Donbass. Separatisti inquieti

Nelle due repubbliche separatiste del Donbass è in corso un’operazione di consolidazione del potere, con tanto di arresti eccellenti e conseguenti divisioni interne. Mentre a Kharkov e a Odessa si verificano attentati anonimi, l’ex comandante Strelkov in un’intervista in cui mischia bugie e verità fornisce alcune chiavi di lettura sulle origini del conflitto in corso, e in un’altra intervista il comandante „radicale” Mozgovoy si conferma un ultrareazionario.

Nel Donbass si continua a morire, soprattutto lungo la linea di demarcazione tra le aree controllate da Kiev e quelle sotto il controllo dei separatisti, una linea che in realtà non è ancora stata definita con esattezza nonostante dalla firma degli accordi di tregua di Minsk siano passati oltre due mesi e mezzo. Nel frattempo nella Repubblica Popolare di Donetsk (RPD) e nella Repubblica Popolare di Lugansk (RPL) la situazione continua a essere caotica, a livello sia politico che economico. Abbiamo già affrontato il tema delle lotte intestine nelle due “repubbliche” e in particolare della scomparsa del noto comandante “Bes” (Igor Bezler), ufficialmente in Crimea per consultazioni. A metà novembre le cose si sono ulteriormente complicate con l’arresto di tre ministri della RPD avvenuto il 14 novembre scorso. Si tratta del ministro dell’energia, Aleksey Granovskiy, e del vicepremier responsabile per la ricostruzione, Aleksandr Kalyuskiy, nonché del ministro per le questioni agrarie e i rifornimenti, Aleksey Krasilnikov. Né la procura né il governo della RPD hanno fornito alcuna motivazione in merito agli arresti, come è norma nelle due “repubbliche” dove la trasparenza non è di casa. Granovskiy nello scorso mese di maggio aveva dato, e poi subito ritirato, le dimissioni quando nella RPD qualcuno aveva cominciato a parlare di nazionalizzazioni, nella cui direzione però poi la “repubblica” non si è mai mossa. In realtà, Granovskiy era un uomo del Partito delle Regioni vicino all’oligarca Rinat Akhmetov, e le sue dimissioni temporanee di allora erano piuttosto un riflesso dei tentennamenti di Akhmetov rispetto ai separatisti. Sia Granovskiy che Kalyuskiy erano stati solo qualche settimana prima confermato il primo e nominato il secondo alla carica di ministro dallo stesso Zakharchenko. Il vero motivo degli arresti, secondo Gazeta.ru, sarebbe quello di una lotta intestina tra i leader separatisti per il controllo privatistico dell’economia, lotta nella quale la cerchia più stretta di Zakharchenko sta avendo la meglio: non a caso tutti i tre ministri arrestati si occupavano di settori dell’economia particolarmente lucrativi.

 

Che il nuovo governo della RPD, formato dopo le elezioni del 2 novembre, continui a essere espressione dell’alleanza tra Mosca e la vecchia oligarchia lo confermano le nomine più importanti. Ministro della difesa rimane un uomo della prima ora come Vladimir Kononov, uno dei protagonisti dell’occupazione di Slavyansk accanto al moscovita Igor Strelkov. Alla guida del ministero della sicurezza statale è stato nominato Andrey Pinchuk, mentre l’incarico di ministro degli interni è andato a Vladimir Berez: entrambi sono giunti dalla Transnistria e sono uomini del generale moscovita Antyufeev, anch’egli un ex della Transnistria inviato dal Cremlino a Donetsk quest’estate per tenere sotto controllo le dinamiche interne e militari dei separatisti: in questo momento sarebbe l’eminenza grigia dei separatisti, secondo molti. Ministro degli esteri è stato nominato Aleskandr Kofman, braccio destro di Oleg Tsarev, ex pezzo grosso del Partito delle Regioni nel Donbass: è stato l’unico esponente formalmente facente parte dell’ala “radicale” al quale è stato concesso presentarsi alle elezioni del 2 novembre, proprio perché in realtà è un personaggio “moderato” e strettamente legato allo stesso oligarcato locale di cui è espressione anche Zakharchenko. E’ stato inoltre creato un Consiglio di Sicurezza che sarà guidato dal comandante Aleksandr Khodakovskiy, notoriamente legato all’oligarca Akhmetov e in passato in forte conflitto con la dirigenza militare di Strelkov.

Lo stesso Aleksandr Zakharchenko, attuale “presidente” della RPD, è un uomo del vecchio oligarcato del Donbass. Oltre a essere da tempo membro dell’organizzazione squadrista Oplot, che ha reso molti servizi al regime di Yanukovich, prima di impegnarsi con i separatisti era stato, come la maggior parte dei leader delle “repubbliche”, dirigente di azienda e proprietario di imprese. La sua società “Delta Fort”, attraverso una serie di partecipazioni incrociate, era legata a due deputati del Partito delle Regioni, Aleksandr Leshchinskiy e, soprattutto, Sergey Kiy, a sua volta da sempre in affari con il già citato oligarca Akhmetov, come ha ricostruito in modo documentato il sito Insider. Come riassume efficacemente Insider, la storia del separatismo nell’Ucraina Orientale può essere divisa in tre tappe: “La prima è stata quelle delle azioni organizzate in primavera, con l’occupazione degli edifici delle amministrazioni regionali. In quell’occasione in prima fila c’erano persone legate alla “famiglia” dell’ex presidente Viktor Yanukovich. Durante la seconda sono emersi pubblicamente i cittadini russi Aleksandr Boroday e Igor Strelkov [in realtà già protagonisti, ma occultando la loro identità, delle occupazioni a metà aprile – a.f.]. Entrambi sono uomini dell’oligarca russo Konstantin Malofeev, detto anche il ‘businessman cristiano-ortodosso’. A inizio agosto è cominciata la terza fase: della dirigenza della RPD-RPL sono entrati a fare parte comandanti locali. Ed è proprio con loro che sono cominciate le trattative per un cessate il fuoco nel Donbass. La Russia, infatti, non poteva certo inviare alla firma dell’accordo di tregua due suoi cittadini come Boroday e Strelkov. Tuttavia è difficile immaginarsi che il protocollo di Minsk sia stato firmato per i separatisti da personaggi del tutto casuali, che di propria volontà sono saliti ai vertici delle repubbliche. […] Sarebbe uno sbaglio affermare che la RPD e la RPL sono direttamente controllate dall’uomo più ricco del paese [Rinat Akhmetov]. Ma è evidente che sono stati rispettati gli interessi dei precedenti ‘padroni del Donbass’ “.

Un altro fattore delle lotte intestine è il tentativo di Zakharchenko e Plotnickiy di ristrutturare le forze armate separatistecreando un esercito pienamente sotto il loro controllo. A tale fine stanno chiedendo a tutti i comandanti che controllano feudi locali di integrare le loro truppe nelle forze armate delle repubbliche. I comandanti locali non si oppongono a questa integrazione, ma vogliono che i rispettivi battaglioni non vengano spezzettati e diluiti nel resto delle truppe, e conservino invece la loro identità. E’ stato per questo che Igor Bezler “Bes” è scomparso dalla scena e il comandante Mozgovoy, diventato ormai l’uomo di riferimento di Strelkov nel Donbass, ha assunto una posizione analoga alla sua e non a caso recentemente lamenta forti problemi negli approvvigionamenti. Intanto la situazione nelle aree sotto il controllo dei separatisti rimane drammatica, nessuna ricostruzione è cominciata, la disoccupazione dilaga e gran parte dei lavoratori non viene retribuita se non, in alcuni casi, con pacchi di viveri. Le città rimangono semivuote e qualcuno teme addirittura lo spettro della fame. Il presidente ucraino Poroshenko ha decretato la sospensione del pagamento delle pensioni ai cittadini ucraini rimasti nelle zone occupate dai separatisti, che finora continuavano a riscuotere i loro assegni recandosi mensilmente negli uffici delle zone sotto il controllo del governo di Kiev. Il presidente ucraino ha deciso anche di richiamare i dipendenti delle istituzioni statali (per es. gli ospedali) che operano nella regione e di isolare gli uffici bancari che vi operano (per es. i bancomat non verranno più riforniti di banconote). Si tratta di decisioni dure e ingiuste nei riguardi della popolazione rimasta nell’area, in particolare gli anziani, e sono un segnale tra l’altro di come al di là degli slogan patriottici le autorità di Kiev considerino ormai di fatto le zone sotto il controllo dei separatisti come di fatto esterne al territorio dello stato. Infine, va rilevato che anche Kharkov, una città dell’est ucraino che ha 1,5 milioni di abitanti ed è fuori dal controllo dei separatisti, si trova in una situazione molto tesa. Di Kharkov si è tornato a parlare in occasione delle elezioni parlamentari del 26 ottobre scorso, quando il Blocco di Opposizione, il partito dell’oligarcato che è erede del Partito delle Regioni di Yanukovich, ha ottenuto il 32% delle preferenze tra gli elettori che si sono recati alle urne. Negli ultimi tempi in città si sono moltiplicati gli attentati con bombe, che rimangono sempre non rivendicati. Un attentato, in particolare, ha contribuito a diffondere la paura a Kharkov ferendo undici persone in un pub. Pressoché ogni giorno, secondo quanto scrive il sito Gazeta.ru, circolano voci su imminenti attentati contro la metropolitana, e molta gente ha paura a uscire di sera. Ad aggravare ulteriormente la situazione è giunta ieri la notizia di un attentato anche a Odessa.

Intanto recentemente due dei più noti comandanti separatisti hanno concesso lunghe interviste dai contenuti in alcuni punti interessanti per una interpretazione delle dinamiche nel Donbass. Igor Strelkov, oggi in pensione a Mosca, si è fatto intervistare dalla rivista di estrema destra “Zavtra”, di cui è regolare collaboratore da anni. Rispondendo alle domande del suo caporedattore, il neofascista Aleksandr Prochanov, ha paragonato quanto è accaduto nell’Ucraina Orientale alla guerra in Bosnia, alla quale ha preso tra l’altro parte come uomo dei servizi segreti russi. L’opinione di Strelkov è che il separatismo filorusso del Donbass sia analogo a quello serbo nella Bosnia. Secondo la sua ricostruzione, allora alcune regioni si rifiutavano di entrare in una federazione con i croati e i musulmani, proprio come oggi il Donbass si rifiuterebbe di fare parte dell’Ucraina. Poi Strelkov ricostruisce gli eventi a Slavyansk, la città occupata militarmente da suoi uomini a metà aprile. Tra i particolari interessanti c’è la ricostruzione secondo cui al suo arrivo a Slavyansk dalla Crimea l’ex agente russo ha trovato ad aspettarlo “150-200” uomini che hanno occupato la sede locale del ministero degli interni: i numerosi filmati in realtà descrivono una quantità decisamente minore di uomini, probabilmente meno di una cinquantina – in entrambi i casi, non si è trattato certo di una insurrezione popolare. D’altronde nella vicina Kramatorsk l’occupazione degli edifici è avvenuta a opera esclusivamente di una trentina di “omini verdi” e senza alcuna partecipazione popolare, come conferma nell’intervista lo stesso ex comandante. Strelkov poi afferma che solo nei primi giorni di giugno è cominciato un vero assedio di Slavyansk e che fino ad allora la città è rimasta nei fatti indisturbata (valutazione realistica alla luce dei fatti documentati). Strelkov invece mente quando replica la versione “obbligatoria” per tutti i separatisti, e cioè che Slavyansk sia stata attaccata dai fascisti di Pravy Sektor. Strelkov racconta anche che l’abbandono di Slavyansk da parte delle sue forze il 5 luglio scorso è avvenuto di nascosto dalle forze ucraine, che ne sarebbero rimaste sorprese, una versione poco credibile visto che la città era completamente assediata e che, per quanto Strelkov avesse raccolto la partecipazione di pochi volontari (secondo le sue cifre, probabilmente gonfiate, 1.000 soldati a Slavyansk e 400 a Kramatorsk), è impensabile che un loro ritiro, portando con sé tra l’altro anche mezzi pesanti, sia rimasto inosservato. L’ipotesi di un abbandono concordato rimane a nostro parere ancora la più verosimile. Interessante è comunque notare che Strelkov nell’intervista riferisce di avere all’epoca “ricevuto l’ordine categorico di non abbandonare Slavyansk” e di difenderla invece fino all’ultimo. L’ex comandante afferma di averla abbandonata perché chi gli dava ordini si rifiutava di dare aiuto alla città: poiché Strelkov era il comandante in capo delle forze armate separatiste e in teoria non avrebbe quindi dovuto ricevere ordini da nessuno (tantomeno da un personaggio debole come l’allora presidente-fantoccio della RPD, Denis Pushilin), e visto che si attendeva dai suoi “superiori” aiuti militari che solo la Russia avrebbe potuto dare, si tratta di una conferma di ciò che già appariva evidente, e cioè che Strelkov ha agito fin dall’inizio su ordini di Mosca. D’altro canto, nella stessa intervista l’ex comandante riconferma, con dovizia di particolari, di essere stato uno degli organizzatori dell’operazione di occupazione militare russa della Crimea a fine febbraio insieme a Sergey Aksenov, l’attuale governatore della penisola insediato dal Cremlino. Lasciando Slavyansk e trasferendosi con i suoi uomini a Donetsk, Strelkov ha adempiuto un’altra missione, cioè quella di inaugurare una nuova strategia nel conflitto e di rimettere ordine in una “capitale” del Donbass in preda all’anarchia. La prima missione la ha adempiuta con successo, anche se le fasi finali ad agosto non le ha gestite in prima persona, mentre la seconda ha richiesto maggiore tempo e nei fatti ora la stanno portando a termine altri protetti di Mosca (il tandem Zakharchenko-Plotnickiy). Ricordando quei giorni, Strelkov sottolinea che al suo arrivo a Donetsk intorno al 10 luglio la situazione era ancora del tutto tranquilla. Il suo problema era solo che una parte dei battaglioni non si sottoponeva alla sua autorità, in particolare il battaglione Vostok comandato da Khodakovskiy, mentre invece l’Oplot (dell’attuale presidente Zakharchenko) riconosceva solo parzialmente la sua autorità. La dichiarazione di Strelkov che più ha suscitato clamore è quella con la quale afferma “sono stato io a premere il grilletto di questa guerra… Se la nostra unità non avesse attraversato il confine, la situazione si sarebbe tranquillizzata – come a Kharkov e Odessa. Tutto si sarebbe concluso con qualche decina di morti, feriti e arrestati, ma la carica del conflitto – che continua ancora oggi – è stata innescata dalla nostra unità. Abbiamo cambiato le carte in tavola”. Naturalmente le parole di Strelkov non vanno prese come oro colato, al contrario (sono infatti numerose le evidenti falsità che pronuncia nella stessa intervista). Il valore di queste parole sta solo nel fatto che confermano, dalla bocca del più importante leader separatista, quanto già appariva evidente ricostruendo con precisione i fatti. E cioè che da una parte il movimento separatista non è mai riuscito a ottenere un appoggio attivo della popolazione, nemmeno nel periodo iniziale da marzo fino a metà aprile, quando infine “gli omini verdi” del moscovita Strelkov hanno occupato militarmente una decina di città del Donbass, e dall’altra che a passare per primi, e senza esservi provocati, alla soluzione militare sono stati i separatisti, o meglio la Russia, visto che a comandare il tutto c’era un ex ufficiale dei servizi segreti arrivato da Mosca attraverso la Crimea, come Strelkov stesso. E’ invece smentita dai fatti l’affermazione di Strelkov secondo cui all’inizio il 90% dei suoi soldati erano locali e che solo a fine agosto sono arrivati i primi uomini dalla Russia: in realtà è ampiamente documentato l’arrivo in Donbass di una valanga di “volontari” reclutati in strutture dell’esercito russo già a fine maggio, cosa tra l’altro sostenuta anche dalla maggior parte dei leader separatisti. E’ invece interessante la dichiarazione di Strelkov secondo cui già in Crimea, evidentemente circa a metà marzo, si sarebbe interessato di organizzare “l’insurrezione” nel Donbass. Per il resto, Strelkov nell’intervista gioca allegramente con i numeri. Verso la fine dell’intervista infatti afferma che la sola RPD (quindi senza la RPL) disponeva di 28.000 combattenti, dicendo poi che a inizio luglio quando è arrivato a Donetsk ne erano rimasti solo 10.000, senza tra l’altro spiegare il perché di questo calo. Peccato che lo stesso Strelkov entrando maggiormente nei dettagli aggiunga che al momento dell’abbandono della città a Slavyansk disponeva di 5.000 uomini in armi, mentre all’inizio dell’intervista aveva detto che erano circa un migliaio…

 

Il comandante Mozgovoy ha invece rilasciato un’intervista al giornale liberal “Novaya Gazeta”. Ricordiamo che Mozgovoy, il quale opera nel territorio della RPL, è attualmente ritenuto vicino a Strelkov e leader dell’ala dura che spinge per un rinnovo delle operazioni militari fino a conquistare tutta la cosiddetta “Novorossiya”, che comprende tra le altre le regioni di Kharkov, Dnepropetrovsk e Odessa. Per questo è il beniamino sia dei numerosi gruppi neofascisti russi, sia dei piccoli gruppi neostalinisti come Borotba che del tutto grottescamente lo presentano come un uomo di sinistra. Mozgovoy è salito all’onore delle croache recentemente per avere egli stesso diffuso in rete le tremende immagini di un “tribunale popolare” da lui organizzato, con tanto di condanne a morte, e per avere pronunciato dichiarazioni ultrareazionarie sul ruolo delle donne nella società e sui gay. Mozgovoy, interrogato da „Novaya Gazeta” sul “tribunale popolare” afferma che “è solo il primo della serie. Era una prova. Dovevamo capire come la società avrebbe reagito a tutto ciò, come la gente si sarebbe comportata durante il processo. [Ora è necessario] dare vita a qualcosa di analogo a questo tribunale, a cui tutti si abituino permanentemente”. Dopo avere ribadito che ritiene giusto un processo “popolare” senza diritto di difesa per gli accusati, il comandante aggiunge che questa forma di giustizia in realtà “la vorrebbero tutti nel mondo. In realtà tutti vogliono la giustizia. Ma la giustizia è crudele, non deve essere fatta di fiocchetti rosa”. Mozgovoy parla ancora a chiare lettere sulle donne e sulla sua minaccia di arrestare tutte quelle che verranno trovate a frequentare un’osteria o un bar: “Tutte queste giovani donne, che dovrebbero fare nascere i bambini di cui abbiamo bisogno per evitare una crisi demografica, invece di occuparsi di questo non fanno altro che distruggere il proprio organismo. D’altronde, perché mai ai vecchi tempi alle donne era proibito sedersi al tavolo? Perché una donna era innanzitutto una madre. Ma che madre potrebbe mai essere se rovina il suo organismo con l’alcool, e ai tempi d’oggi addirittura con le droghe?”. Riguardo a Maidan il comandante Mozgovoy afferma che si è trattato di “uno scenario creato a tavolino. Tutto quello che avviene nella vita politica del mondo odierno è uno scenario creato a tavolino. A partire dal 1917. La rivoluzione è stata frutto di una cospirazione? Sì lo è stata. Oggi questi scenari creati a tavolino sono quelli che fanno scattare le rivoluzioni “arancioni”, “colorate” e tutte le altre: li si sta utilizzando a volontà. […] Viviamo in una cospirazione messa a punto coscientemente. Anche il fatto che lei sia capitato qui è una cospirazione”. Mozgovoy infine, dopo avere sostenuto che anche a Mariupol e a Odessa la popolazione vuole fare parte della Novorossiya, all’obiezione del giornalista secondo cui difficilmente nelle due città ripetono il ripetersi di quanto è accaduto a Donetsk e a Lugansk, cioè la guerra, risponde “E cosa mai è successo a queste città? Stiamo ancora una volta cadendo nel materialismo. Hanno distrutto delle case. E allora?”

3 DICEMBRE 2014

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