Obiettivo Teheran

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USA e Israele alle grandi manovre, obiettivo Teheran

di Antonio Mazzeo

 

 

L’inquietante escalation delle provocazioni militari contro l’Iran è accompagnata da una vergognosa campagna di demonizzazione di questo paese su tutti i mass media cosiddetti “indipendenti”. Non ho nessuna simpatia per Ahmadinejad e per il regime degli ayatollah, ma non è peggiore di quello saudita e di parecchi emirati del golfo, o di molti stati africani e asiatici, che sono però preziosi alleati dell’imperialismo statunitense ed europeo e beneficiano quindi di un trattamento di favore. L’uso della giustizia per scopi mediatici (spesso tuttavia controproducenti) non è giustificabile, ma non è certo un’esclusiva di Teheran, ed è diffuso anche nel cosidetto “primo mondo”. Quanto ai rapporti economici e politici con alcuni paesi dell’America Latina, sono legittimi e fondati su comuni interessi.

Vergognoso soprattutto l’atteggiamento dei mass media europei sulle “provocazioni iraniane” sullo stretto di Ormuz: sorvolano sul piccolo particolare che gli iraniani sono a casa loro e i gendarmi statunitensi no. Molte voci autorevoli negli Stati Uniti si sono dette contrarie all’ipotesi di una guerra contro l’Iran (comunque proclamata o definita), ma il rapporto sempre più stretto degli USA con uno Stato di Israele guidato da integralisti e fanatici può trascinare il mondo intero in una catastrofe.

Antonio Mazzeo traccia con la consueta ricchezza di informazioni “tecniche” un quadro di questa nuova fase. In appendice una lettera di Piero Maestri al Manifesto, che sottolinea la necessità che l’opposizione più ferma a ogni intervento imperialista non porti a rinunciare alla critiche a regimi come quello siriano o iraniano (a.m. 10/1/12)

 

 

USA e Israele alle grandi manovre, obiettivo Teheran

di Antonio Mazzeo

 

Saranno le esercitazioni più imponenti della storia dell’alleanza militare tra Stati Uniti d’America ed Israele e vedranno schierati decine di batterie missilistiche, cacciabombardieri, tank, sistemi radar, unità navali e migliaia di soldati provenienti dai reparti d’élite dei due paesi. Da fine gennaio in poi, ogni giorno potrebbe essere quello buono per l’avvio di Austere Challenge 12, il war game che rischia d’inasprire ulteriormente le tensioni politiche nella regione mediorientale. L’annuncio arriva una decina di giorni dopo le grandi manovre navali iraniane nello Stretto di Hormuz, conclusesi con il lancio sperimentale di tre missili a breve e medio raggio; Washington e Tel Aviv negano però, con non poca ambiguità, che l’esercitazione congiunta sia indirizzata contro Teheran. “Lo scenario comprenderà aventi simulati e addestramenti nel campo e non è una risposta ad alcuna situazione odierna”, ha spiegato un portavoce militare israeliano all’agenzia France Press. “Il comando delle forze armate USA in Europa, Eucom, e le forze armate israeliane conducono periodicamente esercitazioni in Israele, nel quadro di una lunga e stabile partnership strategica, finalizzate a migliorare i loro sistemi difensivi”.

Nel corso di Austere Challenge 12 sarà testato il funzionamento di “sistemi multipli di difesa aerea contro l’arrivo di missili e razzi” e, secondo il Jerusalem Post (che ha citato il generale USA Frank Gorenc, comandante del Third Air Force), più che di un’esercitazione si tratterà di un vero e proprio “dislocamento” di reparti e unità navali statunitensi in Israele. “Mentre le truppe USA stazioneranno nel paese per un tempo non specificato, personale militare israeliano sarà distaccato in Germania presso il Comando delle forze armate USA in Europa”, aggiunge il quotidiano.

Nel 2009 fu tenuta in Israele un’altra importante esercitazione (Jupiter Cobra 10) che aveva visto la partecipazione, tra gli altri, del 5th Battalion, 7th Air Defense Artillery dell’US Army con base a Kaiserslautern, unità di pronto intervento specializzata nella difesa aerea e missilistica in ambito NATO ed extra-NATO. Fu simulato un attacco missilistico nucleare iraniano combinato al lancio di missili a corto raggio dal territorio siriano e libanese e i reparti specializzati statunitensi ed israeliani riuscirono ad abbattere in volo un vettore balistico.

Tel Aviv è impegnata da diverso tempo nello sviluppo e nell’implementazione di un articolato “scudo” anti-missile e anti-aereo con il supporto USA. Elemento chiave dell’alleanza strategico-industriale è il sistema Arrow che dovrebbe intercettare e distruggere i missili balistici “nella stratosfera e lontano da Israele”, come spiegano i manager della holding industriale Boeing, prime contractor del programma. L’Arrow nasce a partire del 2002 dalla ricerca congiunta dell’agenzia missilistica militare USA e del ministero della difesa israeliano. Il sistema d’arma è composto da un centro di comando e di lancio, da un radar di controllo e dal missile-intercettore che distrugge i target con una testata a frammentazione. Assemblato in Israele dall’industria aerospaziale IAI (Israel Aerospace Industries), l’Arrow è stato sperimentato “con successo” la prima volta nel 2007 e successivamente nell’aprile 2009 e nel febbraio 2011. In quest’ultima occasione, il vettore avrebbe individuato, intercettato e distrutto un missile lanciato da una piattaforma off shore della US Navy, nella costa californiana. Attualmente, Boeing e IAI stanno sviluppando un intercettore tecnologicamente più sofisticato e di gittata maggiore, l’Arrow 3. Al programma partecipano pure altre aziende USA: General Dynamics, L3 Ordinance, GW Lisk e Honeywell.

A partire della primavera del 2011, le forze armate israeliane hanno pure dispiegato l’Iron Dome, un sistema d’arma mobile per la “difesa contro i razzi d’artiglieria a corto raggio” di infrastrutture militari e piccole città. L’Iron Dome sarebbe in grado di “rispondere a molteplici minacce simultaneamente e in tutte le condizioni meteo”, intercettando fino a 70 km di distanza vettori di media velocità e proiettili di artiglieria da 155 e 180 mm. Il sistema si basa su tre distinte componenti: un radar per il rilevamento e l’inseguimento del target; il centro di controllo e gestione del campo di battaglia; le unità di fuoco mobili dotate di missili intercettori “Tamir”, con sensori elettro-ottici e dal costo record di 50.000 dollari l’uno. “Si utilizza un unico intercettore con una speciale testata che distrugge in aria ogni obiettivo in pochi secondi, in aree neutrali, in modo da ridurre i danni collaterali in zone protette”, spiegano i militari israeliani.

Ad oggi, sarebbero già operative tre postazioni Iron Dome: due vicine alla Striscia di Gaza, nei pressi delle città di Ashkelon e Be’erSheva; la terza nella città meridionale di Ashdod. L’aeronautica militare israeliana ha però annunciato di voler installare una quarta batteria nei primi mesi del 2012, mentre entro la fine dell’anno potrebbero essere consegnati altri tre sistemi anti-missile. Crisi economica permettendo, si punterebbe ad installare non meno di una dozzina di postazioni ai confini settentrionali e meridionali del paese. L’Iron Dome è interamente prodotto da industrie nazionali: prime contractor la Rafael Advanced Defense Systems Ltd., mentre radar e componenti elettroniche sono appannaggio di Elta Systems, l’azienda che ha fornito alla Guardia di finanza i famigerati radar anti-migranti in via d’installazione nelle coste di Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna.

Altro segmento strategico per lo “scudo” israeliano è il radar di produzione statunitense “X-Band”, entrato in funzione recentemente nella base aerea di Nevatim, nel deserto del Negev. Il sistema, installato e gestito da un centinaio di militari USA, consente di “raddoppiare o anche triplicare il raggio di azione con cui Israele può individuare, inseguire e infine intercettare i missili iraniani, sino ad una distanza di 2.900 miglia”. Grazie al supporto operativo e finanziario del Genio dell’esercito USA, Nevatim si è trasformata nella più grande e moderna base militare israeliana: nel 2010 sono stati spesi più di 50 milioni di dollari per realizzare il quartier generale delle forze aeree più una serie di hangar protetti per i cacciabombardieri. Il Genio militare statunitense ha inoltre stanziato 40 milioni di dollari per contribuire ai lavori di ammodernamento e ampliamento del porto di Haifa e 20 milioni per installare impianti elettronici e di guida elicotteri nella base aerea di Ramon.

Washington sta infine contribuendo alla costruzione di diversi hangar nella base aerea di Palmachim (nei pressi di Rishon LeZion e Yavne), già utilizzata per i lanci dei missili Arrow e destinata ad ospitare alcuni dei più grandi velivoli senza pilota UAV esistenti al mondo, gli Eitan (14 metri di lunghezza, 26 di larghezza, 5,5 tonnellate di peso). Noti anche con il nome di Heron TP, i velivoli possono volare ininterrottamente per oltre 36 ore a medie altitudini, con un raggio operativo superiore ai 4.000 km. Prodotti dalle industrie aerospaziali IAI, gli Eitan sono in grado di trasportare apparecchiature elettroniche per un ampio spettro di missioni operative e d’intelligence (sensori elettro-ottici, antenne radar per la sorveglianza terrestre, visori laser, relè radio, ecc.). I primi UAV sono divenuti operativi ne dicembre 2010 nella base aerea di Tel Nof.

Antonio Mazzeo

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Appendice

Le rivolte arabe e la sinistra

Lettera inviata al manifesto in risposta a un articolo di Maurizio Matteuzzi.

 

Piero Maestri (da Il megafonoquotidiano)

Su “il manifesto” del 29 dicembre compare un articolo di Marizio Matteuzzi (“Venti di guerra per il 2012”) che segnala e mette in guardia sui preparativi di una possibile guerra statunitense (e alleata) contro l’Iran.
Indubbiamente nelle strategie degli Usa degli ultimi 25 anni, chiudere i conti con la rottura portata dalla rivoluzione iraniana del 1979 è uno degli obiettivi mai dimenticati. La vicenda del nucleare iraniano può rappresentare il pretesto per intensificare l’isolamento del regime degli ayatollah e per tentare qualche colpo di mano militare – per quanto estremamente pericoloso e tragico per le popolazioni coinvolte.
Essere attenti alle mosse degli alleati atlantici (più Israele e Lega araba a trazione saudita) è un compito che il movimento contro la guerra deve avere ben chiaro.
L’articolo di Matteuzzi contiene però alcune affermazioni che ci sembrano sconcertanti e contraddittorie riguardo le rivoluzioni arabe.

Cosa significa che “L’Iran è stato fin dall’inizio il vero obiettivo delle rivolte arabe”? Forse le/i giovani delle Casbah tunisine o di piazza Tahrir in Egitto avevano in mente di colpire l’Iran quando hanno sfidato la repressione delle forze dell’ordine per la loro rivoluzione? Oppure sono stati solamente “servi sciocchi” di un complotto nato altrove, alleati “oggettivi” della reazione statunitense e saudita?
Mi pare che questo modo di leggere le rivolte arabe sia profondamente sbagliato e non aiuti la sinistra a capire da che parte stare.
Contraddittoria con questo pensiero invece l’affermazione, che in sé invece condivido, secondo la quale “le petro-monarchie del golfo Persico sono riuscite nell’intento di smuovere le vecchie potenze occidentali per farle correre in soccorso prima che il vento della rivolta popolare, una volta travolto Gheddafi, arrivasse dritto fino a loro: in Qatar, Bahrain, Kuwait e, la madre di tutti gli obbrobri, l’Arabia saudita”.
Finalmente ora anche Matteuzzi – dopo 10 mesi – ammette che anche in Libia era in corso una rivolta popolare e che l’intervento armato non fosse diretto a far fuori Gheddafi, quanto a evitare che le rivolte potessero raggiungere l’obiettivo più radicale: una vera democrazia in nord Africa e medio oriente e quindi la progressiva caduta di tutti i regimi dittatoriali. È questo che sostenevamo già nel marzo scorso quando abbiamo organizzato insieme ad altre forze la manifestazione a Milano contro l’intervento militare in Libia e a sostegno delle rivoluzioni arabe: non mi pareva questa l’opinione della maggioranza dei commentatori de “il manifesto” – Matteuzzi tra loro.

Quello che però trovo più fastidioso – e sbagliato – è il continuo ripetere che la “primavera araba” (termine giornalistico alquanto discutibile) è morta con la caduta di Gheddafi. Le rivolte nei paesi arabi non sono nate un anno fa, sono il risultato di anni di accumulo di forze, di scioperi, di costruzione di una cultura e una conoscenza alternative – che hanno trovato una esplosione rivoluzionaria alla fine dello scorso anno e continuano oggi in forme diverse nei vari paesi (anche in Tunisia ed Egitto, perché le elezioni non hanno messo fine alle mobilitazioni sociali). Tra questi la Siria, dove una rivolta popolare contro il regime di Assad rischia di trasformarsi in un’altra guerra civile principalmente per le responsabilità del regime stesso.

È allora sufficiente denunciare le operazioni coperte e la volontà saudita e occidentale di approfittare della crisi del regime di Assad? O non è arrivato invece il momento per una sinistra internazionalista degna di questo nome di mobilitarsi contro qualsiasi intervento occidentale e per la fine dei regimi dittatoriali (da qualsiasi parte dello schema geopolitico vengano collocati) e la rottura dei sistemi corrotti dei paesi arabi e mediterranei (Siria e Iran compresi).
Senza tenere insieme questi due elementi, il movimento contro la guerra non sarà credibile e non riuscirà a sviluppare iniziativa e relazioni con le forze democratiche dei paesi arabi e mediorientali.