Jobs Act, “crimini efferati” e magistratura

 

Il dibattito sulle presunte modifiche al Jobs Act ha assunto tinte surreali. Prima di tutto perché invece di discuterle con i rappresentanti dei lavoratori il governo “tratta” il grosso delle modifiche con un esponente della destra, Maurizio Sacconi (uno che se non è ancora rientrato nell’ovile berlusconiano, lo si deve solo ai capricci della fidanzata del grande capo). Incredibilmente infatti le modifiche al testo sono state concordate in un tête a tête tra il ministro Poletti e lo stesso Sacconi. Poletti poi concorderà, con altri che rappresentano ancora meno, cioè i leader della fantomatica opposizione interna al PD, gli abbellimenti formali che permetteranno ai Fassina & C. di ingoiare l’amara medicina sotto il ricatto del voto di fiducia e della possibile chiusura anticipata della legislatura.

Tutta la trovata si riduce al non nominare mai l’articolo 18, svuotandolo però ulteriormente senza far rumore. Gli annunci sul ritorno del reintegro in caso di licenziamento si sono moltiplicati sui media, ma sono risultati un bluff. La norma sarà l’indennizzo monetario. Il giudice potrebbe eventualmente intervenire e imporre il reintegro nel caso l’operaio fosse licenziato con l’accusa di truffa aggravata, furto aggravato, lesioni fisiche con prognosi superiore ai 20 giorni, stupro, rapina e simili, e l’accusa risultasse falsa. Il giudice non interverrebbe su richiesta del licenziato, e non sarebbe un giudice del lavoro (categoria in via di estinzione, ovviamente), ma un giudice penale che interviene solo perché quei reati prevedono la procedibilità d’ufficio. Sono curioso di vedere se ci sarà un solo padrone, anche di quelli rozzissimi che arrivano a sparare a un dipendente che richiede gli arretrati (caso avvenuto di recente qui nelle Marche) che per liberarsi di un dipendente sgradito lo accusa di reati che finirebbero automaticamente nel mirino di un giudice. Ci sono tanti altri pretesti per licenziare impunemente!

Aggiungo due noterelle: la prima è che la serietà di questo governo e di questo parlamento può far prevedere nuove modifiche anche tra due giorni. Ci siamo abituati. Ogni legge o decreto viene modificato in itinere molte volte, creando una grande confusione. Alcune minacce vengono ritirate, dopo averle usate come intimidazione, e vengono archiviate come spade di Damocle pendenti sul futuro. Altre norme che sembravano migliorative e hanno fatto sperare qualcuno, spariscono senza spiegazione nell’ultima versione.

La seconda osservazione riguarda la magistratura: ma davvero fa tanta paura ai capitalisti? È inverosimile. Solo in casi rarissimi in questi ultimi venti anni ha pronunciato sentenze severe nei confronti di padroni criminali, e quasi sempre lo ha fatto sapendo che era tutta scena, perché in appello o meglio ancora in Cassazione ci sarebbe stata la cancellazione della sentenza o la drastica riduzione della pena. Si pensi alla Thissen Krupp, ai processi per amianto, ecc.

E non è tutta colpa di Berlusconi, come ripetono gli sciocchi: tutta la storia della repubblica è costellata da sentenze scandalose. Ed è cominciato presto, proprio mentre si metteva a punto quella Costituzione che viene tanto esaltata, senza cogliere che aveva al massimo un ruolo di risarcimento verbale ai protagonisti della resistenza, che vedevano deluse tutte le speranze di una società più giusta che avevano animato le loro lotte. Per rinfrescare la memoria ho ripreso una vecchia recensione a un bel libro che ricostruisce la preparazione del decreto sull’amnistia per i crimini fascisti. E fornisce qualche esempio di quanto “efferati” devono essere i crimini perché possano essere puniti. I tanti azzeccagarbugli al servizio del padronato hanno una lunga esperienza di uso politico della magistratura, e sanno bene come evitare che una motivazione possa offrire il destro alla punibilità di chi licenzia e al reintegro del licenziato. (a.m.17/11/14)

Appendice

Il primo colpo di spugna sui crimini fascisti[1]

 

Mimmo Franzinelli ha dedicato già diversi libri alla storia del fascismo e dei suoi crimini (Squadristi, I tentacoli dell'Ovra, Delatori), ma anche all'insabbiamento dei processi e della documentazione sulle atrocità compiute nella repressione del movimento partigiano (Le stragi nascoste).

Questo nuovo libro è sconvolgente anche per la documentazione riportata su molte sentenze della magistratura (in particolare della Cassazione) che applicavano l'amnistia a mostruosi torturatori, commentando che le sevizie non erano "particolarmente efferate".

Ne riportiamo un esempio, particolarmente scandaloso, tratto da una sentenza della II sezione penale della Cassazione: "Le percosse prolungate seguite da scosse nervose del paziente e l'obbligata ingestione di un frammento di disco di fonografo con conseguenze dannose per gli organi addominali, le quali facilitarono lo sviluppo successivo dell'ileotifo, malattia che produsse poi la morte, non arrecarono dolori torturanti in modo intollerabile, né rivelano animo del tutto disumano, quindi non costituiscono sevizie particolarmente efferate". Quindi si può applicare l'amnistia!

Ma l'interesse principale del libro non risiede nella pur utile rievocazione della ferocia dei "ragazzi di Salò" e del carattere classista della magistratura (già nel 1949 c'erano già oltre 4.000 comunisti in carcere, contro un migliaio scarso di fascisti, "in maggioranza autentici e pericolosi criminali", come scriveva a De Gasperi lo stesso Questore di Roma Saverio Polito, che pure aveva cominciato la sua carriera durante il ventennio). È infatti utilissima la ricostruzione del dibattito del 1946 in seno al governo, che ripartisce le responsabilità equamente, anziché sul solo Togliatti, come è stato fatto spesso. I verbali della presidenza del Consiglio rivelano che l'amnistia, proposta da Umberto II prima del referendum, fu discussa a lungo nel consiglio dei ministri in maggio e poi di nuovo l'8 giugno 1946, pochi giorni dopo il voto, per essere varata con la massima urgenza due settimane dopo. Da un lato emerge che Togliatti aveva espresso diverse preoccupazioni, che aveva poi accantonato per tenere conto di esigenze espresse dai settori più conservatori della coalizione; dall'altro Franzinelli smentisce la leggenda di un Togliatti non personalmente responsabile delle formulazioni più pericolose del decreto, perché ha trovato nell'Archivio dell'Istituto Gramsci la minuta dell'art. 3 (quello che aprì le porte del carcere per la quasi totalità dei fascisti) scritta di suo pugno dal Guardasigilli, e l'ha riprodotta nella documentazione fotografica del libro.

La spiegazione che l'autore dà della catastrofica applicazione di una sanatoria scandalosa è convincente e non concede nulla alla demonizzazione del segretario generale del PCI: nella formulazione della legge avevano pesato le esigenze di salvare una coalizione tra forze con interessi di classe divergenti, che hanno fatto accettare a Togliatti – non solo in questo caso – scelte in contraddizione stridente con le proprie convinzioni e gli stessi interessi dei lavoratori; ma è stata determinante la mancata epurazione della magistratura, rimasta praticamente intatta.

Si pensi che la grande maggioranza dei magistrati di grado elevato avevano fatto tutta la carriera nel ventennio fascista, e i più anziani l'avevano iniziata nel periodo prefascista, in cui la giustizia di classe non era meno feroce. Tra i primi magistrati fascistissimi recuperati, c'era Gaetano Azzariti, che era stato presidente del Tribunale della razza dal 1938 al 1943, e che era stato nominato da Badoglio ministro della Giustizia nel suo primo governo. Azzariti diventerà successivamente presidente della Cassazione e membro della Corte Costituzionale, ma nel 1946 era stato nominato consulente di Togliatti per l'epurazione, con l'incarico di capo dell'Ufficio legislativo del ministero. Togliatti, a chi lo informava del passato di Azzariti, rispose: "Non me ne importa, ho bisogno di un bravo esecutore di ordini, non di un politico".

Molto interessante la documentazione che riguarda il ruolo attivissimo della Chiesa cattolica nel salvataggio dei criminali fascisti: non di singoli preti "nostalgici", ma dello stesso Pio XII (a tutela di Luigi Federzoni) o di monsignor Montini, il futuro Paolo VI (in difesa dell'assassino di Amendola, Carlo Scorza). Un gran numero di ex ministri mussoliniani furono ospitati nel convento dei salesiani di Grottaferrata in attesa di essere imbarcati a Ciampino su voli diretti in Sudamerica.

Impressionante poi la serie di sentenze che sminuivano il ruolo dei dieci docenti che avevano firmato il Manifesto degli scienziati razzisti, che non ricevettero nessuna punizione, nemmeno simbolica. Il loro capofila, Nicola Pende, mantenne tutti gli incarichi accademici e, post mortem, gli furono intitolati un premio internazionale e un'aula universitaria. Solo nel 2006 l'amministrazione comunale di Bari ha cancellato il suo nome dalla toponomastica (ma Giovanni Di Pierro, sindaco DS del paese natale di Pende, Noicattaro, ha continuato a difendere l'intestazione di una scuola a così esimio concittadino!).

Gli effetti nefasti dell'amnistia furono completati nel febbraio 1948 (in vista delle elezioni del 18 aprile) da un Decreto Legge (firmato dal nuovo Guardasigilli Grassi e da Andreotti), che offriva a tutti i funzionari epurati di scegliere tra la riammissione nei ruoli (col diritto alle mensilità arretrate) o il pensionamento con un bonus di 5 anni. La maggior parte preferì rientrare nell'apparato statale. Nel marzo successivo un altro decreto ripristinò i benefici di carriera e di pensione per i membri della Milizia volontaria di sicurezza nazionale…  Pochi anni dopo una sentenza del Tribunale supremo militare disconosceva il ruolo non solo dei partigiani, ma dello stesso Regno d'Italia dopo l'armistizio (perché "esercitava il suo potere sub condicione, nei limiti assegnati dal comando degli eserciti nemici" (sic!), mentre "i combattenti della RSI avevano qualità di belligeranti, perché erano comandati da persone responsabili (sic!) e conosciute, indossavano uniformi e segni distintivi riconoscibili a distanza, e portavano apertamente le armi", cosa che non si poteva dire per i partigiani, da considerare quindi "ribelli" se non "banditi".

Utile anche la comparazione, nel capitolo finale, tra l'epurazione in Italia e quella di molti paesi europei, tutti assai più severi, compreso il piccolo Belgio, che emise un numero altissimo di sentenze durissime, comprese 1247 alla pena capitale. In Italia le condanne a morte furono solo poche centinaia, emesse in genere nelle prime settimane dopo la Liberazione, e quasi tutte non eseguite.

Insomma, secondo Frassinelli, durante il biennio 1945-1947 in Italia si gettarono le premesse di una lunga restaurazione capitalistica, che aveva necessità di recuperare gran parte dell'apparato fascista. D'altra parte questa prospettiva era stata intuita dai più lucidi criminali, come il principe Junio Valerio Borghese che, per sfuggire alla giustizia partigiana dei primi giorni, si affidò subito all'intelligence statunitense, che lo protesse fino alla definitiva scarcerazione. Questa fu sancita nel 1949 da una Corte d'Assise presieduta da un vecchio amico di famiglia, che pur di favorirlo commise spudorate irregolarità. Borghese poté ricominciare subito a complottare e a preparare colpi di Stato. I partigiani, intanto, andavano in galera…


[1] Mimmo Franzinelli, L'amnistia Togliatti. 22 giugno 1946. Colpo di spugna sui crimini fascisti, Mondadori, Milano, 2006.