Lo spauracchio dell’IS e gli F35

 Qualche interrogativo sulla Libia

Dopo un giorno o due lo scenario è cambiato. Le sbruffonate sulla spedizione a guida italiana sono state polverizzate non tanto dalla retromarcia innestata da Renzi, ma dai fatti (il brusco ridimensionamento del pericolo IS a Sirte) e dal pronunciamento netto di alcuni dei pochi conoscitori della situazione nell’area, a partire da Angelo del Boca e da Romano Prodi, che ha manifestato il suo fastidio e la sua preoccupazione in diverse interviste. Ma una pietra tombale sul progetto di capeggiare un impresa militare africana investendovi 5.000 uomini per il momento l’ha messa il solito generale Fabio Mini, che ha il grande merito di parlare francamente, e che quindi su “la Stampa” di ieri ha detto chiaramente che i 5.000 uomini di cui parla la Pinotti servirebbero solo a cacciarsi nei guai, a “infilarsi in quel pantano”, da cui sarebbe difficile poi uscire. E “non so se è chiaro, ha aggiunto, che avremmo 50 morti nella prima settimana”. Li reggeremmo?

Mini ribadisce soprattutto che intervenire “come nel 2011 con i raid aerei, poi, lascerebbe le cose come stanno”. E questo rende puerile e spudorato il tentativo di far passare come una necessità connessa alla esibizione di qualche bandiera dell’IS a Sirte l’accelerazione nell’acquisto dei 90 inutili e costosi F35. Costosi sì, naturalmente, e inutili per gli scopi dichiarati, dato che l’ISIS non dispone di una forza aerea. Sarebbero utili invece solo se qualcuno pensasse a prepararsi a un conflitto con la Russia. D’altra parte anche la Cavour è una portaerei sproporzionata, poco utilizzabile per il pescaggio, non utilizzabile oltre che costosissima per compiti di controllo nelle nostre acque. Per che guerra è stata pensata? Non certo per il controllo di Valona o di Beirut.

È un sospetto infondato? Non credo. Sembra una follia, ma molte delle mosse della NATO, sia pur momentaneamente arrestatesi sull’orlo dell’abisso, lasciano intuire che qualcuno si prepara proprio a questo scenario. D’altra parte tutte le guerre maggiori della storia umana sono state preparate da gesti sconsiderati di militari e governi irresponsabili.

Magari intanto c’è chi si lamenta che si spende troppo poco per le armi: Francesco Grignetti, che ieri aveva intervistato il generale Mini, oggi – sempre su “la Stampa” – ha dato la parola ad anonimi militari che rivoltano la frittata attribuendo una presunta (ma per certi aspetti verosimile) inadeguatezza delle nostre forze armate a un “quinquennio di severi tagli al bilancio” (tagli inesistenti, ma resi credibili da manipolazioni dei bilanci di Difesa, protezione civile e “solidarietà internazionale”). Grignetti comunque sostiene che “molti mezzi – aerei, navi, blindati – sono usurati al limite del possibile”. È vero, ammette, che l’Afghanistan “ha rappresentato un banco di prova dove i reparti dell’Esercito si sono ormai definitivamente rodati, ma dove anche sono stati divorati miliardi di euro”.

 

Lo sapevamo, ma abbiamo il diritto di domandare: con che risultati? Il mondo è forse più sicuro dopo quella guerra mai conclusa? L’integralismo islamico è stato forse sconfitto dai bombardamenti?

E con che cervello ci si espone oggi su decine di fronti, senza che ciò possa essere utile a qualcosa, ma quanto basta per trasformare ogni italiano in un possibile bersaglio? Il nostro esperto militare (ormai ogni quotidiano di un certo peso ne ha almeno uno) si dilunga in pianti sulla dispersione delle nostre forze scelte (la Pinerolo è nel Libano, metà della Garibaldi in Afghanistan, ecc.). Menomale che c’è pronta la Folgore “integrata da aliquote di forze speciali”, e soprattutto c’è la Marina: dalla portaerei “Cavour” con gli Harrier a decollo verticale alle  “grandi navi San Giorgio, San Marco e San Giusto”, provvidenzialmente sottratte di recente ai compiti di salvataggio nel Mare Nostrum.

E c’è appunto l’aeronautica, superdotata di raffinati e costosi mezzi modernissimi, dai Predator al “satellite geostazionario Cosmo Skymed”, e poi via via passando ai Tornado, AMX ed Eurofighter collocati in Puglia e Sicilia, e di cui è stata sperimentata proprio in Libia la capacità di “garantire un’eccellente copertura dal cielo con bombardamenti davvero chirurgici”. Abbiamo visto con che risultati! Basta confrontare la Libia prima del 2011 con quella di oggi…

Il battage propagandistico sulla “minaccia dello Stato Islamico all’Europa” è servito finora soprattutto a giustificare la spesa per altre armi del tutto inefficaci rispetto ai pericoli reali manifestatisi a Parigi e Copenhaghen (qualche giovinastro reclutato nelle carceri o nei caffè di periferie degradate e ghettizzate); tuttavia i bombardamenti di un intero quartiere o di una città perché vi è apparsa una scritta del califfato possono essere capaci di innescare risposte ben più gravi, rendendo universale la spirale perversa della vendetta.

Del clima ha già approfittando il criminale generale al Sissi, nemico del suo popolo e prezioso collaboratore di Israele nel mantenimento della prigione a cielo aperto a Gaza. Da sempre mira alla conquista della Cirenaica e di altre parti della Libia, e per questo, imitando un altro re fantoccio, ha innescato un’altra spirale di guerra. Ne hanno pagato già un primo prezzo terribile altre decine di braccianti egiziani costretti a cercare lavoro in Libia. Quanti altri pagheranno per i crimini di al Sissi e di altri irresponsabili? In ogni caso non è ammissibile diventare loro complici e accettare la logica bellicista montata ad arte.

Lo Stato Islamico è tutt’altro che antagonistico e alternativo al potere esistente in quell’area. Tra l’altro vende a circuiti “rispettabili” il petrolio estratto dai pozzi caduti nelle sue mani in Iraq, e contratta con le grandi multinazionali la manutenzione degli impianti. Probabilmente, immagino, c’è già anche qualche “imprenditore coraggioso” che sta facendo affari fornendo all’Isis le tute arancioni “modello Guantanamo”, pronte per nuovi sacrifici umani e l’ennesima sceneggiata del terrore…

(a.m.18/2/15)