RUSSIA- il regime di Putin visto dalla sinistra anticapitalista

Sviluppi del sistema del “consenso patriottico” putiniano e attuale andamento economico-sociale

Movimento socialista russo (RSD)*

Da quasi un quarto di secolo, la Russia conosce un’impasse storica. L’impossibilità di un armonico sviluppo delle vecchie forme economico sociali ha comportato la rottura dell’ordine costituzionale nel 1993. Le prospettive che ne sono derivate per i successivi decenni sono state l’arretramento sociale e lo smantellamento delle istituzioni che organizzavano l’esistenza di milioni di persone. Alla fine degli anni Novanta, come strumento per preservare la nuova architettura della società e, al contempo, impedire una sollevazione sociale in Russia, il regime di Putin si è imposto come compromesso tra l’approfondimento delle trasformazioni sotto il regno del mercato e il rafforzamento del ruolo dello Stato.

1. La vittoria di Vladimir Putin alle elezioni presidenziali del marzo 2012 ha segnato una svolta conservatrice del regime, ridefinendo il contenuto del consenso intorno alla figura del presidente. L’aggressiva reazione contro il Maidan di Kiev, l’annessione della Crimea e l’intervento “ibrido” in Ucraina orientale avevano lo scopo di trasformare i rapporti tra il potere e la società. In questo senso, gli avvenimenti del 2014 hanno confermato la vecchia formula di Clausewitz: «la guerra è la continuazione della politica…». Da allora, il sostegno al potere costituito non si presenta più come una scelta razionale, ma come un dovere civico, una sorta di devozione patriottica verso il proprio paese.

Tale nuovo contenuto ideologico è stato formulato in maniera succinta da Viačeslav Volodin: «Con Putin la Russia esiste, senza Putin niente Russia». Una personificazione del genere significa nei fatti che la figura di Putin in quanto “padre” simbolico si innalza al di sopra delle politica quotidiana. Si può essere liberale o nazionalista, favorevole al controllo statale dell’economia o sostenitore del libero mercato, chiedere le dimissioni dal governo di alcuni ministri e governatori, ma il nesso “Putin, Crimea, Russia” non si può mettere in dubbio né discutere. Coloro che dissentono nella sostanza da questo si collocano semplicemente al di fuori dei limiti dello spettro politico russo e diventano “traditori della nazione”.

In questa logica, la responsabilità della forte riduzione del tenore di vita e delle nefaste conseguenze delle misure neoliberiste “anticrisi” è di tutti, di chiunque si voglia – escluso il presidente. Anche adesso che l’effetto della propaganda sul “ritorno della Crimea” comincia chiaramente a smussarsi, la quotazione personale di Putin rimane alta. Il sostegno al potere in carica non si discute e diventa un dovere civico. E il problema dello statuto della Crimea rimuove del tutto la questione di sapere a chi appartenga il nostro paese.

2. È in questo quadro di mutamenti ideologici della struttura del potere che avviene la preparazione delle elezioni politiche previste per settembre.

Per tutta l’era Putin, le elezioni politiche e presidenziali facevano parte di un solo ciclo politico, condotto secondo uno scenario unico: il successo trionfale del partito “Russia unita” doveva anticipare e garantire l’ancor più clamoroso successo di Vladimir Putin. Nel dicembre 2011, il meccanismo è fallito: la frode su larga scala a favore di “Russia unita” ha suscitato massicce manifestazioni, i cui partecipanti hanno espresso il proprio sdegno per il regime politico nel suo complesso.

Oggi, la nuova logica politica del “terzo mandato” di Putin punta a interrompere quel ciclo. Nel quadro di un forte calo di fiducia nel governo, il Cremlino ha preso nell’estate del 2015 la decisione di anticipare le elezioni politiche da dicembre a settembre del 2016 e rinviare le presidenziali a marzo del 2018 – protraendo così la durata del mandato a 6 anni. Il senso della manovra è evidente: ormai le elezioni politiche e quelle presidenziali non devono più essere le due parti del medesimo scenario, ma due imprese politiche completamente distinte. In un primo tempo, il limitato numero di partiti che compongono la sinfonia del “consenso patriottico” criticherà il governo e i suoi avversari, rivaleggiando così per attirare a sé la simpatia del settore scontento della popolazione. In un secondo tempo, il sostegno a Putin come candidato al posto di presidente dipenderà dallo spirito patriottico “organico”.

Già oggi, l’“opposizione ufficiale” – il Partito comunista della Federazione di Russia (KPRF) e “Russia giusta” – si concentrano nelle loro campagne elettorali su un’aspra critica del governo, chiedendone addirittura le dimissioni. Entrambi i partiti, pilotati dall’amministrazione del Cremlino, fanno da barometro delle critiche tollerabili. Gennadij Zjuganov e Sergey Mironov hanno sostenuto tutte le iniziative politiche importanti del Cremlino: dalle nuove leggi repressive contro gli “agenti stranieri” fino all’appoggio militare al regime di Bashar al-Assad in Siria. Al tempo stesso, esprimendosi come ala sinistra dello spettro politico, sfoggiano un ampio ventaglio di opinioni all’interno del consenso putiniano, che autorizza la critica di alcune decisioni impopolari. In situazioni di ascesa del malcontento sociale (ancora prevalentemente passivo), il partito “Russia unita”, che non solo guida il governo ma anche la maggioranza assoluta dei governatori, può diventare il rituale “capro espiatorio”.

Tuttavia, questo prevedibile scenario elaborato dal Cremlino potrebbe anche essere soppiantato da un altro, connesso al rafforzarsi delle strutture militar-poliziesche e alla loro sempre più attiva concorrenza interministeriale. Avviato con la creazione della Guardia nazionale, questo processo va crescendo: ogni struttura di potere svolge la propria promozione non solo per ricordare che esiste ma anche per dimostrare ai ministeri concorrenti la propria capacità di lotta, unica e indispensabile, contro la potenziale minaccia.

Ad esempio, Alexander Bastrykin propone in un recente articolo programmatico di annullare le elezioni, che potrebbero essere troppo rischiose. Egli fa decisamente appello a cessare «di giovare alla farsa della democrazia» e a dare ai nemici «una decisa risposta, adeguata e simmetrica […] in vista delle prossime elezioni». Con la nomina di Tatiana Moskalkova, anche l’apparato del mediatore per i diritti umani, finora neutro, sembra trasformarsi in nuovo bastione della lotta alle cospirazioni.

Evidentemente, questo gesticolare è legato al fatto che l’accentuarsi della crisi economica e sociale non ha per il momento conseguenze politiche visibili: non ci sono ribellioni spontanee di massa, né scioperi di settori (mentre aumenta il volume totale dei conflitti lavorativi).

Il ridimensionamento del ruolo degli organismi eletti degli enti amministrativi della Federazione a vantaggio degli alti funzionari nominati che rappresentano gli interessi dell’esecutivo è parte integrante del deterioramento del complesso del sistema politico.. La riforma delle collettività locali del 2014, che ha soppresso l’elezione diretta dei sindaci di alcune grandi città e ha privato le assemblee municipali del loro potere di stabilire le modalità di elezione dei capi di città e quartieri, rientra nella logica tendente a sottrarre i poteri dei governanti al controllo delle popolazioni e a insediare élites politiche locali in osmosi con gli ambienti d’affari. Nel quadro della distribuzione dei bilanci da parte del centro federale e della concentrazione del potere nelle mani di capi (“piccoli principi”) locali inamovibili, che non sono minimamente responsabili verso i cittadini, il modello di governo repressivo putiniano si demoltiplica.

3. Le conseguenze sociali della crisi economica hanno ormai raggiunto la maggioranza della popolazione. La propaganda che spiega la situazione con le macchinazioni dell’Occidente è percepita come sempre meno convincente. L’introduzione di sanzioni internazionali e il crollo dei prezzi del petrolio iniziato nel 2014 hanno intensificato il calo della produzione, cominciato a partire dal 2012. Inoltre, alla fine del 2014, mentre il crollo del rublo sul mercato dei cambi aveva raggiunto l’apice, il Primo ministro Medvedev ha ammesso che la Russia “non usciva dalla crisi del 2008”. La crisi mondiale non solo si è ripercossa sulla debolezza dell’economia russa, ma ha provocato il lento tracollo di tutto il sistema del capitalismo post-sovietico, il che ha portato a un nuovo rafforzamento dell’attività militare e a quello del regime nel paese. Del pari, negli ultimi due anni, la forte riduzione degli introiti petroliferi, insieme al blocco delle possibilità di rifinanziamento delle banche russe in Occidente, ha ridotto i margini di manovra del governo. La strategia precedente – riempire i buchi nell’economia grazie all’enorme fondo di riserva del governo – è ormai pressoché esaurita. Per cui l’ampiezza della crisi attuale rende più realistica la prospettiva di una catastrofe.

Ad esempio, alla fine del 2015, il rallentamento dell’economia russa era segnato da un arretramento del PIL del 3,7%, l’inflazione arrivava al 15,5% (con un picco del 16,9% nel marzo 2015). Nel corso di quel breve periodo, è impressionante il tasso di povertà: il numero di persone con un reddito sotto la soglia di povertà è passato da 16,1 a 19,2 milioni (cioè il 13,4% della popolazione). Va notato che alla fine dello scorso anno la soglia di povertà è stata ufficialmente stabilità dal governo a 9.452 rubli (circa 123 euro). E quanta gente con redditi solo leggermente al di sopra di questa cifra irrisoria supera la soglia ufficiale di povertà? Inoltre, stando a un recente sondaggio, il 73% dei russi non ha risparmi “per i tempi bui”, spendendo l’intero salario per lo stretto necessario.

In questo quadro, i dati della disoccupazione non sono apparentemente così cattivi: le statistiche ufficiali indicano un tasso del 5,8% (4,4 milioni di persone). Sono dati che comprendono anche coloro che cercano attivamente un posto di lavoro senza essere registrati come disoccupati. Al tempo stesso, nel primo trimestre del 2016, il numero di quelli che sono ufficialmente dichiarati disoccupati è cresciuto di 70.000, raggiungendo così il 6% degli attivi, secondo l’ufficio statistico Rosstat. Il persistere di una relativamente debole crescita della disoccupazione in una situazione di rapidissimo calo del tenore di vita si spiega con le misure governative di preservazione di un’attività formale (con diminuzione dei salari e riduzione dell’orario di lavoro. Così, la pratica dei congedi di lunga durata non retribuiti” è ricorrente nelle grandi imprese industriali. La “conservazione della stabilità sociale” è un motivo importante non tanto nelle grandi metropoli, dove in caso di licenziamento è possibile trovare un altro lavoro mal pagato, ma nelle presunte città “mono-industriali”, costruite in epoca sovietica intorno a industrie-pilota. In caso di tagli all’occupazione in queste fabbriche, una parte significativa della popolazione della città passa immediatamente nella categoria dei disoccupati di lunga durata, e queste città diventano potenziali luoghi di esplosione sociale.

La contraddizione – tra conservazione del posto di lavoro (per evitare il brusco crollo dei redditi della popolazione) e l’adozione di ricette d’austerità contro gli effetti della crisi – è stato il fondamento della politica di bilancio della Russia negli ultimi due anni. Al momento di varare il bilancio del 2016, il Primo ministro Medvedev ha annunciato: «Non potremmo rispettarlo senza una razionalizzazione delle spese e occorre farlo non semplicemente come abbiamo fatto troppo spesso, aumentando il fardello fiscale sul mondo degli affari, ma riducendo le spese inefficaci». Nel novero di tali spese Medvedev include ad esempio l’indicizzazione delle pensioni. Così, si propone di eliminarla completamente per i pensionati che lavorano (14,9 milioni di persone) e di livellare l’indicizzazione delle pensioni in generale al 4% (laddove l’inflazione che si prevede ufficialmente sarebbe almeno del 10%). L’innalzamento a 65 anni dell’età pensionabile resta uno dei principali strumenti ipotizzati per combattere il passivo di bilancio. In ogni caso, l’attuazione pratica di questa misura è rinviata per motivi evidenti a dopo le elezioni politiche, se non dopo le presidenziali (il numero totale di pensionati in Russia ammonta ormai a 41,4 milioni di persone, quasi un terzo della popolazione).

Il meccanismo di scala mobile dei salari nel settore privato è poco elaborato nella legislazione del lavoro in Russia e presenta, di fatto, il carattere di “raccomandazione” (va deciso nei contratti collettivi, che esistono solo nelle imprese maggiori). Negli ultimi due anni i lavoratori del settore pubblico non hanno goduto della scala mobile dei salari. È significativo che l’aumento dei salari per questo settore (che non potrà compensare neppure la perdita legata all’inflazione) sia pianificato dal governo per l’autunno del 2016 e verrebbe evidentemente utilizzato a scopi propagandistici alla vigilia delle elezioni.

Benché sia l’austerità ad aver orientato il bilancio 2016, con tagli di spesa significativi nell’istruzione e nella sanità, pochi mesi dopo la sua adozione è stato ulteriormente ridotto del 10%. La stessa struttura degli introiti statali – i profitti dell’esportazione del gas e del petrolio sono in questo essenziali (fino al 70%) – implica per il futuro tagli continui nel bilancio.

4. A quanto pare, la cerchia dirigente putiniana non ha alcun piano a lungo termine per salvare l’economia nazionale. Le “misure anticrisi” adottate puntano piuttosto a preservare lo statu quo sociale, fino al naturale rialzo ad esempio del prezzo del petrolio. L’illimitato cinismo del gruppo dirigente va insieme in modo spettacolare a una fede quasi mistica nel “braccio invisibile del mercato” che lo salverà, più o meno come agli inizi degli anni 2000, quando l’impennata dei prezzi del petrolio era sembrata una variabile dono del destino. Nel dicembre 2014, subito dopo il “martedì nero” (quando il rublo è precipitato di 15 punti), Vladimir Putin è quindi stato abbastanza sincero dichiarando che «la crescita è inevitabile, soprattutto perché cambierà l’ambiente economico esterno».

La logica di “megaprogetti” – programmi prioritari con responsabilità personali [dei capi esecutori] e dei tempi di realizzazione limitati, che concentrano le risorse e gli sforzi dell’apparato burocratico (ad esempio i Giochi olimpici, l’integrazione della Crimea annessa, la costruzione del cosmodromo di Vostotchny, ecc.) – è un tratto tipico del putinismo. Giganteschi cantieri, lanciati regolarmente a partire dalla seconda metà degli anni 2000 e che richiedono colossali risorse di bilancio, sono stati presentati come strumento per indirizzare socialmente i sovrapprofitti del petrolio: ciascun progetto comporta la creazione di posti di lavoro e investimenti in infrastrutture, il che dovrebbe voler dire un risultato economico positivo. In realtà, i vantaggi di questi lavori spettano alle grandi imprese, che ottengono le commesse e la garanzia bancaria dallo Stato; quanto ai “posti di lavoro” creati, risultano ben presto una trappola per i lavoratori che, sotto la pressione padronale e della macchina burocratica statale non possono difendere i propri diritti (lo si è visto in maniera particolarmente clamorosa con i lavoratori ingannati al momento dell’ installazione dei giochi di Soči e del cosmodromo di Vostotchny).

Per farle breve, il concetto di megaprogetti presentato dallo Stato russo come lo strumento per redistribuire le rendite petrolifere a favore del popolo si rivela in realtà uno strumento per arricchire rapidamente una microscopica élite a detrimento della popolazione. Eppure i propagandisti riescono ancora a focalizzare l’attenzione sui “successi” di questi progetti (grazie all’autorità del loro principale padrino, il presidente della Federazione di Russia) e a passare sotto silenzio la loro perversione catastrofica. È così che le iniziative “anticrisi” del governo sono determinate soprattutto dalla volontà di garantire a ogni costo la rielezione di Putin nel 2018. Ma cosa accadrà poi? Attualmente, sono pochi quelli che se ne preoccupano,

Al tempo stesso, un’altra logica neoliberista si delinea chiaramente dietro tutto questo: sfruttare la recessione economica e la pauperizzazione della popolazione per promuovere “riforme strutturali” che restringano radicalmente le normative sociali e il costo della forza lavoro. Ad esempio, stando alla stima di esperti della banca di Stato Vnesheconombank [Banca per lo sviluppo], l’incompleta indicizzazione e il permanere di bassi salari della popolazione comporteranno che, nel 2017-2018, la percentuale dei profitti lordi supererà quella della massa salariale e il paese tornerà ad essere attrattivo per gli investitori.

A questo sono collegate le discussioni sulla possibile privatizzazione di importanti risorse statali pubbliche, tra cui le ferrovie o Sberbank, la maggiore banca di Russia. Non è un caso che, mantenendo le sanzioni, la missione combinata del FMI e della Banca Mondiale riunitasi a Mosca questo marzo ha altamente apprezzato il corso “anticrisi” del governo russo. La recente nomina di Alexej Kudrin al Consiglio economico presso il presidente rientra in questa tendenza.

5. È importante rilevare che la ricerca di nuove fonti di reddito statale nel contesto della crisi che si approfondisce e di calo dei prezzi degli idrocarburi si tradurrà sempre più nella militarizzazione dell’economia e di conseguenza in una politica estera aggressiva. Nel corso degli ultimi anni, gli investimenti su grande scala nella produzione di armamenti hanno costituito una delle principali priorità del governo, mentre nel 2016 il bilancio militare ha raggiuto il 4% del PIL (+0,8 rispetto all’anno precedente). Al di là degli obiettivi di politica estera, l’intervento in Siria ha chiaramente svolto il compito di fare pubblicità alle ultime innovazioni militari. Così, uno dei risultati è stato la commessa da parte dell’India, dell’Algeria e di altri paesi, per l’ammontare complessivo di 7 miliardi di dollari, di caccia bombardieri ed elicotteri militari russi.

Sia l’aggressione “ibrida” in Ucraina, sia le operazioni militari in Siria non si legano ai soli giochi geopolitici e alla lotta per imporsi di fronte all’Occidente. Sono direttamente connesse alla crisi sempre più profonda dell’intero sistema politico ed economico del capitalismo russo. Le scelte di guerra che si sono fatte consentono di rafforzare la legittimazione del potere all’interno del paese – sia nell’insieme della popolazione sia in seno all’élite dirigente.

6. Uno dei principali elementi costitutivi del “consenso patriottico” fino a questi ultimi tempi è stata la criminalizzazione di tutto il malcontento politico o sociale. La massiccia propaganda anti-Ucraina, che riempie i mezzi di comunicazione di massa governativi dall’inizio del 2014, ha posto sistematicamente l’accento sul nesso tra una larga protesta e l’inevitabilità del caos e della pauperizzazione. Il classico argomento conservatore dell’”inanità”,[i] secondo cui soddisfare nel modo migliore le aspettative delle masse non condurrebbe in definitiva se non a peggiorare la situazione sociale, è stato usato fin dall’inizio. L’altra faccia dello stesso argomento consiste nel denunciare l’esteriorità di tutti i conflitti sociali: dietro ognuno di questi si celerebbe l’ambizione da parte di forze esterne di lacerare la situazione e di portare, alla fine dei conti, a un cambiamento di regime che avrebbe catastrofiche conseguenze per l’indipendenza nazionale del paese. Ogni sciopero o movimento sociale locale veniva immediatamente definito come «tentativo di organizzare un nuovo Maidan». Per giunta, la nuova retorica “post-Crimea” del Cremlino ha cementato la posizione dei cacicchi statal-affaristi locali. Pur di conservare il potere, bastava loro denunciare qualsiasi concorrente politico come agente di forze rivoluzionarie sovversive. Si può constatare che solo verso la fine del 2015 queste formule propagandistiche hanno cominciato a perdere la loro forza.

Le proteste, legate a varie manifestazioni della crisi e del corso governativo “anticrisi” sono sempre più numerose, benché restino attualmente molto lontane non solo dalla formulazione del proprio programma alternativo, ma anche dal coordinamento dell’azione a livello nazionale.

Quella più significativa è stata l’iniziativa di protesta degli autotrasportatori, cominciata nel novembre 2015.[ii] Fin dall’inizio, il potere ha preso inequivocabilmente posizione: non si farà alcuna concessione su questo, né si rivedrà in nessun caso l’ammontare delle tasse. Una fortissima pressione politica, ma anche l’assenza di una forte organizzazione degli autotrasportatori in grado di coordinare il loro movimento di protesta in un contesto difficile, ha portato all’estinguersi progressivo del loro movimento.

Dopo il 2015, il numero di proteste nell’ambiente dei lavoratori dipendenti aumenta – azioni spontanee od organizzate da sindacati indipendenti – contro la riduzione dei posti di lavoro, i tagli o i ritardi nel pagamento dei salari. Lo scorso anno, ad esempio, il numero delle proteste è cresciuto del 40% rispetto al 2014. Fra i partecipanti agli scioperi (scioperi di un giorno o articolati) vi sono lavoratori di grandi industrie di produzione, settori pubblici (ospedali, impiegati comunali), lavoratori dei servizi e anche di fabbriche d’armi.

I partiti d’opposizione che fanno parte del “consenso patriottico”, il KPRF e “Russia giusta”, svolgono un ruolo sempre maggiore nel disorientare i partecipanti a queste iniziative finora disparate. Non esiste un’organizzazione forte, disposta ad impegnarsi nel conflitto, dei lavoratori in lotta; questi cercano perciò mediatori politici, che dispongono di risorse e sono, quindi , evidentemente inseriti nel sistema, in grado di far conoscere le loro rivendicazioni. È fin d’ora visibile che questa funzione di “valvola di sicurezza”, abituale nelle comunità russe durante gli anni Novanta, è sempre più ricercata dal Cremlino e organicamente incorporata nella logica della campagna elettorale lanciata da un parlamento da operetta.

Da parte sua, l’opposizione liberale, che si colloca in linea di principio fuori dal sistema politico istituzionale e insiste sulla necessità di una sua trasformazione democratica radicale, rimane isolata dalla collera sociale crescente. In primo luogo, questo dipende dalla sua tradizione politica e dalla sua natura sociale. Sulla scia dell’ondata dei “riformatori liberali” della fase El’cin, alcuni leader quali Michail Kas’janov e Alexej Naval’nyj ritengono che la chiave dei mutamenti stia nel malcontento soprattutto di settori del medio e del grande capitale. Inoltre, Kas’janov – come l’emigrato politico Chodorkovskij – ammette la possibilità di un lavoro comune in una futura “Russia libera”, con esponenti in vista dell’ala liberista dell’establishment putiniano, ad esempio l’ex ministro delle Finanze Alexej Kudrin, l’attuale capo della Banca centrale Elvira Nabiullina e il direttore della banca di Stato Sberbank, Herman Gref. La rivendicazione di epurazione di funzionari corrotti e di trasformazione democratica del sistema si combinano intimamente, per l’opposizione liberista radicale, con il riconoscimento della necessità di “riforme di struttura” e l’arresto del conflitto con l’Occidente. Lo smantellamento del regime personale [di Putin] sembra loro dover prendere piuttosto la forma di un cambiamento dei vertici in collaborazione con la cerchia dirigente attuale, mentre considerano il movimento di piazza un fattore di pressione secondario.

7. La sinistra radicale, che non fa parte dell’opposizione “consenso patriottico”, né della fronda liberista, deve trovare un legame con questo movimento crescente di protesta sociale non ancora strutturata sul piano organizzativo né su quello politico. Il problema, tuttavia, è che anche questa sinistra radicale si trova essa stessa in una situazione di declino. Alcuni dei suoi ben noti portavoce, ad esempio Sergej Udal’cov e Alexej Gaskarov, sono ancora in prigione. Gli avvenimenti in Ucraina hanno anch’essi provocato una scissione profonda nella sinistra, una parte della quale ha nei fatti sostenuto l’intervento russo.

In questa situazione, dobbiamo cominciare a elaborare un grande programma di cambiamento, basato sulla necessità di revisione dei rapporti di proprietà attualmente esistenti, emersi dalla privatizzazioni di El’cin e di Putin. La naturale conseguenza di questa revisione è la necessità di smantellare l’intero sistema politico generato dalla Costituzione ultra-presidenziale del 1993, al cui posto occorre instituire una repubblica parlamentare. Un programma del genere dovrebbe garantire il riconoscimento del valore della democrazia politica non come uno strumento, ma come principio fondamentale di potere del popolo indispensabile per la realizzazione coerente delle aspirazioni all’uguaglianza sociale.

La crisi che si aggrava, nonché l’indebolimento costante della magia del “consenso patriottico”, offrono nuove opportunità di promuovere la politica democratica e socialista: la tattica di intervento della sinistra negli sviluppi dell’attuale situazione si dovrà costruire sulla base dell’analisi presentata e degli obiettivi strategici designati.

Traduzione dal francese di Titti Pierini [da Inprecor, nn.629-630, luglio-agosto 2016]


* Risoluzione politica del VI Congresso del Movimento socialista russo (Mosca 8-9 maggio 2016 (http://anticapitalist.ru/documents/rezolyuczii/politicheskaya_rezolyucziya_vi_sezda_rsd.html).

[i] L’argomento si fonda sull’osservazione selettiva degli effetti delle sollevazioni sociali: ad esempio, poiché dopo la rivoluzione in Ucraina il potere è stato preso di nuovo da una manciata di membri dell’élite antipopolare questo dovrebbe ripetersi in tutte le rivoluzioni future e in questo modo tutti i tentativi di trasformazione sociale si decretano privi di senso e addirittura pregiudizievoli. Per dimostrare l’inanità dei cambiamenti gli esempi che si prendono sono sempre quelli di rivoluzioni finite nella restaurazione. In questo modo, gli effetti positivi della trasformazione sociale non si richiamano mai. [Nota del MSR]

[ii] Si tratta di un movimento contro la tassa per chilometro fissata a 3,73 rubli/km imposta ai veicoli superiori alle 12 tonnellate a partire dal 15 novembre 2015, la cosiddetta “Platon” (abbreviazione dal russo “palti za tonou” =pagare a tonnellata). La tassa viene prelevata da RT-Invest Transportnye Systemy, creata allo scopo da Igor Rotenberg, figlio di un amico di Putin, e dalla corporazione nazionale russa Rostec (che occupa 900.000 persone). RT-Invest Transportnye Systemy avrebbe investito 29 miliardi di rubli, 27 dei quali sono un prestito concesso dalla banca pubblica Gazprombank, diretta da personaggi vicini a Putin (Nota di Inprecor).