Cuba – Il Partito unico è l’ostacolo principale

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Cuba – Il Partito unico è l’ostacolo principale

Samuel Farber*

[Havana Times. http://www.havanatimes.org/]

 

Anche se il monopolio del Partito Comunista di Cuba (PCC) può essere compatibile con un certo grado di liberalizzazione – vale a dire con un’attenuazione del controllo dello Stato su alcuni aspetti della vita economica e sociale – tale monopolio costituisce l’ostacolo principale per la vera trasformazione democratica della società cubana. Per questo è indispensabile opporsi al “monopartitismo” e impedire di far cadere questa opposizione in mano alla destra “plattista” [letteralmente pro emendamento Platt, cioè annessionista] e filocapitalista.

Il potere del Partito unico è evidente nonostante sia in parte nascosto dal Poder Popular, soprattutto a livello locale. Insieme all’Esercito, in particolare alla sua agenzia d’affari GAESA, capeggiata da Luis Alberto Rodríguez López-Calleja, genero di Raúl Castro, il potere economico del partito è decisivo.

Il controllo e la censura dei mezzi di comunicazione di massa attraverso la stampa ufficiale e la radio e televisione controllate dall’ICRT (Istituto Cubano della Radio e Televisione) è meno evidente, ma è sempre intimamente e ineludibilmente connesso al potere monopolistico del PCC.

Non è per un capriccio che gli “indirizzi” su che cosa e come debbano riferire i mezzi di comunicazione di massa promanino dal Dipartimento Ideologico del Comitato Centrale del PCC diretto da Rolando Alfonso Borges.

Da un punto di vista storico, si può vedere come la soppressione degli organi di comunicazione di massa d’opposizione o indipendenti, dall’estrema destra reazionaria del Diario de la Marina [“Quotidiano della Marina”] fino alla sinistra indipendente di Lunes de Revolución [“Lunedì di Rivoluzione”], è stata completata nel 1960 e 1961 come parte delle misure che resero possibile la creazione del Partito e del Pensiero unico, che agli inizi si plasmò nelle ORI, trasformate poi nel Partido Unido de la Revolución Socialista (PURS) e, alla fine, nel PCC.

La stampa ufficiale non ha il minimo scrupolo a nascondere quel che al governo non conviene che la gente sappia. Di recente ha nascosto, ad esempio, buona parte degli scandali verificatisi nelle alte sfere di governo, come il caso di Cubana de Aviación.

Ha mantenuto il silenzio assoluto su problemi di interesse nazionale, ad esempio a proposito del prima tanto celebrato cavo a fibra ottica dal Venezuela a Cuba, grazia al quale il governo aveva promesso di accrescere notevolmente le capacità di connessione di un sistema molto deficitario.

Rispetto alla politica estera, la copertura della stampa ufficiale è ugualmente scandalosa. Tanto al Granma come a Juventud Rebelde fanno di tutto per nascondere notizie negative sui dirigenti di paesi stranieri che conservano rapporti amichevoli con il governo cubano, come quelli della Russia e della Cina, e ancor più se si tratta di alleati vicini come il Presidente venezuelano Hugo Chávez.

La copertura della “primavera araba” è stata è stata vergognosa. Poiché l’egiziano Mubarak era stretto alleato degli Stati Uniti, la stampa cubana ha favorito il movimento dì opposizione. Ma visto che il regime siriano degli Assad in Siria è stato un alleato storico del governo cubano, come pure dell’Urss e dell’attuale governo russo, la stampa ufficiale ha mescolato la verità con le menzogne più spudorate pur di fornire una copertura mediatica molto favorevole al governo siriano.

I mezzi ufficiali controllano anche la critica, come emerge dalle lettere pubblicate settimanalmente dal Granma. Questa sezione è dedicata a promuovere alcuni cambiamenti nell’economia e pubblica molte lamentele sul cattivo funzionamento di burocrati di basso livello o di livello intermedio, ma non pubblica mai una sola critica sulle politiche dei dirigenti ad alto livello, o al PCC in quanto tale.

Un recente editoriale della rivista cattolica Espacio Laical ha proposto che alla scadenza, nel 2018 dei due periodi consecutivi di 5 anni in cui Raúl Castro rimarrà al potere, il governo istituisca l’elezione diretta a presidente tra candidati con differenti punti di vista politici e ideologici, non necessariamente membri del PCC.[1]

Precedentemente, l’intellettuale cattolico Lenier González Mederos aveva proposto di “ridisegnare radicalmente le istituzioni statuali e l’architettura dell’attuale Partito Comunista di Cuba perché possa accogliere al suo interno tutta la diversità nazionale”,[2] vale a dire che questo smetta di essere comunista e diventi quel che ora proclama di essere ma non è: il Partito della Nazione Cubana.

Entrambe le proposte sono più limitate e certamente molto più diplomatiche di quella presentata di seguito. Naturalmente, tali proposte non sono né più né meno realizzabili di quella di eliminare il monopartitismo.

I dirigenti del PCC non sono stupidi e sanno benissimo che queste proposte minaccerebbero il loro potere e farebbero a pezzi la loro concezione stalinista del socialismo e del mal denominato “centralismo democratico”, tra le altre caratteristiche fondamentali del PCC.

Anche nel caso assai remoto che una delle due proposte si realizzasse, la cosa più probabile sarebbe che l’Esercito finirebbe per prendere il potere, spazzando via completamente un PCC convertito al pluralismo. Nei fatti, questo potrebbe accadere per altri motivi una volta che fossero morti Fidel e Raúl Castro.

Non stupisce che la proposta di González Nederos in particolare sia legata a una visione della società cubana – la cosiddetta Casa Cuba[3] – che ignora le differenze profonde del potere politico, di classe e di razza tra le altre dimensioni conflittuali della società cubana “realmente esistente”.

Ed è proprio a causa di questi conflitti che è indispensabile la libertà di organizzare associazioni e partiti politici perché la gente – operai, contadini, negri, donne e gay, tra gli altri – possa organizzarsi politicamente se lo riterrà necessario.

Perché i movimenti sociali indipendenti che nascessero nell’isola possano organizzarsi come partiti di lotta a livello politico nazionale per obiettivi assai difficili da raggiungere a livello locale o sociale, è indispensabile abolire il monopolio politico del PCC consacrato nella vigente Costituzione.

Come sappiamo, il monopolio costituzionale del PCC si estende a quello delle organizzazioni ufficiali di massa, quali la Confederación de los Trabajadores Cubanos (CTC) [Confederazione dei lavoratori Cubani] e la Federación de Mujeres Cubanas (FMC) [Federazione delle Donne Cubane], cosa che costituisce un grave ostacolo per qualsiasi tentativo indipendente di difesa dei lavoratori, delle donne o di altri gruppi. L’esperienza dell’organizzazione autonoma delle donne, Magín, sciolta a metà degli anni Novanta, è un esempio pertinente, specialmente perché questo raggruppamento non era né dissidente né di opposizione, anche se aveva avuto dissensi con la FMC rispetto a problemi controversi come quello del “jineterismo” [prostituzione, o piuttosto scambi sessuali per ottenere in regalo beni inaccessibili per le cubane NdR].

Una volta privato del proprio monopolio costituzionale e, alla fine, di tutti i privilegi di cui si è appropriato nel corso del suo prolungato controllo della vita pubblica, il PCC potrebbe trasformarsi in un’organizzazione davvero volontaria, materialmente sorretta dalle quote e dalle donazioni dei propri iscritti e simpatizzanti.

Il numero di partiti e di organizzazioni politiche nell’Isola dipenderebbe dai conflitti e dalle divergenze presenti nella società cubana “realmente esistente”. La cosa più importante, tuttavia, sarebbe stabilire il principio per cui la creazione di nuove organizzazioni politiche e partitiche non può essere ostacolata in base a sistemi legali, amministrativi e polizieschi.[4]

Vale la pena di aggiungere che, indipendentemente dall’errato parallelismo tracciato dai portavoce del regime tra il PCC e il Partito Rivoluzionario Cubano (PRC) guidato da José Martí, quest’ultimo non era un partito nello stesso senso di quello di cui qui si discute: un’organizzazione che formuli proposte sistematiche per il governo e l’amministrazione di uno Stato costituito.

Il PRC di Martí era organizzato a un unico scopo: portare fino in fondo la guerra indispensabile per conquistare l’indipendenza del paese sotto controllo civile, senza mai pretendere di costituire un pensiero unico su qualunque tipo di problemi sociali ed economici.

Una repubblica socialista democratica basata sul controllo operaio, contadino e popolare è incompatibile con il monopolio politico da parte di qualsiasi organizzazione. L’esperienza jugoslava ha dimostrato che un’autentica autogestione a livello locale può funzionare perfettamente solo se esiste una pianificazione democratica – e non dettata da un partito unico e dal mercato – dell’economia e della nazione come un tutto.

Dopotutto, le decisioni che riguardano i problemi vitali, come il saggio di accumulazione e di consumo, la politica salariale, le tasse e le prestazioni sociali riguardano tutta la società e l’economia e quindi circoscrivono e limitano le decisioni a livello locale di ogni centro di lavoro.

Per quelli come noi che siamo fautori dell’instaurazione di un socialismo su basi di autogestione, occorre aver chiaro che il monopolio politico del PCC non si eliminerà automaticamente, e che soltanto un movimento democratico dal basso può conquistare questo obiettivo.

L’autogestione operaia richiede una motivazione e un coinvolgimento da parte dei lavoratori urbani e rurali che non esiste in una società in cui la grave situazione economica ha sviluppato lo spirito di “risolvere” – includendovi l’aspirazione ad emigrare – creando potenti incentivi allo sforzo dell’individuo e della sua famiglia ma non a quello della collettività come tale. [resolver è un termine gergale cubano che potremmo rendere anche con “arrangiarsi”. NdR].

Ma è appunto un movimento democratico, a partire dal basso, quello che può davvero motivare la gente a interessarsi e a lottare per la trasformazione democratica sia dei propri centri di lavoro sia dell’intero paese.

 

Traduzione di Titti Pierini


* Samuel Farber è nato e si è formato a Cuba e ha pubblicato molti articoli e libri su questo paese. Scrive per vari siti della sinistra anticapitalista. Il suo ultimo volume, Cuba Since the Revolution of 1959. A critical Assessment, è stato pubblicato da Haymarket Books nel 2011.

[L’articolo è stato messo in rete anche da Red Protagónica Observatorio Crítico en: http://observatoriocriticodesdecuba.wordpress.com, e rilanciato dal Boletín solidario de información di Montevideo. Una dichiarazione così netta contro il monopartitismo è una novità nel dibattito interno a Cuba: in genere anche pensatori indipendenti e critici evitavano di pronunciarsi su questo, per non violare un tabù considerato intoccabile. NdR]

[1] “Cuba: la elección presidencial y el destino de la nación”, in Espacio Laical, Supplemento digitale n, 211, ottobre 2012 (http://espaciolaical.org/contens/ind.main.html).

[2] Lenier González Mederos, “Iglesia Católica y nazionalismo: los retos tras la visita del papa Benedicto XVI”, in Espacio Laical, Suppl. digitale n. 177, maggio 2012, p. 4.

[3] Ibidem.

[4] Per quanto riguarda l’interferenza straniera e soprattutto degli Stati Uniti in questo processo, sarebbe perfettamente legittimo e democratico proibirla legalmente, una volta che le risorse politiche in materia di comunicazione e di istruzione disponibili nell’Isola venissero equamente distribuite tra i vari partiti e le varie organizzazioni politiche che si fossero impegnati a seguire metodi pacifici di soluzione dei contrasti.