Il nuovo militarismo di Trump – “Gli Stati Uniti preparano guerre contro la Russia e la Cina”

di HEARSE Phil

da Europe Solidaire Sans Frontières

e da https://anticapitalista.org/

Durante la campagna elettorale del 2016, Donald Trump promise la fine delle insensate guerre all’estero e attaccò gli «inutili» e costosissimi equipaggiamenti militari, come il caccia invisibile Lockheed Martin F-35 da 1,5 trilioni [1 trilione=mille miliardi] di $. Ma la presidenza Trump ha inaugurato una nuova era di militarismo, con gli Stati Uniti che si preparano a nuove violentissime guerre contro la Russia e la Cina, sostiene Phil Hearse.

Il 27 aprile 2016, il primo candidato presidenziale repubblicano, Donald Trump, utilizzò un evento solo per invitati nell’Hotel Mayflower di Washington, per affermare che i presidenti di entrambi i partiti erano stati responsabili di avere portato gli Stati Uniti in insensate e costosissime guerre esterne. Cosa che, promise Trump, sarebbe cambiata appena egli fosse entrato nella Casa Bianca:

«Non manderò mai i nostri magnifici in battaglia, a meno che sia necessario, e voglio dire assolutamente necessario, e lo farò solo se avremo un piano per una vittoria con la V maiuscola … Il mondo deve sapere che non andiamo in giro per il mondo in cerca di nemici».

Assieme alla promessa di ritirarsi dalle guerre esterne, Trump promise anche un maggiore finanziamento per i militari. La prima promessa non è stata mantenuta, facendo infuriare alcuni dei suoi battistrada di estrema destra, come Steve Bannon e Ann Coulter; la seconda è stata mantenuta – alla grande. Alla fine del 2017 e all’inizio del 2018, due importanti annunci hanno confermato la svolta verso una nuova era di iper-militarizzazione e preparazione alla guerra: il nuovo bilancio della difesa, che è lievitato da una cifra di circa $600 miliardi nel 2017 a più di $700 miliardi nel 2018, e una nuova strategia decennale di difesa annunciata dal Segretario alla Difesa, l’ex generale dei marines James T. Mattis. Questi annunci sono andati di pari passo con la precedente enunciazione di una nuova strategia nucleare, mirata a potenziare l’arsenale nucleare USA e abbassare la soglia per l’uso di tali armi. [1]

La politica militare di Trump è ora sostanzialmente nelle mani dei militari stessi, e dei loro sostenitori tra la destra dura del Congresso, che sono a favore di una militarizzazione più spinta e di una politica estera più dura e aggressiva. Come era prevedibile, ha legittimato nuovi sforzi da parte della Cina e della Russia per modernizzare le loro armi, nucleari e di altro tipo – in altre parole l’inizio di una nuova corsa agli armamenti.

La nuova strategia di difesa modifica la svolta verso l’Asia dell’ex presidente Obama, che sul fronte militare era ovviamente diretta contro la Cina, e si combinava con la «guerra al terrore». Adesso, i principali obiettivi militari degli USA sono la Russia e la Cina, con l’abbandono della «guerra al terrore» come priorità militare centrale, anche se miliardi di dollari sono ancora dedicati a questa. Il discorso di Mattis [2] che delinea la nuova strategia, era molto politico, e molto esplicito nel ripudiare i precedenti tentativi delle precedenti amministrazioni di limitare la competizione militare con la Russia e la Cina. Egli dichiara:

«La Cina e la Russia sfidano la potenza, l’influenza e gli interessi americani, tentando di erodere la sicurezza e la prosperità americane. Sono determinate a rendere le economie meno libere e meno corrette, a rafforzare i loro eserciti e a controllare l’informazione e i dati per reprimere le loro società ed espandere la loro influenza

Queste sfide richiedono che gli Stati Uniti ripensino le politiche dei due decenni passati – politiche basate sull’ipotesi che il coinvolgimento dei rivali e la loro inclusione nelle istituzioni internazionali e nel commercio globale, li avrebbe trasformati in attori benevoli e partner affidabili. Tale premessa si è rivelata per la maggior parte falsa …»

Di conseguenza: «Ci batteremo per garantire che regioni del mondo non siano dominate da una sola potenza, e per rafforzare le competenze dell’America – compreso nello spazio e nel cyberspazio – e per rivitalizzarne altre che sono state trascurate».

Una frase chiave qui è che gli Stati Uniti si batteranno per garantire che regioni del mondo siano «non dominate da una sola potenza». La frase omessa qui è «a meno che quella potenza siano gli Stati Uniti».

Riassumendo, la nuova strategia di difesa enuncia questi punti chiave.

Primo, gli USA si batteranno per il dominio degli spazi strategici chiave, il che significa prepararsi a una guerra estremamente violenta ed essere in grado di entrare in guerra rapidamente. Secondo, le minacce centrali al dominio militare-economico-politico USA vengono dalla Cina e dalla Russia.

Inoltre, mentre si preparano a dare la priorità al confronto con la Russia e la Cina, gli USA restano concentrati sull’Iran e la Corea del Nord, e anche sulla «guerra al terrore»:

«I regimi canaglia, come la Corea del Nord e l’Iran persistono nel compiere azioni illegali che minacciano la stabilità regionale e anche mondiale … E malgrado la sconfitta del califfato fisico dell’ISIS, organizzazioni estremiste violente come l’ISIS o gli Hezbollah libanesi, o Al-Qaida, continuano a seminare odio, distruggere la pace e uccidere innocenti su tutto il globo».

Prima di entrare nei particolari di ciò che la nuova strategia implica, teniamo presente che il militarismo sotto Trump è anche guerra qui e adesso. Come fa notare Nick Turse [3], gli Stati Uniti sono normalmente impegnati in più di cento operazioni al giorno in Africa. La guerra in Afghanistan non è stata ridimensionata, come era stato promesso da Trump; sono stati inviati altri 4000 militari. Gli aerei USA hanno effettuato un numero talmente grande di missioni su Mossul e Raqqa contro l’ISIS, e tanto devastanti per le popolazioni civili quanto i bombardamenti russi in Siria, che il Pentagono ha dovuto chiedere altri soldi per rifornire le scorte di missili e bombe intelligenti [4]. Gli attacchi con droni in Africa Orientale e Pakistan vengono intensificati [5]. Ogni giorno, gli aerei USA riforniscono gli aerei d’assalto sauditi che vanno a compiere nuovi massacri nello Yemen, e gli Stati Uniti collaborano anche indicando i bersagli, e a volte con il blocco marittimo dei porti yemeniti [6]. La collaborazione militare USA con Israele è continua. E stivali militari USA sono sul terreno, in combattimento, nello Yemen e in Siria.

Dalla AirSea battle alla Multi-Domain Dominance

Una cosa di cui le forze armate USA non scarseggiano è la teoria, e anche se gran parte della teoria è esposta in termini apparentemente tecnici militari, è in effetti molto politicizzata. La dimensione del personale, della finanza e dell’equipaggiamento militare USA è talmente enorme che ognuna delle sue quattro ali – l’esercito, la marina, l’aviazione e il corpo dei marines – ha i propri generali e colonnelli intellettuali concentrati sulla strategia e particolarmente sulla difesa degli interessi specifici dell’arma che li riguarda. Qualsiasi cambiamento importante nell’orientamento strategico è rivestito di una teoria globale.

Nel primo decennio del secolo, per contrastare la Cina, è stata sviluppata una nuova teoria – AirSea Battle – che poneva l’accento sul ruolo della marina e dell’aviazione, e in realtà il concetto fu sviluppato da pensatori legati a queste due armi.[7] La letalità delle armi implicate significa che la AirSea Battle [Battaglia Aeronavale], e la Multi-Domain Dominance [più o meno: Dominio di Molti Ambiti/Settori], che le è succeduta, implicano guerre con certamente decine di migliaia, e probabilmente centinaia di migliaia, di morti. La AirSea Battle prevede che le forze aeree e navali USA effettuino violentissimi attacchi sul territorio cinese, sulle isole attorno alla Cina dove l’Esercito di Liberazione del Popolo potrebbe essere basato, e sulle basi navali cinesi. Che questa fosse la teoria militare dominante tra il 2010 e il 2017 indica la centralità della «minaccia» cinese per i pianificatori militari USA. Oggi la AirSea Battle è stata sostituita dalla Multi-Domain Dominance, un tentativo di sorvegliare e dominare vaste aree geografiche, con l’uso di piattaforme cyber, elettroniche e satellitari, che gli intellettuali della difesa USA sperano possano essere sintetizzate in un «algoritmo di difesa» di intelligenza artificiale [8], capace di vedere un campo di battaglia gigantesco e di scegliere gli obiettivi e le tattiche. Fare questo richiede un enorme varietà di nuovi e costosissimi armamenti. Nei primi anni 1980, Mary Kaldor coniò la frase «arsenale barocco» in riferimento all’enorme, eccessiva, potenza distruttiva posseduta dall’esercito USA sotto l’ex presidente Ronald Reagan. Oggi potremmo riferirci alle nuove supercostose armi presenti e in preparazione come «superbarocche». Nel nuovo bilancio, tutte le quattro armi ottengono esattamente ciò che vogliono, e per il momento il prezzo non è un problema.

La politica della nuova posizione della difesa

Dalla fine degli anni 1940, una costante accettata della politica USA è stata che la supremazia economica e politica richiede il predominio militare. Fino al collasso dell’Unione Sovietica, questa ha preso la forma di costringere le altre potenze occidentali nell’alleanza NATO a dominazione USA, assieme a molteplici interventi militari diretti in tutto il mondo. Con il collasso dell’Unione Sovietica, l’intero apparato della NATO e il ruolo militare degli USA erano sembrati sempre più irrilevanti (non a tutti), ma hanno ricevuto una nuova attenzione dopo gli attacchi dell’11 settembre.

Dopo il 2001, l’ex presidente George Bush e consiglieri centrali come Paul Wolfowitz e Donald Rumsfeld hanno iniziato una nuova era del predominio militare USA con la «guerra al terrore». Questo quadro politico-militare globale implica una posizione della difesa basata su un dispiegamento rapido e sul prendere come obiettivi gli «Stati canaglia» e organizzazioni terroristiche come Al Qaida e l’ISIS. Si accompagnava a una posizione ideologica che implicava una rozza Islamofobia e l’adozione dell’idea dello «scontro di civiltà», elaborata da Samuel Huntington e Bernard Lewis [10], nella quale le civiltà che si scontrano sono evidentemente la Cristianità e l’Islam.

Oltre alla guerra in Iraq e in Afghanistan, la guerra al terrore dava importanza a cose come gli attacchi con droni, rapidi attacchi dalle forze speciali e, ovviamente, un largo uso dell’arma aerea. Ora, sotto Trump, la nuova strategia militare implica un diverso orientamento politico e un nuovo modo di guidare gli alleati centrali degli USA. In molti modi assomiglia all’atteggiamento militare degli USA durante la Guerra Fredda, anche se senza il collante ideologico dell’anticomunismo. È il progetto di dominare politicamente e militarmente la maggiore massa di terra del mondo: l’Eurasia. L’importanza dell’Eurasia da un punto di vista strategico fu esposta in modo molto eloquente da Zbigniev Brzezinski, l’ex consigliere per la sicurezza di Jimmy Carter. Le sue parole:

«L’Eurasia è il supercontinente assiale del mondo. Una potenza che dominasse l’Eurasia eserciterebbe un’influenza decisiva su due delle tre regioni più produttive dell’economia mondiale, l’Europa Occidentale e l’Asia Orientale. Uno sguardo alla carta geografica suggerisce anche che un paese dominante in Eurasia controllerebbe quasi automaticamente il Medio Oriente e l’Africa. Con l’Eurasia, che ora è la scacchiera geopolitica decisiva, non basta più sviluppare una politica per l’Europa e un’altra per l’Asia. Quel che accade con la distribuzione del potere sulla massa terrestre dell’Eurasia sarà di importanza decisiva per la supremazia globale e il lascito storico dell’America».[11]

Questo ragionamento di Brzezinski non è messo in discussione nelle forze armate USA e tra l’elite della politica estera. Oggi, gli Stati Uniti sotto Trump stanno facendo mosse ardite per tentare di dominare le due estremità della massa terrestre Eurasiatica, mentre tengono fermamente impressa la loro impronta militare nel Medio Oriente, che rende possibile l’influenza politica e militare nel centro di tale massa terrestre, l’Asia occidentale. Gli Stati Uniti prendono di mira con mezzi militari l’influenza politica ed economica della Cina in Asia e i progetti di Putin di cercare legami più stretti con l’Europa Occidentale.

La nuova promessa militarista

Dal 2014, le notizie sono state piene di storie sull’occupazione da parte della Cina di gruppi di scogli e banchi di sabbia nel Mar Cinese Meridionale: le «isole» Spratley, le Paracelso, lo scoglio Scarborough. Ognuna di queste isole è disputata dagli Stati marittimi più vicini. Pechino accampa la sovranità su aree estese su 35 milioni di chilometri quadrati, ma parti di quell’area sono rivendicate anche da Vietnam, Taiwan, Malaysia, Brunei, Filippine e Giappone.

La Cina ha sbarcato truppe e costruito impianti aerei e navali su queste schegge di roccia e ne ha trasformate alcune in vere isole. La cosa è di solito presentata in Occidente come un’affermazione di potere da parte della Cina, che cerca di intimidire i suoi più deboli vicini, specialmente da quando si ritiene che alcune di tali isole siano sede di importanti giacimenti di petrolio e minerali.

Ma le possibili risorse minerarie sono solo una parte della storia. Il vero nucleo centrale è il cosiddetto «dilemma Malacca» della Cina. Malgrado le sue riserve al largo, la Cina è dipendente per almeno il 65% del suo petrolio, che arriva dal Medio Oriente sulle petroliere che passano attraverso l’angusto Stretto di Malacca, tra la penisola malese e l’isola indonesiana di Sumatra. Questo stretto alimenta il traffico dall’Oceano Indiano verso il Mar Cinese Meridionale e i terminali petroliferi nelle province di Guajong, Fujian e Zhejiang. Un blocco di questo petrolio sarebbe una mazzata per l’economia cinese.

Inoltre, una vasta proporzione della produzione manifatturiera cinese va su navi container attraverso il Mar Cinese Meridionale. La Cina deve anche difendere le sue vie marittime a Est, ad esempio attraverso il Pacifico verso il Cile, che le fornisce il rame attraverso l’Oceano Indiano, verso l’Africa da dove acquista ingenti quantità di materie prime. L’ex segretario di Stato USA, Rex Tillerson ha detto a gennaio che gli Stati Uniti dovrebbero andare oltre e bloccare l’accesso della Cina alle isole. Nell’audizione di conferma del Congresso ha detto:

«Dovremo mandare alla Cina un chiaro segnale che, primo, la costruzione di isole cessa, e, secondo, anche il vostro accesso a quelle isole non sarà permesso. Stanno prendendo del territorio, o controllano o dichiarano il controllo di territori, che non sono legittimamente della Cina».

La strepitosa crescita economica della Cina esercita una pressione sulla posizione degli USA nell’Anello del Pacifico (Pacific Rim). Dalla Seconda Guerra Mondiale, gli USA sono stati la potenza politica, economica e militare dominante nell’Asia Orientale. Ora vedono i loro partner nella regione svoltare verso una maggiore cooperazione economica e politica con la Cina. La tendenza sarà rafforzata dall’iniziativa cinese della «Belt and Road» [in it. Nuova via della seta], che cerca di sviluppare progetti comuni di infrastrutture con i paesi a ovest e a sud della Cina. Ponendo la Cina come una minaccia alla sicurezza, gli USA cementano le loro alleanze politiche con i paesi dell’Asia Orientale e l’Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico (ASEAN), oltre ad assicurare circuiti di investimenti USA e altre forme di collaborazione economica.

Un rapido sguardo alla documentazione relativa alla AirSea Battle indica una cosa ovvia: che la posizione cinese di fronte alla presenza militare USA nel Pacifico Occidentale è essenzialmente difensiva. Tutta la discussione è su operazioni militari contro o attorno alla Cina continentale; non c’è assolutamente alcuna ipotesi di portaerei cinesi al largo della costa della California. La natura essenzialmente difensiva della posizione cinese si può vedere chiaramente dagli obiettivi che i quattro autori delle forze aeree e navali pongono per la AirSea Battle, che si riassumono nella soppressione della capacità del PLA di difendere il territorio, le navi e le annesse basi cinesi. Il centro di questa strategia sta nel sopraffare la capacità della Cina di attaccare le navi, i missili e le basi aeree USA da lontano, distruggendo i suoi sistemi antimissili ma soprattutto annientando il suo sistema di controllo, sorveglianza e comando, con una «campagna di accecamento contro le reti di combattimento del PLA». In una frase altamente significativa, gli autori fanno appello a «prendere e mantenere l’iniziativa in aria, in mare, nello spazio e nei cyberdomini». Una frase chiave che spiega i propositi dell’esercito USA è «Anti-Access/Area Denial», abbreviata in A2/AD, che significa schiacciare i tentativi cinesi di negare l’accesso geografico agli aerei, alle navi e ai missili che lanceranno le loro armi di attacco più letali contro la Cina in tempo di guerra.

Appena tre anni fa, l’idea che la sola Cina era la minaccia militare centrale, e che pertanto non ci fosse un grande bisogno dell’esercito USA nel «Teatro di Operazione del Pacifico Occidentale», era avanzata con forza da John Mearsheimer, il decano della teoria delle relazioni internazionali dell’America. Egli sosteneva:

«La geografia dell’Asia appare molto diversa da quella dell’Europa. L’aspetto più importante è che nella Regione Asia-Pacifico non c’è un equivalente del Fronte Centrale. Se guardiamo ai possibili scenari di conflitto tra la Cina e gli Stati Uniti, è difficile vedere che ci sarebbe bisogno di un grande esercito americano».[12]

Nel 2015 questo sembrava un ragionamento plausibile, ma le ipotesi di base di Mearsheimer – nessun conflitto importante nell’Europa centrale, e continuare l’austerità per le forze armate – ora appaiono molto scentrate. La presidenza di Donald Trump e il nuovo predominio delle forze armate nel pensiero sulla difesa, hanno rilanciato il ruolo dell’esercito a causa di una nuova svolta verso un conflitto con la Russia e perché l’esercito ha promosso il suo ruolo nella difesa aerea e nell’artiglieria anti-navi, incluso il sistema antimissili THAAD e i missili Patriot, che sarebbero necessari in Asia. AirSea Battle è stata sostituita da Multi-Domain Dominance, che cerca di controllare e sorvegliare enormi aree, e sintetizzare informazioni da molte fonti, incluse piattaforme elettroniche, cyber e satellitari.

Due cose sono immediatamente chiare. Multi-Domain Dominance è un’iniziativa colossale ed estremamente costosa; include anche quantità mostruose di violenza. I suoi sostenitori la definiscono «letale e caotica».

Per cercare di mettere un po’ di ordine nella Multi-Domain Dominance, vengono creati giganteschi centri di elaborazione dati. Ma per il momento, i centri di dati delle varie forze non possono sostenere la massa di informazioni che sarebbe raccolta in una battaglia in tempo reale. La soluzione prospettata è l’intelligenza artificiale – il cosiddetto «algoritmo di guerra». Colin Clark spiega:

«Immaginiamo il sacro Graal di una singola equazione matematica designata per dare all’esercito americano una comprensione quasi perfetta di quanto succede sul campo di battaglia, che aiuta i suoi disegnatori umani a reagire più rapidamente dei nostri avversari, e quindi a vincere le nostre guerre – o ancora meglio, a dissuadere il nemico dall’attaccarci … nessuno di quelli ai quali abbiamo parlato crede che un’equazione possa fare tutto in una guerra, ma sono tutti d’accordo che è un concetto potente per considerare i rischi e i compensi di questa nuova iniziativa del Pentagono, poiché è tutto sull’intersezione tra la matematica e la presa di decisione».[13]

Per il momento, il Pentagono ha promesso che il sistema di intelligenza artificiale implicherà sempre degli umani nella catena, in modo che nessun computer possa dare l’ordine di «uccidere». Ma ovviamente proporrà numerosi obiettivi.

Possiamo farci un’idea di che cosa Multi-Domain Dominance e l’algoritmo guerra hanno in mente da un articolo intitolato «Che cosa sarebbe una guerra con la Corea del Nord: 20mila morti al giorno», di Rob Givens, ex vice assistente capo di stato maggiore per le operazioni delle forze USA in Corea (U.S. Forces Korea) e assistente speciale del Presidente dello Stato Maggiore. Egli sostiene:

«Migliaia di aerei sosterranno un’epica battaglia sull’intera penisola coreana … attaccando la vecchia ma cospicua forza aerea nordcoreana, e nello stesso tempo bombarderanno i missili e l’artiglieria di Kim Jong-un … In breve tempo, le forze aeree nella Corea del Sud, sarebbero raggiunte dai caccia della flotta, dei marines, e della forza aerea da Okinawa e dal Giappone. Verrebbero richiamati anche i bombardieri USA da tutto il mondo. Ogni metro quadrato della Corea del Nord sarebbe a tiro …

Si instaurerebbe l’orrore poiché migliaia sarebbero uccisi o feriti. Secondo alcune stime, la Corea del Nord infliggerebbe 20.000 morti al giorno solo in Seul nei primi giorni … Noi useremmo bombe a grappolo che spargono sub munizioni su aree delle dimensioni di un campo di calcio. Risponderemo al fuoco di artiglieria dovunque le batterie nemiche sparano. Quando è la cosa migliore per le condizioni militari, colpiremo obiettivi nel centro delle aree urbane; sarebbe impossibile evitare perdite civili …».[14]

Questo ci dà una chiara immagine delle colossali risorse, specialmente risorse aeree, che sarebbero mobilitate da tutto il globo. Quando Trump parla di distruggere la Corea del Nord, non sta usando un’iperbole.

Militarizzare le aree di confine

Nel gennaio 2017, il primo contingente di 1000 militari USA, su una forza progettata di 4000, è arrivato in Polonia. Ewan MacAskill, scrivendo poco prima dell’insediamento di Trump come presidente, diceva: «Il Cremlino può trattenersi da misure di ritorsione nella speranza che una presidenza Trump annunci un riavvicinamento con Washington. Trump, in osservazioni durante la compagna elettorale e successive, ha dato segni di dubbio sul dispiegamento, suggerendo che vorrebbe lavorare con Putin piuttosto che confrontarsi con lui».[15]

Qualsiasi illusione di questo tipo deve essere svanita dalle menti dei dirigenti del Cremlino. Trump è stato messo in riga sulla valutazione della Russia come Stato nemico, sostenuta dalle elite della politica estera, dello spionaggio e dei militari USA. Nell’audizione di conferma della sua nomina, il nuovo presidente dello Stato Maggiore, il generale dei Marines Joseph Dunford, ha indicato la Russia come nemico più importante dell’ISIS. «La Russia presenta la più grande minaccia alla sicurezza nazionale» ha detto. Perché? Perché è una potenza nucleare. In quanto tale «può porre una minaccia esistenziale agli Stati Uniti». E il comportamento della Russia negli ultimi anni non è «niente di meno che allarmante». Il suo vice capo, il generale dell’aviazione Paul Salva, ha detto: «Porrei le minacce a questa nazione nel seguente ordine: Russia, Cina, Iran and Nord Corea».[16]

La campagna dei membri democratici del Congresso sul presunto collegamento tra la squadra di Trump e la Russia durante la campagna delle elezioni presidenziali del 2016 sembra abbia posto fine a qualsiasi pensiero del campo di Trump di rompere con il discorso dominante «Russia come nemico».

Nel novembre 2017, Trump ha firmato un accordo con la Polonia per venderle i missili antimissile Patriot, ponendo fine a una saga di 13 anni, durante i quali la Polonia aveva rifiutato di accettare i missili di difesa aerea – citando argomenti su chi li avrebbe controllati e sotto pressione dell’ostilità russa. Ora la Polonia ha i missili e un contingente di 4000 militari USA pesantemente armati.

Secondo l’Independent ci sono attualmente 7000 soldati NATO stanziati nell’Europa Orientale:

«Migliaia di soldati NATO sono stati ammassati vicino al confine con la Russia come parte del più grande spiegamento di truppe occidentali al confine della sfera d’influenza russa dal tempo della Guerra Fredda.

Gli Stati Baltici, la Polonia, la Romania e la Bulgaria ospitano soldati dei 28 Stati membri della NATO, con oltre 7000 militari dispiegati nei paesi confinanti della Russia. Lo UK è il paese leader in Estonia, dove 800 soldati sono sistemati nella base Tapa, a circa 50 miglia da Tallinn, aiutati da forze francesi e danesi.

Soldati britannici sono dispiegati anche in Polonia, come parte di una missione NATO a comando USA che conta 4000 soldati, sostenuta dall’esercito romeno. In Lettonia e Lituania circa 1200 militari dal Canada e dalla Germania (rispettivamente) sono dispiegati a fianco di forze da tutta l’Europa.

Nell’estremo nord del continente, più di 3000 Marines sono a rotazione in Norvegia, che ha un confine con la Russia all’interno del Circolo Polare artico. Funzionari del Cremlino sostengono che è il più grande spiegamento dalla Seconda Guerra Mondiale».[17]

Ma qual è il comportamento della Russia che ha portato a questo potenziamento delle forze NATO nelle aree di confine? Senza dubbio il regime di Putin ha visto un’ascesa del nazionalismo e dell’autoaffermazione russe. Lo Russia ha modernizzato in misura sostanziale il suo equipaggiamento militare, ed è intervenuta in Siria con una campagna di bombardamenti e di truppe sul terreno che hanno salvato il presidente siriano Bashar al-Assad dalla sconfitta da parte dei ribelli, ma anche ucciso molte centinaia di civili siriani.

Ma le azioni chiave che hanno allarmato la NATO sono state: la guerra con la Georgia per la provincia russa dell’Ossezia del Sud nell’agosto 2008; l’incorporazione da parte della Russia della penisola di Crimea nel proprio territorio; il sostegno ai ribelli di lingua russa nell’Ucraina orientale. Da un punto di vista russo ognuno di questi eventi può essere visto come un’azione difensiva.

Dire questo non significa in alcun modo approvare il regime autoritario e brutale di Putin, o i metodi che il regime impiega contro i suoi oppositori politici, in Russia o nelle aree di confine. Ma vedere la Russia come principale responsabile del confronto militare con la NATO nell’Europa Orientale vuol dire accettare una massiccia dose di propaganda occidentale.

Nell’Ossezia del Sud, un’incursione armata georgiana cercava di forzare una secessione dell’Ossezia dalla Federazione Russa. Un rapporto dell’UE del 2009 rilevò quasi all’unanimità che la Georgia, sotto il suo presidente di destra Mikheil Saakashvili era responsabile del conflitto.

Sembra probabile che la ragione per la reincorporazione della Crimea è stata la minaccia percepita alla base navale di Sebastopoli, fondamentale per la Russia. La base è la chiave di accesso della Russia al Mar Nero. Il nuovo governo nazionalista dell’Ucraina, seguito alla sollevazione del 2013, era estremamente ostile alla Russia e avrebbe potuto decidere di negare alla Russia l’accesso alla base. Inoltre, l’identità nazionale della Crimea è perlomeno ambigua. La penisola fu regalata all’Ucraina da una bizzarria di Nikita Kruscev nel 1954, quando l’Ucraina faceva parte dell’Unione Sovietica, e una sostanziale maggioranza della sua popolazione è etnicamente russa. La reincorporazione nella Russia è stata sostenuta da una larga maggioranza nel referendum del marzo 2014.

La militarizzazione delle aree di confine da parte della NATO è giustificata soprattutto dal conflitto nella regione del Donbass in Ucraina, dove dal 2014 è stata combattuta un’aspra guerra civile che oppone le truppe ucraine contro i ribelli sostenuti dalla Russia.

Richard Sakwa ha illustrato nei particolari le origini spontanee della rivolta del Donbass contro il nuovo governo nazionalista di Kiev.[18] Questo governo è giunto al potere nel 2013, come risultato della ribellione di Maidan contro il regime corrotto e brutale del presidente ucraino Viktor Yanukovich.

Allarmati dal percepito estremo nazionalismo e dall’ostilità verso i Russi etnici nel Donbass, in quell’area iniziò una genuina rivolta popolare. Solo in seguito, «volontari» dalla Russia iniziarono a svolgere un ruolo predominante nella ribellione armata.

Sakwa dice: «Nel marzo 2014 sorse un movimento di protesta dal basso che chiaramente godeva dell’appoggio popolare. Sondaggi di opinione nella regione mostrarono però che solo una minoranza voleva la secessione dall’Ucraina, ma una grande maggioranza temeva l’ostilità degli ultranazionalisti dentro e attorno al nuovo governo ucraino».[19]

Dopo tre anni di guerra, le forze ucraine, armate dalla NATO, sono state costrette a uno stallo. Il pericolo è che il governo ucraino di Kiev voglia tentare un’offensiva militare di grande portata, utilizzando massicciamente la forza aerea e l’artiglieria che i ribelli non posseggono, portando al pericolo di un intervento diretto della Russia.

La reincorporazione della Crimea e le iniziative della Russia rispetto all’Ucraina devono essere viste nel contesto degli sforzi incessanti degli Stati Uniti di spingere i confini della NATO fino alla frontiera russa, malgrado le promesse che ciò non sarebbe mai accaduto.[20]

Come Sakwa spiega nei particolari, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, la Russia aveva cercato una più stretta integrazione con il resto dell’Europa, nel suo concetto di «Grande Europa», che di fatto si opponeva all’idea «Euro-Atlantica» della maggior parte dei capi della NATO. Gli Stati Uniti si opposero aspramente alla posizione della Russia, e riuscirono a ottenere nel 2007 che l’Unione europea insistesse che tutti i nuovi aspiranti a membri dell’Unione Europea dovevano anche aderire alla NATO (una condizione che esisteva di fatto dal 1999). Gli Stati Uniti reagiscono negativamente a qualsiasi tentativo di intaccare la loro supremazia attraverso la NATO. Se vediamo il ruolo politico-economico della NATO sotto questo angolo, possiamo cercare di capire un apparente paradosso, raramente messo in luce, come se fosse nascosto alla vista. Dato che la NATO apparentemente era stata creata come baluardo contro l’Unione Sovietica, perché non è scomparsa quando è scomparsa l’Unione Sovietica?

Corea e Iran

All’inizio di marzo 2018, la Corea del Nord ha fatto sapere di essere pronta a colloqui di pace con la Corea del Sud, e di poter essere pronta a discutere il suo progetto di sviluppo di armi nucleari. L’ex analista della CIA Sue Mi Terry, ha spiegato su Channel 4 News che i Nordcoreani vogliono un trattato di pace, cioè un trattato che ponga fine formalmente alla Guerra di Corea, che legalmente non è mai finita. Dicendo questo, Terry ha fallito in partenza, poiché ciò significa rimuovere le forze armate degli Stati Uniti dalla penisola coreana [21], cosa che gli Stati Uniti non accetteranno mai. La frustrazione USA per la presenza della delegazione Nordcoreana alle Olimpiadi Invernali di Pyeongchang, nella quale il vicepresidente Mike Pence è rimasto seduto impassibile mentre i dirigenti Nord e Sudcoreani si davano la mano, era emblematica. Gli Stati Uniti non hanno interesse a che la loro presenza militare nella Corea del Sud sia ridotta o eliminata. E ciò perché le truppe, le armi e i sistemi di sorveglianza che hanno installato in Corea sono parte dell’assicurare la stabilità del loro sistema regionale di alleanze politiche e di pressione militare sulla Cina.

Che la presenza USA in Corea sia mirata anche alla Cina e alla Russia, è illustrato dalla collocazione del sistema antimissile THAAD nella Corea del Sud. Quello che irrita Pechino non è la prospettiva che gli Stati Uniti abbattano un missile nordcoreano, ma piuttosto la capacità che l’avanzato sistema radar del THAAD dà all’esercito USA di guardare attraverso il Mar Giallo dentro lo spazio aereo della Cina, e potenzialmente di seguire i movimenti dell’equipaggiamento militare cinese sul terreno. In più, il sistema THAAD nella Corea del Sud rafforza le difese missilistiche USA nell’eventualità di una guerra con la Cina o la Russia.

La collocazione del THAAD nella Corea del Sud è stata controversa, nel paese stesso e altrove, prima dell’ultima serie di minacce USA – Pyongyang. Dopo vari lanci di missili, e le minacce di «fuoco e furia» di Trump, l’opposizione al THAAD è caduta.

La presenza militare USA in Iraq si è ridotta a 9000 soldati, ma la presenza militare complessiva USA in Medio Oriente è consistente, circa 54.000 uomini tutto compreso. La singola base di gran lunga più grande è la base aerea USA nel Qatar, dove sono stanziati 10.000 uomini. Ci sono 5000 uomini negli EAU, altri 15.000 nel Kuwait e 7000 stanziati nella base navale nel Bahrain. C’è una presenza militare USA anche in Giordania e nel Dhofar. Nell’insieme, questa serie di basi militari rappresenta un sistema di forza per rafforzare e difendere i regimi reazionari nella regione, e per garantire gli interessi diplomatici ed economici USA, non ultimo, il fatto che vi si trovano le più grandi riserve provate di petrolio.

Dominare l’area significa uno stretto sostegno agli alleati centrali, Israele e Arabia Saudita. L’intensificazione del conflitto con l’Iran da parte di Trump, in particolare il fatto che gli USA cominciano a ritirarsi dall’accordo nucleare (Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) ha due motivazioni. Prima, il desiderio di impedire che gli europei stringano importanti accordi commerciali con l’Iran. Nei nove mesi fino al dicembre 2017, il valore del commercio tra l’Iran e l’Europa è stato di 14 miliardi di Euro. Molte società europee sono ansiose di iniziare a commerciare con l’Iran.

Secondo Michael Peel, Katrina Manson and Andrew Ward:

«I paesi europei si stanno battendo per salvare i legami commerciali con l’Iran come parte di un più ampio sforzo per impedire che gli USA straccino l’epocale accordo per bloccare il programma nucleare iraniano. Dato che si prevede che il presidente Donald Trump rifiuterà di certificare che Tehran si attiene all’accordo, i funzionari europei stanno approntando piani di emergenza per proteggere compagnie come Airbus, Total, Siemens e Peugeot che hanno stretto accordi con l’Iran, se vengono di nuovo imposte le sanzioni USA connesse al nucleare».

Oltre a prevenire una rinnovata influenza europea nella regione, il governo Trump è determinato a usare la forza militare, se necessario attraverso dei delegati, per ridurre l’influenza iraniana che confronta militarmente i suoi alleati centrali. Il sostegno USA tattico, logistico, di spionaggio e in armamenti a Israele e all’Arabia Saudita è stato d’aiuto a molte incursioni aeree di Israele contro le Guardie della Rivoluzione iraniane, contro alleati dell’Iran e armi iraniane in Siria, Libano, Yemen.

Se scoppia la guerra in Ucraina, o tra Israele e l’Iran (o forze sostenute dall’Iran), il militarismo USA e il personale militare USA avranno vi avranno una parte centrale.

Aumentare il bilancio: benessere delle imprese

Il 17 dicembre scorso,Trump ha firmato il bilancio della difesa per il 2018. Si trattava, ha affermato, di un aumento storico della spesa militare. A seconda di come si definisce la spesa militare, le cifre vanno da 721 miliardi a più di un trilione [mille miliardi] di $.

Questo bilancio è una grande vittoria per il Pentagono e tutte le forze armate. Significa un colpaccio per tutti i più importanti appaltatori militari. Arrivando proprio assieme ai massicci tagli di tasse, avrà un impatto negativo sulla sicurezza sociale e altre spese.

Dopo il crollo finanziario del 2008, la spesa militare era bloccata a 549 miliardi di $; dopo l’elezione di Trump nel novembre 2016, il Congresso accordò ai militari un extra di 50 miliardi di $, un’integrazione per arrivare all’obiettivo di 600 miliardi per il 2017. L’amministrazione Obama parlava di scelte forti nella spesa militare, ma ora Trump ha oltrepassato tali scelte. Non si tratta di dare la priorità a una o due delle quattro armi, saranno tutte vincitrici. Non si tratta di aerei piuttosto che carri armati, o di continuare la «guerra al terrore» al posto di preparare la guerra contro la Russia e la Cina. Sarà fatto tutto; tutte le armi ne trarranno beneficio. A parte che c’è una chiara scelta. L’equipaggiamento ad alta tecnologia, specialmente i sistemi di sorveglianza, comando e controllo saranno preferiti rispetto ad avere più soldati, malgrado il (modestissimo) aumento del personale di circa 20.000 unità. In termini delle cifre annunciate, nel bilancio nazionale la spesa militare negli USA è seconda rispetto alla sicurezza sociale: in termini reali è circa uguale o leggermente superiore.

In un’ intervista a radio Sputnik lo scorso gennaio, James Kavanagh, direttore di ThePolemicist.net, ha detto:

«Il punto importante è che la spesa è praticamente illimitata. Trump, malgrado quello che tutti pensavano, malgrado quello che lui stesso diceva, è parte del complesso militare‒industriale. Ha detto che avrebbe tagliato sulle guerre ma vuole aumentare le spese militari?

Ciò dimostra la tenacia del complesso militare‒industriale negli Stati Uniti: queste leggi sono strutturate in modo che danno contratti in tutto il paese e centinaia di basi in quasi ogni distretto congressuale.

Migliaia di contratti sono emessi ogni giorno, e diventa molto difficile per un membro del Congresso votare contro, perché voterebbe contro una manna che viene nel suo distretto. Questo è essenzialmente Keynesismo militare».[23]

Circa metà del bilancio della difesa del Pentagono va direttamente agli appaltatori. Nel 2016 ciò ha significato 304 miliardi di $. I primi beneficiari di questa larghezza sono i cinque più grandi appaltatori della difesa: Lockheed Martin ($36.2 miliardi), Boeing ($24.3 miliardi), Raytheon ($12.8 miliardi), General Dynamics ($12.7 miliardi) and Northrop Grumman ($10.7 miliardi). Gli AD di queste società, principalmente, o in alcuni casi totalmente, dipendenti dai contratti governativi, hanno guadagnato tra tutti 96 milioni di $. Centinaia di milioni sono stati ripartiti tra altri dirigenti di alto livello.

Uno Stato di militarismo

Gli Stati Uniti hanno una cultura che è ossessionata e lacerata dalla violenza. Dal 1950, milioni di cittadini del Terzo Mondo sono morti nelle loro guerre. Il possesso di armi da parte dei civili è a livelli astronomici, così come le morti da ferite di arma da fuoco. Le loro forze di polizia e altre agenzie di applicazione della legge sono sempre più armate con armi di tipo militare e tattiche di tipo militare.

L’ossessione per la cultura delle armi e l’esaltazione degli eroi militari è fortemente collegata al razzismo e all’ultramaschilismo. Si connette anche con le nozioni della superiorità USA e all’idea che la civiltà americana è speciale: una «splendente città su una collina». Carl Boggs commenta:

«Questa superiorità sii accompagna a un’incrollabile credenza comune nell’assoluta bontà – persino una bontà divina – delle ambizioni imperiali e della prodezza militare americane. Più che uno strumento materiale per uccidere, il fucile è stato innalzato a una specie di statuto metafisico … è precisamente in un tale ambiente ideologico che Chris Kyle, protagonista reale del film di successo American Sniper [cecchino] ha potuto ottenere un riconoscimento postumo come assassino di massa ed eroe nazionale … la vita di Kyle è stata formata da un’ossessione per il fucile (arma, nel gergo dell’esercito): in questo caso un sofisticato fucile militare dotato di lenti telescopiche ad alto potenziale. Tiratore scelto in Iraq, si dice che Kyle abbia collezionato il maggior numero di uccisioni nella storia USA: racconto famigliare di buoni Americani che uccidono cattivi stranieri per salvare la libertà e la democrazia. Il fatto che i fucili (armi di alta tecnologia) fossero usati in Iraq per uccidere ordinariamente uomini, donne, bambini, nel film era trattato come un ordinario fatto della vita, come lo era nei media corporate [delle grandi società] e nella cultura politica».[24]

È chiaro che l’approfondimento del militarismo si accompagna al predominio politico della destra dura e a uno Stato che ricorre sempre più alla repressione per reprimere le proteste, sia nelle strade di Ferguson o nelle terre tradizionali degli Standing Rock Sioux nel Dakota. Uno Stato che è uno Stato di guerra all’esterno, quasi invariabilmente diventa uno Stato di guerra non democratico all’interno.

Phil Hearse

Note

[1] Trump’s New Dr Strangelove, https://www.prruk.org/donald-trumps-new-dr-strangelove-plans-for-the-unthinkable-genocide-in-north-korea/

[2] https://www.defense.gov/Portals/1/Documents/pubs/2018-National-Defense-Strategy-Summary.pdf

[3] https://www.huffingtonpost.com/bryan-maygers/nick-turse-tomorrows-battlefield_b_7480360.html

[4] http://fortune.com/2016/02/02/pentagon-smart-bombs-isis-budget/

[5] https://www.theguardian.com/world/2018/jan/23/somali-citizens-count-cost-of-surge-in-us-airstrikes-under-trump see also: https://www.theguardian.com/us-news/2014/nov/24/-sp-us-drone-strikes-kill-1147

[6] https://www.vox.com/world/2017/11/14/16648848/yemen-congress-trump-saudi-salman

[7] Jan van Tol, Mark Gunzinger, Andrew F. Krepinevich, Jim Thomas AirSea Battle: A Point-of-Departure Operational Concept http://csbaonline.org/research/publications/airsea-battle-concept/

[8] https://breakingdefense.com/2017/05/the-war-algorithm-the-pentagons-bet-on-the-future-of-war/

[9] Mary Kaldor, The Baroque Arsenal, Hill and Wang, 1981. Mary Kaldor aveva in mente il sistema missilistico MX di Ronald Reagan,poi non costruito, così come la decisione di piazzare i missili Cruise in Europa.

[10] The Clash of Civilisations and the Remaking of World Order, Samuel P. Huntington, Simon and Schuster, 2002. Vedi anche Bernard Lewis on ‘the roots of Muslim rage’ https://www.theatlantic.com/magazine/archive/1990/09/the-roots-of-muslim-rage/304643/

[11] Zbigniew Brzezinski, A Geostrategy for Eurasia, http://www.comw.org/pda/fulltext/9709brzezinski.html

[12] John Meairsheimer, The Rise of China and the Decline of China, Didactic Press 2015

[13] Colin Clark, The War Algorithm: the Pentagon’s Bet on the Future of Warfare, https://breakingdefense.com/2017/05/the-war-algorithm-the-pentagons-bet-on-the-future-of-war/

[14] Rob Givens, What war with North Korea would look like https://breakingdefense.com/2017/09/what-war-with-north-korea-would-look-like-20k-nk-dead-a-day/

[15] https://www.theguardian.com/us-news/2017/jan/12/doubts-over-biggest-us-deployment-in-europe-since-cold-war-under-trump

[16] https://www.nytimes.com/2015/07/10/us/general-joseph-dunford-joint-chiefs-confirmation-hearing.html

[17] http://www.independent.co.uk/news/world/europe/russia-nato-border-forces-map-where-are-they-positioned-a7562391.html

[18] Richard Sawka, Frontline Ukraine, Crisis in the Borderlands, IB Taurus, 2015

[19] Ibid

[20] http://www.spiegel.de/international/world/nato-s-eastward-expansion-did-the-west-break-its-promise-to-moscow-a-663315.htm

[21] https://www.express.co.uk/videos/529920/Former-CIA-analyst-North-Korea-want-a-peace-treaty

[22] https://www.ft.com/content/c6166f24-af42-11e7-aab9-abaa44b1e130

[23] https://sputniknews.com/analysis/201712131059949025-us-ndaa-defense-budget-increase/

[24] Carl Boggs, Gun Crazy – Life and Times in the Warfare State, https://www.counterpunch.org/2018/03/05/gun-crazy-life-and-times-in-the-warfare-state/


P.S.

* March 26, 2018 — Links International Journal of Socialist Renewal:
http://links.org.au/trump-new-militarism

* http://leftunity.org/trumps-new-militarism/

Europe Solidaire Sans Frontières – Art. 43811

Traduzione di Gigi Viglino