Tanuro: l’accordo sul clima tra Cina e Stati Uniti:

Concluso l’accordo sul clima tra Cina e Stati Uniti:

troppo poco, troppo tardi, pericoloso

Daniel Tanuro

 

Ha avuto ampia risonanza nei mezzi di comunicazione di massa l’accordo con cui Stati Uniti e Cina si impegnano a ridurre le rispettive emissioni di gas a effetto serra, al fine di limitare i cambiamenti climatici.

Reso pubblico qualche settimana dopo che l’Unione Europea avesse fatto conoscere i propri obiettivi di riduzione delle emissioni,[1] questo accordo accresce notevolmente la probabilità che la Conferenza sul clima che si terrà a Parigi alla fine del 2015 (COP21) non sarà la ripetizione di quella di Copenaghen (2009) e che approderà a un’intesa internazionale in piena e debita regola.

Al tempo stesso, il tenore degli impegni assunti da entrambi i maggiori responsabili di emissioni di gas a effetto serra conferma l’ancor maggiore probabilità che l’accordo internazionale sarà insufficiente dal punto di vista ecologico e tecnologicamente pericoloso, quindi socialmente ingiusto.

 

Impegni della Cina

 

Partiamo dal versante cinese dell’accordo. Il testo presentato a Pechino da Barak Obama e Xi Jinping stipula che la Cina comincerà a ridurre in valore assoluto le proprie emissioni al più tardi entro il 2030 e che le fonti “zero-carbone” copriranno a quella data il 20% dei bisogni energetici del paese.

Per avere un’idea di queste promesse occorre sapere che le fonti “zero-carbone” rappresentavano in Cina nel 2013 il 9% del consumo energetico primario e che il XII Piano quinquennale punta al 15% nel 2020. Al ritmo degli investimenti, arrivare al 5% in più in dieci anni non sarà una grande impresa: nel 2012 sono stati investiti in energie “non fossili” 65 miliardi di dollari.

Occorre anche sapere che “fonte zero-carbone” non significa “fonte rinnovabile”. L’energia delle grandi dighe idrauliche e delle centrali nucleari non è rinnovabile (le dighe vengono colmate dalle alluvioni, le riserve di uranio sono limitate), ma vengono ugualmente considerate “zero-carbone” o “basso-carbone”. Nell’aprile 2014 la Cina disponeva di 20 reattori nucleari operanti e altri 28 erano in costruzione (tra cui 2 EPR). Sospeso dopo Fukushima, il programma nucleare è ora ripartito tranquillamente: la potenza installata dovrebbe più che triplicare di qui al 2020…

Occorre infine sapere che, secondo il GIEC, rispettare il livello limite di 2°C tenendo conto delle “responsabilità differenziate” dei vari gruppi di paesi (“sviluppati”, “emergenti” e “altri”) implica che paesi come la Cina accrescano la loro efficienza energetica – quindi riducano le loro relative emissioni – del 15-30% (in funzione del loro grado di sviluppo). Con un obiettivo del 20% la Cina si colloca decisamente verso il basso della scala.

 

Impegni USA

 

Passiamo ora agli impegni statunitensi. Al termine dell’accordo, gli USA si impegnano a ridurre le loro emissioni del 26-28% di qui al 2025, rispetto al 2005.

Secondo i dati dell’agenzia americana per l’ambiente (EPA), nel 2005 gli Stati Uniti emettevano 7.254 gigatonnellate (Gt) di gas a effetto serra. Una riduzione del 26% nel 2025 significherebbe dunque che le emissioni vengano riportate a 5.368 Gt (5.223 per il 28%).

Vari elementi meritano di essere richiamati per capire bene che cosa significa questo obiettivo:

Secondo il protocollo di Kyoto (che gli USA hanno firmato ma mai ratificato), lo Zio Sam avrebbe dovuto ridurre le proprie emissioni dell’8% nel 2012, rispetto al 1990. Il che significa che le emissioni sarebbero dovute passare da 6.233 Gt (dato del 1990) a 5.734 Gt (invece, sono aumentate dello 0,2% annuo, mediamente, per raggiungere 6.526 Gt). In altri termini, Obama si impegna a fare nel 2025 poco meglio dell’obiettivo che gli USA avrebbero dovuto raggiungere due anni fa.

Le emissioni USA sono aumentate dal 1990 al 2005, dopodiché sono scese dell’1,4% annuo, mediamente. La diminuzione è soprattutto il risultato finale del fatto che nella produzione di elettricità il gas di scisti si è in parte sostituito al carbone. Ora, in base all’accordo, le emissioni USA passeranno da 6.526 Gt nel 2012 a 5368 nel 2025… vale a dire una riduzione di 96 Gt/anno (- 1,4%, appunto). In altri termini, di qui al 2025, Obama si impegna semplicemente a mantenere l’attuale ritmo di riduzione delle emissioni… con il catastrofico sfruttamento del gas di scisti.[2]

Ultima cosa nell’ordine di elencazione, ma non per importanza : secondo il GIEC, per avere una ragionevole possibilità di non superare troppo 2°C di aumento della temperatura, sempre rispettando il criterio delle “responsabilità differenziate” tra gruppi di paesi, le emissioni dei paesi sviluppati dovrebbero di minuire del 25-50% di qui al 2020, rispetto al 1990. Nel caso degli USA, questo comporterebbe un obiettivo di emissioni compreso tra 4.665 GT (-25%) e 3.740 Gt (-40%)… nel 2020. Da confrontare con l’accordo: 5.368 Gt nel… 2025.

 

Nucleare, gas di scisti, cattura-sequestro…

 

Vediamo ora con quali mezzi Stati Uniti e Cina contano di raggiungere i propri fini. Il testo dell’accordo ha il merito della chiarezza: «Le due parti intendono continuare a rafforzare il reciproco dialogo politico e la loro collaborazione pratica, inclusa quella sulle tecnologie carbonifere avanzate, l’energia nucleare, il gas di scisti e le energie rinnovabili, cosa che contribuirebbe a ottimizzare il mix energetico e a ridurre le emissioni, incluse quelle del carbone, in entrambi i paesi».

L’espressione “tecnologie carbonifere avanzate” si riferisce soprattutto alla cattura-sequestro geologico di CO2. Ho attirato l’attenzione altrove sul fatto che questa tecnologia da apprendista stregone si sta imponendo come LA soluzione capitalistica di compromesso (quindi zoppicante) tra la lotta contro il riscaldamento climatico e gli interessi delle multinazionali fossili.[3] L’accordo Cina- USA conferma questa valutazione. Prevede infatti: «l’impianto in Cina di un nuovo progetto di fondo per lo stoccaggio del carbone tramite un consorzio pubblico-privato internazionale diretto dagli Stati Uniti e dalla Cina, allo scopo di studiare investimenti e pilotare lo stoccaggio del carbone utilizzando CO2 industriale, come pure di lavorare insieme a un nuovo progetto pilota di maggior recupero di acqua (Enhanced Water Recovery) per produrre acqua dolce grazie a iniezione di CO2 in acquiferi salini profondi».

Tanto per chiarire: le due grandi potenze che sono la Cina e gli Stati Uniti vogliono continuare a bruciare le loro grandi riserve di carbone (200-300 anni all’attuale ritmo di consumo!), ma immagazzinando sotto terra la CO2 prodotta tramite combustione.

La cattura-sequestro è una delle tecniche di “geo-engineering” ideate da questi “dottori Stranamore” per i quali la crescita capitalistica è una legge naturale più inevitabile dell’attrazione delle masse… Ora, i pericoli della cattura sono seri, a partire da quello di una massiccia fuga di CO2 in caso di terremoti (che la cattura potrebbe addirittura provocare, secondo alcuni!).

Ma niente deve intervenire a ostacolare la corsa al profitto. Gli Usa mettono a disposizione la tecnologia, la Cina offre siti per l’immagazzinamento. In questo modo, e sotto l’egida del “Partito Comunista”, l’atelier del mondo capitalistico potrà continuare a utilizzare combustibili fossili per produrre a basso costo merci massicciamente vendute sui mercati occidentali. Per giunta, l’iniezione di CO2 negli acquiferi salini profondi consentirà di recuperare un’acqua che, una volta dissalata, costituirebbe una preziosa risorsa sfruttabile… in cambio, naturalmente, di moneta sonante e malcerta.

 

Questi folli che dirigono il mondo

 

Per il sistema, la politica di lotta contro il mutamento climatico è inconcepibile se non nella misura in cui consenta di fare affari. Se ci si riesce, è senz’altro una buona politica, no? Come recita l’accordo: « La comunità scientifica ha chiaramente dimostrato che l’attività umana sta già modificando il sistema climatico mondiale. Al contempo, l’evidenza economica rende sempre più chiaro il fatto che un intervento intelligente condotto ora sul cambiamento climatico può pilotare l’innovazione, rafforzare la crescita economica e produrre rilevanti vantaggi». Avanti dunque in nome dei vantaggi e la si smetta di fare le Cassandre.

L’accordo Cina-Stati Uniti sul clima fa pensare alla celebre frase di Churchill:   «Too little, too late». «Troppo poco, troppo tardi», quindi troppo rischioso, quindi anche violentemente antisociale. Infatti, non lo si ripeterà mai a sufficienza: sono i poveri che pagheranno la fattura del surriscaldamento (la stanno già pagando), e il prezzo sarà colossale.

Mobilitiamoci, con le nostre associazioni, i nostri sindacati, i nostri movimenti di donne e di giovani. Insieme, imponiamo  una transizione energetica che sia, insieme, ecologicamente efficace e socialmente equa.

 

[14 novembre 2014: http://www.lcr-lagauche.org/accord-…]

Traduzione di Titti Pierini.


[1]Cfr. in Europe Solidaire sans Frontières (ESSF – articolo 33424), “Réchauffement climatique : un accord européen en trompe-l’oeil“.

[2]Secondo Kevin Anderseon, direttore del Tyndall Center on Climate Change Research, i paesi sviluppati dovrebbero ridurre immediatamente le loro emissioni dell’11%% anno, fino al 2050.

[3]Si veda ESSF (articolo334239, “Réchauffement climatique: le cri d’alarme du GIEC”.