Un macchinario manipolatorio

 

Intervista a Nurit Peled

[Intervista di Alex Anfruns da Lille

da La brecha di Montevideo, 15-8-2014]

 

 

Nurit Peled ha perso la figlia di 14anni in un attentato suicida rivendicato da Hamas. Lei, però, ne ha incolpato anche la politica di occupazione imposta in Israele dal governo di B. Netanihau. Nurit Peled, ebrea israeliana e docente di pedagogia all’università di Tel Aviv, è autrice di Palestina nei libri di testo israeliani: ideologia e propaganda nell’istruzione, nel quale denuncia i meccanismi di indottrinamento operanti nella società del suo paese.

 

Alcune organizzazioni palestinesi definiscono la loro situazione attuale una “Nakba in corso”, contrapponendola alla Nakba del 1948 [Nakbain arabo significa “catastrofe], che in realtà non si è mai conclusa. Come giustificano gli israeliani il loro atteggiamento, a 66 anni dalla nascita della loro nazione?

Lo giustificano incessantemente, sostenendo che stanno impedendo un male maggiore. Secondo loro, è meglio far questo che soffrire poi. Non si tratta di qualcosa di tipico solo in Israele, ma accade ovunque: opprimere l’altro è sempre il male minore. Il loro pensiero può riassumersi così:” un peccato che debbano morire delle persone, ma non abbiamo avuto scelta”.

 

Si tratta in qualche modo di una visione teologica?

No, assolutamente. Una visione completamente politica. Qui non facciamo che sentire questo. Qui (in Israele) e in ogni parte del mondo: in Occidente, negli Stati Uniti… triste, ma è così: “Dobbiamo farlo per proteggerci”, è il ritornello che tirano fuori normalmente.

 

Nell’area di Betlemme a volte si parla dell’aggressività dei coloni verso i palestinesi…

Una totale disumanizzazione. Gli israeliani, sopratutto i coloni, tratterebbero allo stesso modo chiunque non fosse ebreo come loro.

 

D’altronde, uscendo da Gerusalemme e vedendo quelle belle colline, uno non può evitare di osservare come esista all’interno di Israele tanta terra disponibile. E quindi, perché andare a vivere in quelle colonie?

Perché l’acqua, le grandi riserve per tutta la regione stanno lì. E vogliono più terra perché vogliono potere, ottenere il controllo. Tuttavia, non è solo una questione di terre, perché ci sono, ma non sono interessati a sviluppare niente qui. La povertà in Israele è orribile, nessuno se ne occupa. E, di fatto, costituisce un incentivo perché la gente se ne vada nelle colonie. Lì infatti non pagano niente e ottengono gratis il trasporto, l’istruzione, gli affari, e tutto senza tasse. Per loro è un paradiso, un vero e proprio Stato di benessere. Ottengono tutto, e della miglior qualità anche senza produrre niente.

 

Quale è la situazione della sinistra in Israele?

Non ne resta molta.. La gente però delle cose le fa, esistono molte organizzazioni private che lavorano sodo, ad esempio Bet’selem, Rompendo il Silenzio, Machsom Watch, Women’s Coalition, Yesh Din, Rabbini per i Diritti Umani…, ma sono tutte private, e cioè non sono patrocinate dallo Stato,  sostanzialmente sono le stesse persone. Non esistono forze politiche, eccettuato un partito. Non si tratta di qualcosa che serva a ottenere voti. In Israele la situazione non è molto buona, l’economia è un disastro, la povertà è tremenda e c’è molta disoccupazione, ma la gente non stabilisce un nesso. Nessuno ricollega tutto questo all’occupazione e alle colonie.

 

Per cortesia, ci commenti questa citazione di Haneen Asharawi, membro del Consiglio Legislativo palestinese: “Siamo l’unico popolo del pianeta al quale si chieda di garantire la sicurezza del proprio occupante, mentre Israele è l’unico paese che fa appello a difendersi dalle sue stesse vittime”.

Sì, è la classica inversione dei ruoli, è sempre così: in Corea, in Turchia, si segue sempre lo stesso schema. Gli statunitensi salvando se stessi… da chi? Dall’Afghanistan all’Irak, sempre la stessa storia. Debbono presentare le cose in questo modo per ottenere più denaro, munizioni, per far sì che la gente si saldi all’Esercito, sia motivata. Non credo sia una cosa tipicamente israeliana. Ricordiamoci che i tedeschi avevano paura degli ebrei.  Una propaganda che non ha niente di originale.

 

Da anni circolano informazioni sui libri di testo per le scuole palestinesi in cui si presume si demonizzino gli ebrei. Ma a guardare più da vicino ci si accorge che questi testi si producono in realtà in un centro che ha sede in una colonia israeliana – Efrat -, che si chiama Centro di Vigilanza sull’Impatto della Pace.

Orribile, orribile. Quegli studi sono stati presentati al Congresso degli Stati Uniti. Ottennero mezzo milione di dollari ognuno, e Hillary Clinton ha assunto come suo consigliere personale il direttore di questa organizzazione. Sono fascisti e per giunta non hanno niente di accademico, non si dedicano assolutamente alla ricerca. In Francia, questo individuo, il professor Yohanan Manor, viene ricevuto da tutte le parti. Raccontano stupidaggini. In realtà, i palestinesi non potrebbero sostenere cose del genere, neppure se lo volessero,. Sono talmente controllati e sorvegliati, censurati dal Parlamento Europeo, dal Ministero per l’Istruzione israeliano, dall’Esercito israeliano, dalla Danimarca, dalla Banca Mondiale che fornisce il denaro, dal Giappone, che non potrebbero farlo. È una menzogna, perché non si permette loro neppure di scrivere sulla propria nazione, la propria Nakba, la propria cultura, figuriamoci quindi se si consente che scrivano di loro stessi in quei libri.

 

La maggioranza della gente, però, è pur sempre vulnerabile a questi temi, soprattutto nei paesi occidentali. Grazie a questa inversione dei ruoli, ignora quale sia la verità sulla Palestina. E questi “studi” fatti nelle colonie israeliane sostanzialmente sostengono che i palestinesi insegnano ai figli a odiare gli ebrei.

Non c’è bisogno di insegnare niente quando si vive nel campo profughi di Aida. In ogni caso, non è vero, perché è impossibile. I palestinesi non possono, mentre i libri di testo delle scuole israeliane lo fanno eccome. I libri scolastici palestinesi sono così limitati, così censurati… È interessante quel che viene raccontato in questi, perché gli israeliani non sono di certo visti come il nemico. Il nemico sono i britannici, è l’Europa, perché sono stati loro i responsabili dell’avvio del colonialismo, e Israele è molto marginale. Per loro, non è altro se non la prosecuzione del colonialismo europeo. Non presentano Israele come la “grande forza” in assoluto. È l’Europa. Questo è quello che insegnano: “Hanno offerto una terra che non apparteneva a loro a gente che non la meritava, e la presero dalla Palestina”. In quei libri Israele risulta marginale ai loro occhi.

 

Che cosa pensa dell’onnipresenza del discorso religioso in Israele?

È una manipolazione. È sempre stato così. Anche i tedeschi lo fecero e anche, in special modo, gli spagnoli. L’uso della religione si spiega con la sua enorme forza di persuasione, giacché uno può utilizzare la religione per qualsiasi cosa, per giustificare il meglio e il peggio. Non è niente di originale, anche se il sionismo lo ho appreso benissimo dai predecessori.

 

Sembra che i dirigenti politici e i grandi mezzi di comunicazione di massa si diano un gran da fare per presentare ogni conflitto in Medio Oriente da un punto di vista religioso, e che questo serva a consolidare le loro agende e l’idea dello “scontro di civiltà”.

Certo, perché serva a reclutare il popolo ebreo di tutto il mondo dicendo che l’insieme delle nazioni arabe è contro di lui. E non è vero, perché gli ebrei nei paesi arabi convivevano benissimo con i musulmani. Ma tutto questo è politico: è tutta una manipolazione. Accade in Iran, in Arabia Saudita, in India, in Pakistan, in Malesia, o dovunque si vada. Si tratti dell’islam, o del cristianesimo, o dell’ebraismo, si ripete la stessa storia. Si tratta di un’arma eccellente, molto efficace.

 

È sempre stato così in Israele, o prima era una società più secolare?

Era più secolare. La vita è dura e la gente si rivolge alla religione, una cosa che succede in tutto il mondo. Quando la vita è dura, che si può fare? Rivolgersi alla religione. È un buon rifugio rispetto ai problemi.

 

Per altro verso, anche storicamente c’è stato un uso diverso della religione. Soprattutto con la Teologia della Liberazione in America latina, in cui i curati non si adeguarono agli aspetti rituali della Chiesa, come la messa, ma volevano recuperare il messaggio originario di difesa dei poveri, incluso tramite la lotta armata.

Qui abbiamo un’organizzazione, Rabbini in favore dei Diritti Umani, e sono i migliori. Nella religione si può trovare di tutto, è come un armamentario, qualcosa che può rimediare a tutto. La laicità non ha dimostrato grandi cose, di per sé, non è mai riuscita a sostituirvisi. Anche in Russia: tutti sono andati in Chiesa il giorno dopo che l’Unione Sovietica era crollata. La religione è la forza, e i politici la usano, ovviamente. Usano tutto ciò che vogliono. Ma quello che c’è da noi non è uno scontro religioso, e non è neanche uno scontro, non ci sono due lati alla pari. È un’occupazione che continua in eterno. Non c’è qui un vero e proprio conflitto. C’è la Nakba, un “sociocidio”, un etnocidio, comunque lo si voglia chiamare, ma non è un conflitto.

 

Lo Stato di Israele ha tentato di emanare una legge per reclutare religiosi, ultraortodossi, nell’Esercito, e ha anche fatto qualcosa del genere per reclutare i palestinesi cristiani di Israele. Vi son queste due iniziative simultanee che sembrano una reazione al gesto dell’Autorità Palestinese di eliminare il riferimento all’appartenenza religiosa dalle carte di identità.

Non lo otterranno. Con gli ultraortodossi non si riesce mai a vincere. Si tratta ancora una volta, di una manipolazione politica, dovuta al fatto che qualcuno si scandalizza che non prestino servizio militare. E allora? Non lavorano neanche e non pagano le tasse.

 

Sono molti gli ultraortodossi?.

No. Tutti insieme, i credenti possono essere il 30%. Di questi, probabilmente gli ultraortodossi saranno il 5%. Non è un gran problema, ma alcuni intendono utilizzare questo argomento per segnare un punto: “tutti sono uguali in diritti e doveri”. Bene, ma i religiosi non si lasciano abbindolare. Per loro, lo Stato di Israele è cattivo quanto qualsiasi altro regime, o anche peggio, perché ebreo. Qualsiasi tipo di Stato per loro è un crimine; qui c’è da attendere il messia, non si deve avere uno Stato laico. In ogni caso, si tratti di uno dominato da romani, da greci, da britannici o da sionisti, per loro è la stessa cosa: si oppongono al regime in qualunque modo.

 

In realtà, quindi, sono piuttosto antisistema.

Si, sono completamente antisionisti. I loro motti: “Essere sionista non equivale ad essere ebreo”, “Un ebreo non è sionista”. Non è che sentano qualche affinità con la gente di qui, ma si limitano a prendere quello che possono, si dedicano a sfruttare questo regime. Per quanto li riguarda, possiamo andarcene tutti all’inferno domani stesso. Per cui nessuno può conquistarli. Non entreranno nell’Esercito, non preoccupatevi. Alcuni lo hanno fatto, diventando molto crudeli. Per questo li prendono, perché sono orribilmente crudeli, perché per loro un arabo è una bestia, un sacrilegio, va ucciso. È facilissimo utilizzarli per qualunque cosa, come i coloni.

 

Ci potrebbe spiegare quale è il modo di vedere prevalente tra gli israeliani sull’antisemitismo? Come affrontano l’argomento? È una sensazione strana, ma si ha l’impressione che l’aumento dell’antisemitismo in un prossimo futuro in Europa alla fin fine sia qualcosa di buono per Israele.

Certo. È una cosa che va molto bene per loro. Bene, lo propagano, lo amplificano enormemente: “Tutto ciò che non è ebreo è antisemita. Per questo non applichiamo le decisioni internazionali e la legge internazionale, perché sono state create da non ebrei che erano antisemiti.” Se ne infischiano delle leggi internazionali.

 

È un po’ strano vedere persone come Bernard Henry-Levy sostenere manifestanti di estrema destra in Ucraina, presentandoli come lottatori per la libertà, come anche in Libia.

Sono molto razzisti, molto antisemiti: anche Israele collabora con ogni tipo di organizzazioni fasciste.

 

È anche interessante considerare quali siano stati i rapporti fra Israele e Sudafrica.

Sì, naturalmente. Israele ha dato il suo completo sostegno all’apartheid. Ha appoggiato tutti i regimi tirannici: in Sudafrica, in Sudamerica, in Asia, in Africa… Il dittatore ugandese Idi Amin venne qui ad apprendere sistemi di tortura e gli fu fornito tutto quel che voleva. Anche lo scià di Persia, che fece per Israele tutto quel che poteva. Tutta questa gente. E in Sudamerica Israele ha sempre sostenuto i tiranni. Sempre. Non ha mai difeso i diritti umani.

Purtroppo esistono molti Stati così, non solo Israele. Al fondo, il loro interesse è la vendita di armi.

Naturalmente. Inghilterra e Stati Uniti hanno sempre assassinato i buoni. Incluso in Irak.

 

Alcuni leader locali della strategia di resistenza non violenta sostengono che tramite la non violenza l’Esercito israeliano, con tutta il suo macchinario di armamenti, è incapace di sconfiggerli.

 

I palestinesi sono molto speranzosi, ottimisti, positivi, resistono nonostante tutto. Ma l’Esercito continua ad opprimerli: arrestano bambini perché lanciano pietre.

 

E che cosa può fare la comunità internazionale?

Innanzitutto il BDS (la campagna di “boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni). Non lasciate che la politica o i militanti israeliani vengano nel vostro paese.

 

(17/8/14. Traduzione di Titti Pierini)