Destre radicali, neoliberalismo e post-democrazia

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di Jaime Pastor

da Vientosur

In un periodo di globalizzazione capitalistica sempre più caotica, generatrice di crescenti diseguaglianze, di più aspri conflitti e «senza che si profili un modello accettabile per l’oligarchia internazionale in sostituzione di quello entrato in crisi un decennio fa» [1], la tendenza dominante nel panorama internazionale è caratterizzata da un progressivo maggior controllo dell’agenda politica da parte dell’estrema destra (oltre che dalla sua conquista di alcuni governi), grazie all’adozione di profili diversificati in funzione dei rispettivi contesti nazionali, dei “nemici” interni o esterni con i quali si scontra e dei rapporti di forza.

In effetti, se già prima dello scoppio della crisi del 2008 nel contesto europeo si erano già verificati innegabili progressi delle forze d’estrema destra e/o populiste autoritarie – come in Austria, Francia e Italia -, è evidente come dopo l’arrivo di Trump alla Casa Bianca questa tendenza si sia andata estendendo a diversi altri Paesi del pianeta. La grande diversità che caratterizza queste forze non impedisce, tuttavia, di constatare come condividano alcuni tratti comuni:

· leader percepiti come outsider (anche se in molti casi non lo sono affatto) rispetto a establishment corrotti (grandi strumenti di comunicazione compresi), accusati di essere responsabili del declino dei rispettivi Stati-nazione;

· aspirazione a presentarsi come movimenti politico-sociali alternativi ai grandi partiti (soprattutto quelli della sinistra tradizionale), appoggiandosi ai settori delle classi medie e popolari che si ritengono i “perdenti” della globalizzazione;

· adozione di una concezione essenzialista dell’identità nazionale (e conseguente nostalgia dell’impero perduto nel caso delle grandi potenze), che si presume minacciata da coloro che si trovano ancora più in basso nella scala sociale, e cioè gli immigrati e i rifugiati, soprattutto quelli d’origine araba o di religione musulmana, considerati (falsamente) responsabili del deterioramento dei diritti sociali e dell’aggravamento dell’insicurezza pubblica:

· negazionismo rispetto al cambiamento climatico e partecipazione alle “guerre culturali” (con crescenti dosi di menzogne e di odio attraverso le reti sociali e strumenti affini) contro le conquiste realizzate negli ultimi anni dai movimenti, soprattutto quelli femminista, LGTBI+ e antirazzista; e ciò in modo più intenso laddove il fondamentalismo cristiano della “teologia della prosperità” ha messo più radici.

Tuttavia, nessuna di queste forze, anche quando pongono in discussione determinate politiche economiche e sociali delle élite nei Paesi in cui sono al governo (come è il caso ora della Lega di Salvini nei confronti della Commissione europea), è sostenitrice di una svolta radicale rispetto al neoliberalismo dominante a livello globale. Ciò è già sufficientemente dimostrato dalle politiche adottate da Donald Trump col suo nazionalismo da grande potenza e anche, in modo se possibile ancor più chiaro, da Bolsonaro, il cui futuro ministro delle Finanze, Paulo Guedes, gode dell’appoggio delle élite finanziarie brasiliane. È questa autolimitazione quella che conferma come, in realtà, queste nuove destre radicali, pur costituendo un fenomeno eterogeneo come sottolinea Enzo Traverso [2], non cessino di essere figlie di un capitalismo neoliberale che sta assistendo alla decomposizione dei suoi vecchi regimi a causa delle proprie politiche, generatrici di una crescente disintegrazione sociale e sistemica.

Queste forze politiche in ascesa, a prescindere dal dibattito se si tratti di una miscela di vecchio e nuovo fascismo o più semplicemente di un cocktail reazionario, appaiono pertanto come una soluzione di ricambio nell’ambito della crisi dell’ormai invecchiata versione del neoliberalismo e dei corrotti partiti tradizionali. Aspirano, inoltre, a fornire le basi per nuovi blocchi storici interclassisti attorno a leader carismatici, che impongano nuovi regimi politici sempre più autoritari, pur se coscienti della precaria stabilità che possono offrire per garantire “ordine” e “sicurezza”.

Pertanto, sembra giustificata la previsione di Boffo, Saced-Filho e Fine quando dicono che non ci troviamo di fronte a «un’anomalia politica transitoria che, dopo il suo inevitabile fallimento, sboccherà presto nella restaurazione di una normale politica di centrodestra» [3] nel quadro di una democrazia liberale restaurata. Al contrario, quest’ultima appartiene ormai al passato, allo stesso modo del modello di Stato del benessere che l’ha fiancheggiata, assicurandone la legittimazione. Di modo che quel che ci si può aspettare nel prossimo futuro è un crescente antagonismo fra la democrazia – rappresentativa e pluralista – e il neoliberalismo, sia nel quadro transnazionale (come già avviene da tempo sotto l’egida di un’oligarchia tecnocratico-finanziaria), sia in quello dello Stato-nazione. Con il rischio che ne deriva, dove già governano le destre radicali, di una trasformazione in dittature che si accaniscano soprattutto contro la parte più povera della popolazione. È quel che può accadere in un Paese chiave come il Brasile, dove Bolsonaro rappresenta una delle più pericolose varianti neofasciste [4].

Nel futuro sarà difficile distinguere questi regimi dalle cosiddette democrazie illiberali esistenti in Russia o in Turchia, tanto più che non solo la democrazia ma anche principi fondativi dello Stato di diritto come la separazione dei poteri e le libertà fondamentali stanno andando a gambe all’aria nei nostri stessi Paesi.

Ci troviamo, pertanto, di fronte a una nuova fase nelle forme di dominio del capitalismo su scala internazionale, resa possibile anche a causa del riflusso dell’ondata di indignazione sollevatasi in molti Paesi di fronte alla svolta “austeritaria” effettuata dopo la Grande Recessione del 2008, che non riuscì a trasformarsi in una “marea di maree” inarrestabile e pronta a farla finita con il neoliberalismo. Solo il movimento femminista, sempre più transnazionale, è riuscito a resistere a questo riflusso e a configurarsi oggi, come ha detto opportunamente Angela Davis a Madrid [5], come una forza sociale collettiva pronta a far fronte alle nuove minacce autoritarie: un movimento che aspira ad andare oltre un femminismo “bianco” e di classe media, preoccupato solo dal soffitto di cristallo, per ricordarci che «razza, genere e classe sono elementi intrecciati» e, pertanto, si deve cercare la confluenza di tutte le lotte contro le diverse forme di sfruttamento e di dominio.

Venendo ora al caso spagnolo, potremmo aggiungere che presenta alcune importanti peculiarità: la prima consiste nel fatto che la persistenza dell’eredità franchista, con la quale non si ruppe nella mitizzata Transizione [democratica], spiega come l’estrema destra si sia sempre annidata nella vecchia destra di Alianza Popular-[poi] Partido Popular (PP); la seconda si riferisce al fatto che tanto per la vecchia quanto per la nuova destra spagnola il nemico principale è sempre stato quello interno, rappresentato in particolare dai nazionalismi periferici, prima quello basco, ora quello catalano; la terza e ultima nel fatto che il ciclo inaugurato dal [movimento degli Indignados del] 15 maggio, pur con i suoi limiti, ha sino a ora ridotto in modo significativo lo spazio di crescita di forze del tipo di quelle rappresentate da Marine Le Pen o da Salvini.

Nonostante ciò, abbiamo visto come l’usura che il governo Rajoy ha subito di fronte alla sfida dell’indipendentismo catalano, e che ha investito parte della sua base sociale, assieme al ripresentarsi del dibattito sulla memoria storica [6], al contagio del trumpismo e al diffondersi della xenofobia in Europa, abbia facilitato l’emergere di una forza come Vox [7], che non soffre di alcun complesso nella sua rivendicazione del franchismo e del razzismo e nella sua assunzione degli aspetti più conservatori della “guerra culturale”. E ciò senza per questo occultare la sua subordinazione alle politiche neoliberali e, a somiglianza del PP e di Ciudadanos (C’s), senza porre in discussione l’establishment dell’Unione europea. Questa forza – che figura come l’accusa “popolare” nel procedimento giudiziario contro il procés [indipendentista catalano] che probabilmente avrà inizio in gennaio – sta riuscendo a condizionare il discorso delle altre due forze della destra spagnola.

Si può così capire come questi tre partiti, con José María Aznar come comune riferimento, siano entrati in una dinamica competitiva nell’applicare una strategia della tensione, nel tentativo di delegittimare il governo di Pedro Sánchez, accusato di essere corresponsabile del “golpismo” indipendentista catalano. La lotta per l’egemonia, soprattutto fra PP e C’s, sarà senz’altro aspra, e la sua prima verifica la si avrà con le elezioni [regionali] andaluse del prossimo 2 dicembre.

In questo contesto internazionale e con all’orizzonte le vicine elezioni europee, autonomiche [regionali] e municipali, le responsabilità di Unidas Podemos-En Comú-En Marea sono enormi: esprimendo la propria solidarietà a popoli come quello brasiliano di fronte alla minaccia rappresentata da Bolsonaro e mettendo al primo posto la lotta contro l’austerità neoliberale e la xenofobia, come elementi basilari necessari (dopo le lezioni ricavate dalla crisi greca e a fronte dell’esperimento italiano in corso) per impedire la penetrazione delle destre radicali fra le classi subalterne; rivendicando la libertà per i prigionieri e le prigioniere per motivi politici – comprese le persone rinchiuse nei CIE [Centro di internamento degli stranieri], come ci ha opportunamente corretto Angela Davis – e un referendum con tutte le garanzie affinché la Catalogna possa decidere del proprio futuro; sforzandosi, infine, di preservare la propria autonomia politica e strategica nei confronti del governo Sánchez e al PSOE, la cui lealtà verso il regime e l’Unione europea è stata sufficientemente dimostrata.

Niente di questo, però, potrà essere fatto se non lavoriamo per ricostituire un tessuto sociale e comunitario fra le classi subalterne che contribuisca ad aprire un nuovo ciclo di mobilitazioni in grado di contrastare l’offensiva delle destre, scavalcare il timido social-liberalismo del governo Sánchez e porre nuovamente al centro la ricostruzione dal basso di un blocco socio-politico alternativo. Per questo obiettivo non basterà un Podemos che si limiti a «trascinare il PSOE verso più ambiziose proposte» (come sta avvenendo con l’Accordo sul bilancio), ma occorrerà andare oltre e, per ricorrere a quanto scrive Martín Mosquera, ricostruire una «sinistra radicale post-progressista in grado di essere all’altezza delle necessità di questo periodo».

27 ottobre 2018

Jaime Pastor, politologo, è direttore di «Viento Sur»

Note

[1] Michel Husson, Crisis económica y desórdenes mundiales, www.vientosur.info/spip.php?/article14204

[Versione francese in http://alencontre.org/laune/crise-economique-et-desordres-mondiaux.html]

[2] Enzo Traverso, Las nuevas caras de la derecha, Siglo XXI, Buenos Aires 2018.

[3] Marco Boffo, Alfredo Saced-Filho e Ben Fine, Neoliberal capitalism: the authoritarian turn, in «Socialist Register», n° 55, pagg. 273-280.

[4] Martín Mosquera, Al borde del abismo: Bolsonaro y el retorno del fascismo, https://www.vientosur.info/spip.php?article14293

[5] La sua conferenza del 25 ottobre 2018 a La Casa Encendida di Madrid, El feminismo será antirracista o no será, può essere seguita in www.eldiario.es/deslambre/VIDEO-antiracista-conferencia-Angela-Davis_0_829067208.html.

[6] [Il riemergere, cioè, del dibattito sul franchismo e sui suoi crimini, rimasto ufficialmente “sospeso” col compromesso della Transizione. Ndt]

[7] [Vox è un movimento d’estrema destra fondato nel 2013 da militanti del Partido Popular. Dopo aver vegetato ai margini della vita politica (circa 250.000 voti nelle elezioni europee del 2014, scesi rispettivamente a 58.000 e 47.000 nelle elezioni politiche del 2015 e del 2016), ha recentemente dato prova di un dinamismo e di una capacità di penetrazione preoccupanti, come dimostra, tra l’altro, un’iniziativa a Madrid, poche settimane fa, che ha radunato oltre 9000 partecipanti. Ndt]

Titolo originale: Derechas radicales, neoliberalismo y posdemocracia, https://www.vientosur.info/spip.php?article14296

Traduzione dal castigliano di Cristiano Dan