostalinismo e rendere possibile che dal popolo, dalle nuove generazioni, in cui “ci sono tanti Camilos”, emergano democraticamente le nuove forme di organizzazione sociale, economica e politica e i nuovi leader richiesti dalla situazione in mutamento, anziché pretendere una “politica di quadri” volta a garantire il perpetuarsi di tutto ciò che va cambiato?

Speriamo che la Conferenza del PCC del prossimo gennaio ci aiuti a trovare risposte a questi interrogativi, avvenga questo per azioni o per omissioni.

Socialismo per la vita.

 

Traduzione di Titti Pierini. Un esempio ancora della ripresa del dibattito politico a Cuba, che sfida apertamente i burocrati che aprono al capitalismo e chiedono aiuto alla gerarchia cattolica apparso sull’interessante sito:

http://observatoriocriticodesdecuba.wordpress.com/