Una polemica su Guerre e Pace

  Caro Bonali,

accolgo volentieri l’invito di Walter a rispondere alla tua lettera, accogliendo la tua proposta di aprire finalmente un dibattito sui temi che proponi, almeno fra i lettori della nostra rivista. Non era questo lo scopo della nostra rivista, ma visto che come osservi giustamente i due principali partiti che nella loro denominazione fanno esplicito riferimento al comunismo si sono ben guardati dal promuoverlo, cominciamo pure qui.

Ti segnalo subito i punti di accordo, per poi passare alle divergenze. D’accordo sull’utilizzazione del “socialismo scientifico”, che anzi non mi sembra da “aggiornare e in parte correggere”, ma piuttosto da ripristinare integralmente come metodo, rispetto alle banalizzazioni e agli schematismi che circolavano sotto quel nome. In primo luogo si tratta di applicare un metodo storico rigoroso, evitando di fare di periodi e circostanze diversissime un tutto unico, da difendere in blocco noi, per rispondere specularmente alla stessa tecnica dell’amalgama usata, per denigrare le idee socialiste e comuniste, dall’industria dei “libri neri”.

Nessun dubbio neppure che le società che hanno preso il posto di quello che veniva chiamato il “socialismo reale” siano peggiori di quelle precedenti da moltissimi punti di vista, in primo luogo per le condizioni dei lavoratori, dei pensionati, ecc.

Ovviamente condivido anche la tua convinzione che “già da prima erano in atto gravi fenomeni di degenerazione e corruzione dei gruppi dirigenti, che avrebbero successivamente portato all’imporsi della controrivoluzione”. La tua impressione che ciò fosse cominciato all’incirca dall’epoca successiva alla morte di Stalin non è completamente infondata per quanto riguarda la corruzione in senso proprio, che si è effettivamente accresciuta negli anni della “stagnazione” brezneviana, anche perché la grande maggioranza dei sacerdoti della religione dogmatica che veniva chiamata “marxismo-leninismo” non credevano più a quello che dicevano (e ovviamente meno ancora ci credevano i loro sudditi). Questo spiega perché tanti professori di “marxismo-leninismo” siano diventati poi zelanti collaboratori di Eltsin, ed entusiasti apologeti del più rapace capitalismo. Questo spiega soprattutto perché quasi tutti i governanti delle repubbliche ex sovietiche, e moltissimi quadri intermedi delle democrazie popolari abbiano voltato gabbana e siano diventati filoimperialisti e veri e propri capitalisti.

A questo proposito ti faccio notare l’ingenuità della tua osservazione che “non tutta la vecchia nomenklatura è passata armi e bagagli alla restaurazione capitalistica”, osservazione che è già contraddetta dai pochi esempi che puoi fornire: un Honecker travolto dall’incapacità di sentire il polso del popolo che pretendeva di guidare, o i coniugi Ceausescu, che sono un esempio ancor più penoso di cecità. Convocano le masse per chiedere il loro appoggio, e fuggono terrorizzati appena esplode la rabbia, dopo anni di sacrifici folli imposti alla popolazione mentre si costruivano una reggia lussuosissima, per la dinastia che pensavano di poter fondare (come Kim il Sung e altri dello stesso genere). Che sia stato condannabile il processo a Honecker e l’assassinio dei Ceausescu da parte dei loro compari che si volevano riciclare come “democratici” è altra cosa, come è stato ripugnante processare Nexmie Hoxha per i privilegi di cui aveva goduto non più e non meno dei suoi accusatori. Non citi un altro processo infame, quello all’ex segretario generale del partito comunista bulgaro, Todor Zivkov, forse perché ammise candidamente al processo che in realtà già nel 1962 non credeva più nel socialismo (ma nel 1962 era diventato segretario generale del partito “comunista” che guidò fino al crollo!).

Sono stati ben pochi i massimi dirigenti di partiti comunisti che siano rimasti fedeli alle idee che professavano. Trotskij, nel 1936, ne la rivoluzione tradita, aveva scritto che al momento di un crollo, che prevedeva potesse accadere per effetto di una conquista militare imperialista, una parte notevole della burocrazia si sarebbe offerta come casta “compradora” ai conquistatori, mentre altri si sarebbero ricollegati alle idee del socialismo che facevano parte dell’ideologia del regime e in cui credevano sinceramente, e avrebbero quindi ripreso la lotta. Si sbagliava nei tempi e quindi, essendo stata differita per tanto tempo la crisi, la percentuale di quelli che si sono richiamati al socialismo è stata alla fine insignificante (nel 1991 a difendere il partito comunista in URSS restava quasi solo Roy Medvedev, messo al bando per anni e reintegrato nel partito appena poco prima del crollo).

La tua opinione che attribuisce agli ultimi decenni dell’URSS il massimo di corruzione, vale solo per alcuni aspetti, quella della dilagante corruzione materiale dei funzionari da parte delle mafie che prosperavano fin dagli anni Settanta, da parte dei dirigenti industriali che falsificavano statistiche e vantavano inesistenti realizzazioni del piano, dei furti generalizzati dai magazzini statali per alimentare il mercato nero, ecc.

Ma bisogna tenere conto di un’altra corruzione, quella delle idee comuniste. Nell’epoca staliniana c’è stato un profondo mutamento del valore semantico di molte parole. L’egualitarismo ad esempio, che era un principio fondamentale per Lenin e per il movimento operaio, viene condannato negli anni Trenta come “egualitarismo piccolo-borghese”, per giustificare gli scandalosi privilegi dei vertici burocratici, pure in parte occultati alla masse (quartieri riservati, ville e dacie ben protette, auto e poi elicotteri e aerei a disposizione, negozi esclusivi e invisibili dove si trovava a “prezzi politici” tutto quello che mancava ai lavoratori, ecc.).

Il concetto stesso di partito si era trasformato: non più libera unione intorno a un programma, era diventato un organismo in cui si entrava per avere la “tessera del pane” (per alcuni quelli del caviale). Nessuna scelta libera, per accedere a qualsiasi incarico dovevi avere la tessera e dovevi ripetere giaculatorie in cui nessuno credeva. Per questo i partiti si sono squagliati come neve al sole nell’89 in Romania (quattro milioni di iscritti!) e poi via via in tutti i paesi, fino all’URSS dell’agosto 1991. Erano partiti espropriati da ogni potere decisionale, perché privi di ogni informazione non filtrata: in URSS e in tutti i paesi sorti sul suo modello o assimilati successivamente ad esso, l’informazione ufficiale era scarsa, retorica, vuota, mentre ai vari livelli della dirigenza giungevano bollettini riservati con informazioni reali sull’economia, stralci dalla stampa estera, perfino i libri vietati ai comuni mortali e stampati in tirature ridotte e differenziate a secondo della posizione nella nomenklatura.

I soviet esistevano di nome, sulla carta, ma non erano veramente elettivi e revocabili come nel 1917 e negli anni immediatamente successivi. I sindacati organizzavano viaggi dei dirigenti, vacanze a rotazione per alcuni lavoratori, colonie per i bambini, ma non difendevano i diritti degli iscritti come Lenin, in polemica con Trotskij, aveva giustamente proposto in un memorabile dibattito.

L’internazionalismo era la copertura ipocrita di una politica estera cinica, basata sugli accordi segreti. Eppure appena giunti al potere i bolscevichi avevano come primo gesto pubblicato tutti i trattati segreti trovati negli archivi zaristi. Poi invece ci sono stati (senza parlare dell’idillio con l’imperialismo franco-britannico del periodo 1936-1938, a cui fu sacrificata la rivoluzione spagnola) i protocolli segreti annessi al Patto russo-tedesco del 1939, che prevedevano minuziosamente la spartizione della Polonia, e le annessioni dei paesi baltici, di Bessarabia e Moldavia e della stessa Finlandia (non realizzata solo per il fallimento dell’invasione del 1940, con tanto di governo popolare finlandese al seguito dell’armata rossa…). C’è stata la contrattazione con gli alleati “democratici” del mantenimento delle acquisizioni territoriali concordate con Hitler nel 1939. Ti sei mai domandato perché la crisi sovietica è esplosa soprattutto nei territori annessi con la violenza e l’inganno con quei trattati segreti, cioè nei paesi baltici, nella Polonia orientale annessa a Bielorussia e Ucraina, nella Moldavia?.

Ci sono stati poi gli accordi detti di Yalta, definiti in realtà con Churchill a Mosca nell’ottobre 1944, di cui ha fatto le spese per prima la Grecia, che pure i partigiani comunisti dell’EAM-ELAS avevano liberato senza aiuti stranieri, ma ne hanno fatto le spese tutti gli altri partiti comunisti assegnati da quella spartizione all’influenza dell’imperialismo statunitense e britannico, e che per questo hanno praticato e teorizzato la collaborazione di classe, aiutando la borghesia a pezzi (almeno in Italia e in Francia) a ricostruire il proprio apparato repressivo, salvo buttare poi fuori dal governo, nel 1947, i comunisti che avevano esaurito il loro compito. Contemporaneamente quegli accordi prevedevano che in paesi come la Polonia, l’Ungheria, la Romania, dove i partiti comunisti, per errori loro e crimini di Stalin (che aveva decapitato il partito ungherese e distrutto quello polacco) erano ridotti a poche migliaia o poche centinaia di militanti e non godevano il consenso della popolazione, si dovesse “costruire il socialismo”. E’ servito a qualcosa? Ed era inevitabile considerarli “realisticamente” insormontabili? La Jugoslavia non doveva entrare nella sfera di influenza sovietica ma essere gestita “in condominio” tra URSS e Gran Bretagna, ma non accettò le direttive sovietiche e i britannici dovettero fare buon viso a cattivo gioco.

 

Vedi che ora le divergenze stanno venendo alla luce. Tu hai scambiato per “idealistica ed astratta” la posizione del direttore, che secondo te sarebbe tesa “più a giudicare moralisticamente uomini e fatti che a comprendere il travaglio reale di decenni di lotte durissime ed esperienze drammatiche per la realizzazione effettiva (non la descrizione astratta e campata in aria di ciò che dovrebbe essere, che è cosa molto facile e quasi del tutto inutile) del socialismo”.

Le “lotte durissime” le abbiamo ben presenti, e a molte di esse ho partecipato fianco a fianco di compagni che credevano in Stalin, senza che questo mi impedisse di lottare con loro, ma anche di riflettere perché tante lotte venivano sconfitte. Il partito comunista nacque in Italia dalla riflessione sul ruolo di CGL, FIOM e partito socialista nell’isolare l’occupazione delle fabbriche del 1920. Perché non lo si dovrebbe fare per altre lotte? Come vedi le colpe maggiori attribuite allo stalinismo non sono solo i milioni di morti, ma proprio l’esito di tante “lotte durissime” deliberatamente destinate alla sconfitta, grazie al fatto che il movimento comunista, sotto la guida di Stalin, ha riproposto la vecchia mistificazione socialdemocratica della collaborazione di classe. La fede cieca nell’infallibilità del “partito”, cioè nel suo “papa” di Mosca e nei suoi “vescovi” in ciascun paese lo ha facilitato.

È proprio il “travaglio reale” che voglio valutare e comprendere, senza farmi fuorviare dall’eroismo generoso ma ingenuo di tanti militanti. D’altra parte in molti casi ho lottato con compagni che credevano in Dio, senza che questo rendesse indiscutibile l’esistenza di Dio…

Ma il peggio è che tu nella conclusione della frase riprendi meccanicamente, quasi alla lettera, gli argomenti di Breznev e di tutti i suoi accoliti (che hanno fatto la fine politica che hanno fatto), che liquidavano come “fantasticherie utopiche” non solo ogni progetto di un socialismo diverso, ma anche quello che era nei programmi espressi da Lenin. Stato e rivoluzione prevedeva che ogni dirigente dovesse avere come nella Comune di Parigi il salario di un operaio: i privilegi esasperati, degni di satrapi orientali, hanno forse assicurato maggiore stabilità a quei regimi? E la politica estera delle trattative segrete alle spalle dei popoli, ha rafforzato l’URSS o i suoi nemici?

Non facciamo sogni “astratti e campati in aria”, cerchiamo di spiegare materialisticamente un crollo epocale. Che nelle società governate dalla burocrazia riciclata e “compradora” si stia ancor peggio di prima, non toglie nulla al fatto che quel sistema correva verso una catastrofe. Guevara lo aveva intuito nei suoi ultimi anni cubani, vedendo quali erano i problemi all’interno di quei paesi e riflettendo sull’applicazione di quel “modello” anche a Cuba: per questo il 90% dei suoi scritti e discorsi del 1962-1965 sono rimasti ancor oggi inediti, per la difficoltà di spiegare ai cubani perché non fu ascoltato e dovette tentare, senza un appoggio sufficiente, l’impresa congolese e quella boliviana, che dovevano rompere l’isolamento di Cuba. Ho potuto leggere e copiare gran parte di quegli inediti, con l’impegno di non pubblicarli, ma la possibilità di utilizzarli nel mio studio (e ne ho scritto in diversi articoli e in un libro, come ha fatto anche Carlos Tablada). Penso che dovremo ritornarci sulla nostra rivista.

Ma intanto smettiamo di raccontarci che quei regimi sono crollati per un complotto dei servizi segreti (che c’erano già nel 1917 e ci hanno provato sempre, per decenni, senza riuscirvi finché rimaneva qualcosa delle conquiste iniziali), o per colpa del papa. Questo papa infame è andato a Cuba credendo (lo ha ammesso!) di poter fare come in Polonia, e non ci è riuscito perché nonostante la pesante eredità del periodo di maggiore influenza sovietica (soprattutto tra il 1971 e il 1986) a Cuba rimane un gruppo dirigente che ha fatto una vera rivoluzione e mantiene, anche se con crescenti difficoltà, un rapporto col suo popolo. In Polonia il regime era marcio, si reggeva sui carri armati e la complicità dell’alto clero, per questo è crollato: altro che papa!

 

Per il resto nel tuo intervento si dicono molte cose, queste sì “astrattamente” (perché astoricamente) giuste. Tu dici ad esempio che il “socialismo reale” (che per fortuna metti anche tu tra virgolette”) ha espropriato i capitalisti. Ma questo è il grande merito della rivoluzione russa, di cui siamo grandi e mai pentiti sostenitori al 100%. Ma che è stata fatto poi di quelle conquiste? Come sono state gestite, con quale partecipazione della classe operaia, con quale democrazia socialista? I servizi sociali non solo non erano “avveniristici”, ma erano stati peggiorati gradatamente per tutti, riservando quelli efficienti alla sola nomenklatura (e che ora sono diventati privati e a caro prezzo, per la vecchia e nuova nomenklatura).

La terra ai contadini è stata poi tolta con una collettivizzazione forzata che oltre a costare milioni di morti, ha creato una terribile disaffezione tra i contadini costretti a entrare di fatto nei kholchos sotto una specie di padrone (un direttore paracadutato dalla città per meriti politici) e costretti a rimanervi con la forza, grazie alla reintroduzione del “passaporto interno” dell’epoca zarista, concesso solo a chi veniva reclutato per le fabbriche in costruzione, e che quindi impediva agli altri di spostarsi liberamente. Di fatto, agli occhi dei contadini, era il ritorno a una specie di servitù della gleba. Per questo le campagne sovietiche hanno avuto dopo i milioni di morti degli anni ‘31-‘32, la più bassa produttività del mondo, tranne nei piccoli appezzamenti individuali che il regime fu costretto successivamente a concedere e ampliare, ma che risolvevano appena e male il problema dell’approvvigionamento di prodotti orticoli, non certo quello della grande produzione di cereali, ecc., che dovettero essere importati sempre più dall’estero.

Quanto al punto f) della tua lettera, che tira in ballo perfino “le ragioni di scambio sui mercati mondiali”, vorrei che tu leggessi quanto scriveva Guevara in uno dei pochi scritti editi dell’ultimo periodo della sua vita, il Discorso al secondo seminario di Algeri del 24 febbraio 1965 (è presente in tutte le antologie decenti dei suoi scritti): egli accusava i “paesi socialisti”, Cina inclusa, di complicità con l’imperialismo sia per i criteri usati nel fornire o negare aiuti ai movimenti di liberazione, sia esattamente per aver accettato e appena ritoccato lo scambio ineguale tra materie prime e macchinari.

Mi sembra che tu sottovaluti o semplicemente ignori questi problemi, riproducendo un vecchio e inconsistente stereotipo propagandistico smentito dalla realtà. E sorvoli sul fatto che per questa involuzione e inversione di valori e di progetti, è stato necessario lo sterminio dei migliori quadri del partito bolscevico. Lo sai che dei 31 membri del CC del partito tra il 1918 e il 1921, solo 8 sono morti per cause naturali, uno è stato ucciso dalla controrivoluzione e 18 sono stati vittime di Stalin? Dei 7 membri del Politbjuro del 1917, solo Lenin e Stalin sono morti nel loro letto, 5 sono stati uccisi da Stalin, e sui 10 che hanno fatto parte dello stesso organismo tra il 1918 e il 1923, 8 sono stati vittime di Stalin. “Schegge che volano”, o controrivoluzione strisciante? Anche il cristianesimo ha preteso di interpretare il vangelo mentre arrostiva gli eretici, faceva crociate, benediceva le armi, proteggeva i potenti e i criminali. In nome di Cristo, come altri parlavano in nome del socialismo e del comunismo contraddicendone tutti i principi.

Tu dici che quello che chiami “socialismo”, magari imperfetto o con “luci ed ombre”, ha davvero salvaguardato la pace? Ma la cecità verso Hitler tra il 1929 e il 1934, è servita alla pace? E l’accordo nel 1939-1941 con il più grande nemico del socialismo (anche se ha ucciso meno dirigenti comunisti tedeschi di quanti ne ha uccisi Stalin, pur comprendendo tra i primi i duemila che nel 1940 l’URSS consegnò a Hitler) è servita alla pace? E come parlare di convivenza tra etnie diverse, dopo le deportazioni in massa per colpe collettive, di ceceni e ingusci, balkari, tatari di Crimea, tedeschi del Volga e altre etnie, di cui moltissimi membri perirono nel tragico viaggio verso l’esilio? E che dici delle discriminazioni prima, poi della persecuzione antiebraica, che alla vigilia della morte di Stalin doveva colpire l’intera comunità che aveva dato la percentuale più alta di comunisti e di rivoluzionari, e che divenne in conseguenza di questo la più ostile all’URSS? E la cacciata nel 1945 di 10 milioni di tedeschi, neonati inclusi, dalle terre in cui erano nati e in cui i loro antenati vivevano da secoli, non ti sembra una buona educazione alla pulizia etnica?

Caro Bonali, potrei continuare per pagine e pagine (ho cominciato a riflettere nel 1956, come giovane militante comunista ferito dalla tragedia e dal crimine dell’intervento sovietico in Ungheria, e da quella passione è scaturito alla fine un impegno di storico e una ventina di libri), ma credo sia meglio affrontare punto per punto, e a più voci, questi problemi. Vorrei solo ricordarti l’atteggiamento di Gramsci nel 1926, di fronte ai primi sintomi di involuzione nel partito russo. La sua lettera, di critica pacata e fraterna fu bloccata da Togliatti in nome del “realismo” e della necessità di accettare quello che decidevano i sovietici. Nella lettera di protesta per l’intervento censorio, che segnò anche la rottura personale con Togliatti, Gramsci diceva che era scandalizzato dalla rassegnazione di Togliatti ad accettare ciecamente e senza discutere quel che faceva la direzione sovietica: “questo tuo modo di ragionare mi ha fatto un’impressione penosissima”, scrive, infatti “tutto il tuo ragionamento è viziato di burocratismo”. Ma la frase più dura investe alla radice l’atteggiamento di Togliatti e di tutti i dirigenti comunisti che rinunciarono a un atteggiamento critico nei confronti dell’URSS; “saremmo dei rivoluzionari ben pietosi ed irresponsabili, se lasciassimo passivamente compiersi i fatti compiuti, giustificandone a priori la necessità”. Vorrei che riflettessi su questo giudizio, che secondo me coglie bene l’atteggiamento prevalente per decenni, e che anche tu hai recepito.

Antonio Moscato

Lecce 8 aprile 2001