Mometti: ma Obama è più debole

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Ma Obama è più debole

Il candidato democratico vince ma è cresciuta la disillusione e ora per il presidente Usa si annuncia una strada di coabitazione con la maggioranza repubblicana

 

Felice Mometti dagli Stati Uniti

Per Il megafonoquotidiano

Obama vince per poco, due punti percentuali, se si guardano i voti assoluti. Per molto di più se si contano i grandi elettori che concretamente eleggeranno il presidente. La Camera dei Rappresentanti è sempre dei Repubblicani e il Senato dei Democratici. Messa così sembra che non sia cambiato nulla. Ma non sempre i numeri forniscono le giuste chiavi interpretative, le elezioni di quattro anni fa sono molto più lontane di quanto dica il numero di anni. In mezzo è esplosa una crisi economica che ha fatto precipitare i redditi dei lavoratori americani a più di due decenni fa.

E’ stata la campagna presidenziale più dispendiosa di sempre, con oltre il 70% degli spot televisivi contro l’avversario invece di sostenere le proprie proposte e il proprio programma. I due candidati hanno speso circa un miliardo di dollari ciascuno, un po’ di più Obama. Sono state anche le elezioni dei Super Pac, cioè della possibilità di finanziamento dei candidati al di fuori di ogni controllo legale.Una campagna elettorale durata un anno e mezzo dove molte volte si faceva fatica a cogliere le reali differenze tra i due candidati su molti argomenti. La "perfect beast", la bestia perfetta, il nome dato al quartier generale di Obama composto da 300 analisti, sondaggisti, spin doctors – che da gennaio ha gestito e controllato ogni iniziativa e ogni dichiarazione – ha sconfitto un Partito Repubblicano uscito profondamente diviso dalle primarie. Una vittoria tutta giocata sul "meno peggio" e contro la disillusione verso una presidenza che non ha mantenuto le promesse di quattro anni fa. La lista è lunga, da una cosiddetta riforma sanitaria che non scalfisce il dominio delle lobbies delle assicurazioni sanitarie, a una legge contro le speculazioni di Wall Street rimasta sulla carta, a diritti sindacali mai visti, all’aumento della tassazione su salari e stipendi.

Quattro anni fa la vittoria di Obama aveva potuto contare su una parziale mobilitazione civile, sull’attivazione di alcune forme di partecipazione. Qui sta tutta la differenza. Oggi, nonostante gli sforzi dei piccoli e grandi media democratici e delle principali organizzazioni sindacali, questo non c’è stato e non è riuscita l’operazione di coinvolgere seppur indirettamente il movimento Occupy. Una campagna elettorale tutta ripiegata su questioni interne, a partire dalla crisi che falcidia redditi e diritti. Romney ha cercato di uscire dall’angolo, a settembre era dato per completamente spacciato, con una disperata corsa verso il centro – attenuando e ammorbidendo le posizioni iniziali su aborto, immigrazione e tagli alla spesa statale – lanciando un messaggio preciso: un conto è la campagna elettorale un altro è la politica del Presidente degli Stati Uniti. Prima di uscire di scena però un risultato lo ha ottenuto. Nell’ultimo mese, nonostante le sue gaffe, gli sproloqui sui 23 milioni di nuovi posti di lavoro e la scarsa consistenza del personaggio, ha mostrato tutta la debolezza politica dell’avversario. Secondo un anonimo analista dello staff di Obama l’uragano Sandy ha certamente seminato morte e distruzione ma ha anche permesso di rilanciare l’immagine del Presidente come "comandante in capo". Ora per i governatori repubblicani che si sono aggrappati ad Obama per il risarcimento dei danni, per il sindaco di New York che lo ha sostenuto, per Marchionne in versione spot elettorale – per fare solo alcuni esempi – si va all’incasso.

L’America è divisa, questo il commento che campeggia sulla maggioranza dei siti web e dei giornali. Lo sceriffo della contea di Alameda, un feudo democratico con capoluogo Oakland, un paio di settimane fa ha chiesto l’utilizzo dei droni predator per questioni di ordine pubblico. Si tratta, ancora una volta, di capire dove passano le divisioni e tra chi e chi.