Neruda, poesia e impegno

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Neruda, una vita straordinaria

Questo breve articolo è uscito ieri sul “Corriere della sera”, in forma quasi integrale: avevo già cercato di scorciarlo, dato che avevo superato di parecchio gli spazi concessi, e poi ho suggerito altri tagli, e in realtà ne hanno fatti solo alcuni. Qui comunque ho inserito la versione originale. L’articolo accompagnava l’uscita di un’antologia di poesie di Neruda, Tra le labbra e la voce, con testo a fronte, ma senza note e indicazioni della raccolta da cui provenivano, come tutte quelle di questa collana abbinata al quotidiano, iniziata con la bellissima raccolta di versi di Wisława Szymborska, Elogio dei sogni. (a.m 11/1/12)

 

Pablo Neruda non è mai stato dimenticato, anche negli anni più duri della dittatura di Pinochet. Al suo funerale, mentre ancora carceri e stadi traboccavano di detenuti, sfilarono tremila coraggiosi. A distanza di quasi quarant’anni il partito comunista cileno ha chiesto la riesumazione del suo corpo per accertare con l’autopsia se a ucciderlo fu il cancro alla prostata con cui conviveva da qualche tempo o un’iniezione di veleno. Una richiesta che comunque non può aggiungere molto a quello che si sa: il Messico aveva inviato un aereo per portare in salvo il poeta, e proprio il giorno prima della partenza era avvenuto l’improvviso e imprevisto aggravamento che lo aveva stroncato in poche ore.

La giunta militare guidata da Pinochet (che oggi in Cile secondo il ministro dell’educazione di Piňera non si dovrebbe più chiamare “dittatura”) continuava a braccare i militanti della sinistra anche all’estero, uccidendoli a volte senza processo, e ha continuato a farlo per anni, confortata dal giudizio di Henry Kissinger: “Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un Paese diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli.”

Per Augusto Pinochet, Pablo Neruda era certamente un problema non facile. Il poeta era ammirato all’estero (nel 1971 aveva ottenuto il premio Nobel per la letteratura), ma era soprattutto popolarissimo in patria, per i suoi versi e anche per i resoconti degli avventurosi viaggi giovanili, da Rangoon a Singapore a Batavia (Giacarta). In Estremo Oriente aveva cominciato prestissimo la sua carriera diplomatica, che si era poi spostata in Europa. Con brevi interruzioni dovute a governi ultraconservatori, era durata fino a poco prima della morte.

Pablo Neruda (che in realtà si chiamava Neftalí Ricardo Reyes Basoalto, e aveva scelto quello pseudonimo per le sue pubblicazioni già nel 1920, quando aveva solo sedici anni ), aveva partecipato attivamente a molte campagne elettorali, ed era stato più volte eletto senatore. Nel 1938 , dopo la vittoria del primo governo di Fronte Popolare guidato da don Pedro Aguirre, era stato nominato console a Parigi con l’incarico di mettere in salvo il maggior numero di repubblicani spagnoli. Nel 1948 era stato destituito da senatore dal presidente Gabriel González Videla, un radicale che era stato eletto con i voti della sinistra, ma che aveva messo poco dopo fuori legge il partito comunista: Neruda, colpevole di aver difeso con un discorso appassionato i minatori colpiti dalla repressione, era stato braccato per un anno e, prima che riuscisse la sua fuga in Argentina, in tutto il mondo era stato creduto morto. D’altra parte in molti paesi, compresa l’Italia, Neruda aveva subito spesso molestie e vessazioni poliziesche.

Nel 1970, quando fu eletto presidente Salvador Allende, era stato nominato ambasciatore nella sua amata Francia, e aveva così mantenuto intatta la sua popolarità, evitando di prendere posizione nella turbolenta vita interna della coalizione di Unidad Popular.

Logico quindi che già il giorno della sua morte si fossero diffusi sospetti su una possibile causa dolosa, accresciuti dalla barbara distruzione della sua casa e dal saccheggio dei cimeli raccolti in una vita di viaggi. L’autopsia, richiesta recentemente sull’onda di quella ottenuta per Salvador Allende (che ha confermato che si uccise per non cadere nelle mani dei militari) non è ancora conclusa, ma cambierà poco: non c’è dubbio che in Neruda la giunta militare vedesse non il poeta, ma un uomo che poteva diventare dal Messico un punto di riferimento credibile per la resistenza. In ogni caso era un simbolo di tutto quello che il golpe voleva distruggere.

* * * * *

La popolarità di Pablo Neruda era indiscussa, ma la sua figura non era priva di contraddizioni. Le convinzioni politiche di Neruda hanno risentito fortemente del clima in cui si erano formate. Nella sua autobiografia, Confesso che ho vissuto, (ed. italiana SugarCo 1979), dice che “anche se la tessera l’ho ricevuta molto più tardi in Cile, quando entrai ufficialmente nel partito, credo di essermi definito di fronte a me stesso come comunista durante la guerra di Spagna”.

La guerra di Spagna lo aveva sorpreso a Madrid, dove era arrivato in qualità di console, dopo esserlo stato anche a Barcellona. Subito dopo il Levantamiento di Franco, Neruda fu privato dell’incarico di console dal presidente Arturo Alessandri (un cognome che ritorna nella storia del Cile). Anche come semplice cittadino, Neruda ebbe però subito un ruolo importante nella mobilitazione europea e delle Americhe in difesa del legittimo governo spagnolo. Ma mentre denunciava appassionatamente le atrocità franchiste, tanto più quando tra le vittime c’erano amici carissimi come Federico Garcia Lorca o Miguel Hernández, la sua inesperienza politica lo portava a non vedere l’altro aspetto della guerra, la repressione di anarchici e trotskisti, veri o presunti, da parte degli uomini di Stalin.

Non era solo la sua ingenuità di neofita a determinare il rapporto ambiguo con lo stalinismo, ma la fedeltà cieca al partito comunista cileno, che manterrà fino alla morte. Dice di aver avuto amici anarchici ma nelle sue memorie, finite pochi giorni prima della sua morte, continua a ripetere le denigrazioni staliniane su di loro. E paradossalmente finisce per estendere le stesse accuse a tutta la tendenza guevarista in America Latina, sostenendo che mentre nel partito comunista cileno, che era “di origine strettamente proletaria”, erano difficili le infiltrazioni della CIA, le organizzazioni guerriglieriste “hanno spalancato le porte a ogni tipo di spie”, inondando il continente di tesi che screditavano i vecchi gloriosi partiti. Salva soltanto la persona di Guevara, perché era stato colpito profondamente (tanto che ne parla più volte nelle sue memorie) dall’ammirazione per la sua poesia manifestata dal Che, che anche nell’ultima impresa boliviana si era portato nello zaino il suo Canto general. Ma pesava anche la grande emozione creatasi in tutto il mondo per la morte di Guevara, che aveva spinto anche un altro detrattore (Giorgio Amendola, il dirigente del PCI a cui faceva riferimento Giorgio Napolitano) a fare una mezza ritrattazione della definizione di “stratega di farmacia” usata poco prima, sostenendo che non alludeva al Che ma solo ai suoi ingenui seguaci.

Neruda ha navigato senza problemi e senza dubbi nel mondo staliniano, al punto che di Stalin traccia (nel 1973!) un quadro abbastanza grottesco: il dittatore georgiano sarebbe stato un “uomo di princìpi e bonaccione, sobrio come un anacoreta, titanico difensore della rivoluzione russa”…

È poco noto invece un episodio che aveva molto turbato Neruda: nel 1966 un gruppo di intellettuali cubani tra cui Roberto Fernández Retamar raccolsero migliaia di firme anche in altri paesi su un appello che denunciava il poeta cileno come complice dell’imperialismo per aver accettato un invito a tenere conferenze negli Stati Uniti. Senza tener conto che a New York Neruda parlava in difesa della rivoluzione cubana! Era evidentemente un pretesto per attaccare indirettamente il suo partito, allora in polemica con quello cubano. Ma Neruda nelle sue memorie si consola dicendo che col tempo “ogni ombra è stata eliminata” e “tra i due partiti comunisti più importanti dell’America Latina esiste un’intesa chiara e un rapporto fraterno”. Gli sfuggiva evidentemente che l’intesa era stata resa possibile dalla svolta filosovietica di Cuba dopo la morte di Guevara. Insomma, un’ennesima conferma che a un poeta va chiesto solo di essere un buon poeta, senza pretendere che possa essere anche una guida politica…

 Antonio Moscato