Husson: Ma la sinistra deve proprio «trumpizzarsi»?

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di Michel Husson *

Il 23 gennaio 2015, qualche giorno prima di essere nominato ministro delle Finanze del nuovo governo greco, Yanis Varoufakis era stato intervistato da «Channel Four». Il suo primo obiettivo, diceva, era quello di prendere provvedimenti urgenti che permettessero di ridurre gli effetti sociali della crisi, mentre il terzo era la rinegoziazione del debito. Al secondo posto, e quindi prima ancora del problema del debito, Varoufakis metteva come bersaglio il sistema oligarchico greco, che si proponeva di distruggere: «We are going to destroy the Greek oligarchy system».

Queste buone intenzioni non sono state seguite da fatti concreti, ma c’era in Varoufakis la lucida comprensione che l’alternativa al disastro economico e sociale richiedeva una duplice rottura: non solo con l’austerità imposta dalla Troika, ma anche, all’interno della Grecia stessa, con un sistema oligarchico formato da armatori extra-territorializzati, da imprenditori predatori e da banchieri speculatori.

Questione sociale e questione «nazionale»

Che rapporto c’è fra la Brexit, l’elezione di Trump e l’ascesa del Front national in Francia? Lo si può trovare, forse, nella fondamentale asimmetria dei discorsi antisistema che hanno contribuito al loro successo. Il metodo consiste nel subordinare la questione sociale alla questione nazionale o, più precisamente, al tipo di inserimento nell’economia mondiale. In pratica, ciò consiste nell’instillare questa semplice idea: tutti i nostri problemi, compresi quelli sociali, dipendono dall’esterno. I responsabili di tutti i nostri mali sono «per natura» stranieri: la globalizzazione, la Cina, il Messico, i rifugiati, la Commissione europea, eccetera.

Certo, all’interno delle frontiere è necessario opporsi ai partiti «del sistema», ma quel che viene rimproverato loro principalmente non è tanto il fatto di servire gli interessi delle banche e delle multinazionali e d’avere pertanto praticato politiche socialmente regressive. Certo, i partiti dell’establishment vengono denunciati come responsabili della disoccupazione o delle diseguaglianze, ma solo nella misura in cui si sono allineati a Bruxelles, o all’Organizzazione mondiale del commercio, piegandosi così alle esigenze del sistema globale.

USA, USA, USA !

«Noi recupereremo il controllo del Paese e faremo in modo che gli Stati Uniti tornino a essere una grande nazione»: questo era il tema centrale della campagna elettorale di Trump, e per comprenderlo era sufficiente ascoltare i suoi seguaci acclamarlo, in occasione della sua prima dichiarazione da presidente, al grido di «USA, USA, USA» ! Riportare gli Stati Uniti al loro status di potenza mondiale incontrastata o ritornare ai vantaggi dell’insularità britannica: questa è la musica di sottofondo che si suona dietro i proclami antisistema.

Ignacio Ramonet [il direttore di «Le Monde Diplomatique»], ci ha rivelato recentemente «le intenzioni di Donald Trump che i grandi media ci nascondono». Oltre al discorso vittimista di Trump a proposito dei media (un classico), due sono i temi centrali nel programma di Trump: la denuncia dei misfatti della globalizzazione e il protezionismo. Nell’industria statunitense sono stati perduti cinque milioni di posti di lavoro a causa, secondo Trump, delle delocalizzazioni, del libero scambio e della concorrenza cinese. Di conseguenza, egli s’impegna a innalzare i dazi sui prodotti cinesi e messicani e a denunciare gli accordi di libero scambio già in vigore (Alena [o Nafta: Accordo di libero scambio nordamericano]) o in discussione (Tafta [Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti]).

A sinistra ci si perde nel nebbione

In un recente commento, [i sociologi] Antoine Bevort et Philippe Corcuff denunciano un certo «nebbione confusionario a sinistra». Anche se il titolo della loro nota – Ignacio Ramonet trumpisé? – può apparire eccessivo, la loro critica investe un autentico problema. L’articolo di Ramonet può in effetti essere letto come la lista delle tematiche che sarebbe errato lasciare alla destra. Il suo elenco prosegue infatti con il «rifiuto dei tagli neoliberali in materia di sicurezza sociale», l’aumento delle imposte per i traders e il ristabilimento della legge [sulle separazioni bancarie] Glass-Steagall, abrogata nel 1999 da Bill Clinton. In sostanza, Trump risulterebbe essere anche il difensore delle classi medie e dei poveri: un nemico della finanza, in qualche modo.

In Trump, come in Sarkozy, Juppé o Le Pen, la dimensione sociale è in realtà un elemento puramente decorativo

Sarebbe questo aspetto del programma di Trump che «i grandi media ci nascondono» e che si dovrebbe prendere in considerazione. Certo. Ma Ramonet «ci nasconde» il progetto di Trump di privatizzazione dell’Obamacare. E soprattutto, come fa a prendere sul serio quella cantilena demagogica («ridurremo le tasse, ma senza toccare le conquiste sociali») che noi in Francia conosciamo così bene grazie alle primarie della destra?

In Trump, come in Sarkozy, Juppé o Le Pen, la dimensione sociale è in realtà un elemento puramente decorativo: maschera il nucleo centrale del discorso, e cioè la rivendicazione d’una sovranità o d’una identità (più o meno sfortunate). La forza di questo discorso si basa su una rappresentazione semplicistica, per non dire primitiva o addirittura tribale, del mondo: tutti i mali vengono dall’esterno, dall’estero. Diventa allora possibile costruire una psicologia di massa fondata sulla paura del futuro e dell’altro. L’ombra della questione nazionale viene stesa, come un velo, sulla questione sociale.

Non si dovrebbe, ci si dice, lasciare alla destra il monopolio della questione «nazionale» : la sinistra dovrebbe sviluppare un sovranismo – di sinistra, ovviamente – di cui l’uscita dall’euro rappresenterebbe il punto focale. Se questa dovesse essere la lezione ricavata dalla vittoria di Trump, stiamone certi: il futuro sarà radioso per tutte le destre identitarie e xenofobe.

10 novembre 2016

* Economista, membro del Consiglio scientifico di Attac.

Titolo originale La gauche devrait-elle se «trumpiser»?, pubblicato da

www.alterecoplus.fr/michel-husson/gauche-se-trumpiser/00012581

Traduzione dal francese di Cristiano Dan.