La contraddizione della Camusso *

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La contraddizione della Camusso

Bersagliata da esponenti del suo stesso partito, ad esempio l’ex sindacalista CISL Marini alla festa del PD a Pesaro, la Camusso si trova spesso in difficoltà non tanto nel difendere lo sciopero in quanto tale, che da Bersani in giù quasi tutti dicono di volere, purché “a tempo debito”, quanto nel rispondere alla richiesta della precondizione dell’unità di vertice. È facile replicare a chi dice che lo sciopero può andar bene, ma più in là, a manovra approvata. È ora che si può influire: in questo demenziale dibattito agostano hanno pesato tutti, fino all’ultima lobby, ottenendo di far cancellare in fretta norme appena annunciate. Perché non dovrebbe farlo il sindacato?

Ma sull’unità delle confederazioni è difficile rispondere per chi ha firmato da poco un accordo come quello del 28 giugno. Eppure sarebbe semplicissimo, basterebbe dire apertamente quali interessi difendono CISL, UIL e UGL. Già, ma bisognerebbe ammettere che quell’accordo è stata una follia, per non dir di peggio. Partendo dai fatti: sull’articolo 8 il solito Raffaele Bonanni, che lo difende a spada tratta, giura che non c’è proprio pericolo di licenziamenti, dato che le deroghe ai contratti e allo Statuto dei diritti dei lavoratori sono affidate ai sindacati come il suo. A Bonanni piace molto che si punti a deroghe locali, o aziendali, ma è proprio questo il trucco: a livello locale è facilissimo trovare una maggioranza di sindacalisti malleabili e manovrati dal padrone, anzi spesso letteralmente “comprati”. Ho conosciuto non pochi casi del genere durante la mia lunga esperienza pugliese, dal lontano ottobre 1968 quando per impedire un volantinaggio sullo sciopero (confederale) contro le zone salariali al tubificio Scianatico di Bari, dalla fabbrica uscì l’intera Commissione interna, a maggioranza CISL, bene armata di mazze e… tubi di ferro.

CISL, UIL e UGL, per non parlare di altri sindacati più esplicitamente “aziendali” come la FISMIC, sono sempre stati schierati anche formalmente e a livello di vertice nazionale, a favore delle richieste del padronato. Figuriamoci a livello locale! Ma la Camusso non lo dice mai, non può dirlo perché ha le mani legate da una lunga collaborazione con questi sindacati servili.

Una votazione a maggioranza delle sigle, in molti casi sovrarappresentate dagli accordi che escludono i sindacati autorganizzati, garantirebbe un esito sicuro. Tanto più che puntare a livello locale o aziendale, in un momento di crisi generalizzata, è già un grosso regalo al padronato, che solo la forza complessiva (indebolita, ma non sparita) della classe potrebbe costringere a un accordo. Localmente si può solo contrattare la dimensione della batosta…

La discussione democratica tra tutte le sigle sindacali riconosciute dallo Stato, con la rigorosa esclusione dei sindacati autorganizzati, fa venire in mente un’assemblea di lupi, iene e sciacalli, che invitano i rappresentanti delle pecore a mettere ai voti il menù…  Quando muovo questa obiezione, c’è sempre qualche idiota che mi chiede: “Ma allora non accetti la democrazia?” No, se è quella truccata in cui contano le sigle di organizzazioni clientelari: la lotta si discute tra tutti i lavoratori, ma può anche partire da una minoranza più consapevole, che non si fa paralizzare; se questa minoranza è riuscita a farsi seguire, è evidente che poi la votazione democratica sugli accordi raggiunti deve essere fatta tra tutti i lavoratori, e non delegata a burocrati paracadutati.

Naturalmente il titolo di questo articolo “La contraddizione della Camusso” è un po’ abbreviato: bisognava dire almeno “la principale contraddizione”, perché ce ne sono tante altre. Ad esempio quella che imbarazza la maggioranza della CGIL, che è stata costretta a rispondere alla pressione delle categorie e a proclamare lo sciopero contro la manovra, ma è in difficoltà nel verificare che ovviamente la Confindustria fin dall’inizio la manovra la ha criticata solo per peggiorarla. Grazie alla mistificazione del “Patto tra le parti sociali” e la zelante collaborazione di personaggi squallidi come Sacconi, la Marcegaglia ha ottenuto quel che voleva: appunto l’articolo 8. Tutto il resto è stata smussato, svuotato, tranne questo punto presente fin dall’inizio nella caleidoscopica manovra, che si è casomai rafforzato.

Eppure formalmente non si capisce che c’entra con la manovra finanziaria questo art. 8. Non risana niente, non taglia le spese dei mastodontici apparati statali centrali e periferici. Serve solo a rilanciare, approfittando del clima di panico per la crisi, l’obiettivo sempre perseguito e mai completamente realizzato di un ulteriore smantellamento dei diritti acquisiti dai lavoratori con le lotte degli anni Sessanta e Settanta. Non risanerà niente,ma impedirà la difesa dei salari con una lotta generale, almeno di categoria, grazie alle complicità dei sindacati servili. Il risultato, denunciato lucidamente da Luciano Gallino su “la Repubblica” di oggi, è diametralmente opposto a quello proclamato del risanamento e del rilancio della crescita: è semplicemente quello di “dividere le forze di lavoro per governarle meglio”. Il decreto quindi, conclude Gallino, “rende anche impossibile un significativo recupero mediante la contrattazione collettiva della quota salari sul PIL, la cui caduta – almeno 10 punti in vent’anni – è una delle maggiori cause della crisi.

Ma di questo, per discuterne bene, come è necessario, bisogna prima di tutto far riuscire bene lo sciopero generale di domani!

(a.m. 5/9/11)

Da Il megafonoquotidiano mi arriva l’ottimo articolo di Giorgio Cremaschi, che pubblico, anche perché la richiesta al presidente Napolitano è fatta in una forma che lo mette con le spalle al muro, senza coltivare illusioni nel suo ruolo: "domandiamo se si sente davvero di firmare un provvedimento che cancella i contratti nazionali, lo Statuto dei lavoratori e la certezza delle leggi, minando alla radice la Costituzione della Repubblica".  E c’è netta la richiesta alla CGIL di disdire l’accordo del 28 giugno. Ancora una volta dalla FIOM un’indicazione corretta. (a.m.)

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Ostruzionismo in Parlamento e nel paese

 Nota quotidiana

Chiediamo a Napolitano di non firmare la norma che abolisce lo Statuto dei lavoratori. E alla Cgil di ritirare la firma sull’accordo del 28 giugno

 Giorgio Cremaschi

Con la norma sui licenziamenti il governo ha finalmente realizzato il sogno decennale dei padroni e di tutti i prepotenti. È  chiaro che questo provvedimento viola apertamente e brutalmente la Costituzione della Repubblica. Affermare per legge che due privati, un’azienda prepotente e un sindacato complice, possono decidere che nel loro ambito di competenza non si applica più una legge dello Stato, è una mostruosità giuridica che fa pensare al medioevo. Solo allora, infatti, i baroni e i vescovi avevano riserve speciali rispetto alle leggi del re.
A questo punto, però, la questione non può più essere solo di carattere sindacale. Naturalmente la Cgil ha i suoi compiti precisi. Dopo lo sciopero va ritirata immediatamente la firma dall’accordo del 28 giugno, che a questo punto è diventato il cavallo di Troia di questo provvedimento mostruoso. E naturalmente nessuna unità è più possibile con gruppi dirigenti di Cisl e Uil che approvano questa vergogna. Ma questo non basta. Di fronte a una cosi grave violazione della Costituzione si deve passare all’ostruzionismo. Ostruzionismo nel paese e nelle piazze, ma anche ostruzionismo in Parlamento. Non è accettabile che sotto la pressione delle banche e della speculazione europea, si debba fare in fretta a distruggere la nostra Costituzione. Chi è contro in Parlamento fermi la manovra che, peraltro, sta facendo danni sociali enormi senza risolvere nulla, facendo in modo che non sia approvata o comunque allungandone i tempi. E al Presidente della Repubblica, che ha chiesto di approvare la manovra in fretta, domandiamo se si sente davvero di firmare un provvedimento che cancella i contratti nazionali, lo Statuto dei lavoratori e la certezza delle leggi, minando alla radice la Costituzione della Repubblica. Sì, ci deve essere un’eccezione anche per il Presidente della Repubblica all’esigenza di rispondere all’Europa e questa è appunto la salvaguardia dei nostri diritti fondamentali, che viene prima di qualsiasi rassicurazione si voglia dare ai mercati, alle banche, alla finanza. Ostruzionismo nelle piazze, ostruzionismo in Parlamento, il Presidente della Repubblica non firmi. Questo oggi è necessario, questo chiederanno i milioni di lavoratori che sacrificheranno una giornata del loro salario, in questi tempi difficilissimi, per difendere i diritti di tutti.

Giorgio Cremaschi

5 settembre 2011

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