Sul “manifesto” di oggi è apparsa una intera pagina curata da Simone Pieranni sulla morte di Aleksey Mozgovoy, e sulle ipotesi che circolano sui possibili mandanti dell’omicidio. La ricostruzione è accurata e nel complesso convincente, a parte alcune concessioni ai luoghi comuni della propaganda russa, come la rituale definizione di “golpe di Kiev” riferito alle manifestazioni di piazza Maidan. È inquietante la ricostruzione delle grandi ambiguità di Mozgovoy, delle sue amicizie pericolose con noti fascisti, della sua confusione politica. Pieranni era stato per un certo tempo schieratissimo al lato delle milizie filorusse, e riprendeva acriticamente la loro propaganda confezionata nella “fabbrica della propaganda” di San Pietroburgo, come la definisce un interessante articolo di Shaun Walker pubblicato su “The Guardian e ripreso sul numero 1103 di “Internazionale” del 22 maggio.
Fa piacere dunque che oggi Pieranni concluda l’articolo domandandosi: “Quale idea di sinistra è sviluppata nel Donbass? Possiamo davvero farla tutta «nostra»? Forse, ammesse le ragioni di una denuncia e resistenza contro una Kiev filo occidentale e guidata dalla Nato, dovremmo cominciare anche a scandagliare pericolose vicinanze, evitando rischiosi abbagli”. Meno male, si è finalmente accorto che chi dubitava della fiducia riposta in Putin e nella sua propaganda faziosa, non era necessariamente un sostenitore dei fascisti di Kiev, e anzi combatteva i fascisti presenti dai due lati del fronte: meglio tardi che mai. (a.m. 30/5/15)
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Mozgovoy, il fantasma di Lugansk
Ucraina. Il comandante Mozgovoy, a capo di un battaglione che si definiva comunista è stato ucciso in un’imboscata. La sua storia e la sua morte segnano una svolta nelle regioni orientali dell’Ucraina, sempre più controllate politicamente da Mosca
da il manifesto 30.5.2015
Qualche giorno prima di essere assassinato, il comandante del battaglione separatista dell’Ucraina orientale «Prizrak» (Fantasma), Aleksey Borisovich Mozgovoy aveva raccontato all’Independent di non temere per la propria vita. Quelli a Kiev, i nemici, aveva raccontato, non vorranno mica trasformarmi in un eroe, in un martire.
Vero, tanto che oggi per i mandanti del suo omicidio, si guarda più agli uomini dei battaglioni e della malavita del Donbass che non dell’Ucraina filo occidentale. O quanto meno, si pensa che tutte le opzioni potrebbero essere valide.Perché il comandante Mozgovoy, classe 1975, era inviso tanto a ovest quanto a est. Si definiva antifascista, tanto da raccontare in parecchie interviste (alcune si trovano su youtube) di combattere per una repubblica del Donbass socialista e aveva più volte denunciato tanto gli oligarchi a Kiev, quanto quelli russi o filo russi che stavano compromettendo e non poco, dal suo punto di vista, la lotta popolare delle regioni orientali.
La conquista della Novorossya
Una sorta di apparente eccezione, all’interno di un conflitto in cui la complessità è tanta. Mozgovoy era considerato uno dei primi comandanti che ancora credevano alla possibilità di conquistare tutta la Novorossya. Ma i piani del Cremlino ad un certo punto non sono più stati in linea con i suoi e con quelli di altri comandanti. Altri prima di lui sono stati desautorati. Lui ha resistito qualche mese in più, finendo infine ammazzato. Il problema è che nel Donbass non tutto è chiaro, limpido, anzi: perfino tra chi ritiene di essere dalla stessa parte della barricata, gli spifferi e i pensieri di sospetti, sfiducia e distanze sono tanti. Sul Donbass non la pensiamo tutti allo stesso modo e probabilmente in molti si discostano anche dal comandante ucciso appena una settimana fa.
Di sicuro non sarà semplice per chi si è infatuato di un presunto antifascismo di Putin, catalogare un personaggio che si era espresso con toni poco concilianti contro la Russia (da cui richiedeva una sorta di indipendenza). Secondo altri, ancora, l’imboscata che l’ha fatto fuori, ha fatto suonare a morto le campane per quel movimento minoritario di resistenza, soffocato da una guerra troppo grande. Da una parte Usa, Nato ed Europa, dall’altra la Russia. Solo gli ingenui pensavano ci potesse essere, almeno da un lato del conflitto, sincerità e spirito socialista. Con in mezzo Putin, poi?
Muratori e saldatori
Nel battaglione di Mozgovoy, per sua stessa ammissione, c’era di tutto, compresa una milizia che si definiva «comunista». Il battaglione avevano deciso di chiamarlo «Fantasma» perché più volte Kiev ne aveva annunciato l’annichilimento, sostenendo di averne sterminato tutti i componenti. E invece: eccoli lì a crescere, aumentare di numero, determinare alcune battaglie, come ad esempio a Debaltsevo. Troppe forse, per questo Mozgovoy è stato ucciso, dicono i suoi ex commilitoni. Monarchici, comunisti, naz-bol dalla Russia e un vice comandante russo, che si dichiara comunista e che lancia strali contro Mosca e i suoi oligarchi.
Confusione, ma unico barlume di quel popolo, lavoratori e lavoratrici, in armi contro il golpe di Kiev. E seppure non convinto appieno da Mozgovoy e le sue amicizie «militari», non si può non sottolineare il suo spirito alla ricerca di un’unione perfino con gli ucraini.
Ma poi rimane quel: «Io sono slavo». Lo raccontava in un video realizzato da Maria Elena Scandaliato: «Sono più vicino alla Russia che all’Europa, sono più vicino a Mosca, che a Parigi, Londra o Roma», aveva specificato l’ex muratore. Mozgovoy si è sempre dichiarato antifascista, ma come specifica il sito internet dell’«unico quotidiano socialista britannico» Morning Star, «non era un comunista, anche se guidava un battaglione con alcuni comunisti». Vero e allora questa infatuazione tutta europea — tanto a destra quanto a sinistra — per questo conflitto e per certi personaggi come si spiega.
L’infatuazione militarista
Non basta la confusione che ha finito per avvicinare esponenti di parti politiche opposte, i rossobruni contemporanei, quelli euroasiatici; una vicinanza scandita dall’anti-atlantismo e dalla passione che piace al testosterone: tutto quanto ha a che vedere con armi, milizie, battaglioni, ak47, pallottole e tutta la retorica militarista. Possiamo pure continuare a fare finta di niente, ma i novelli estimatori di Putin, dovrebbero allora ricordare che Mozgovoy era inviso anche a Lugansk e agli alti comandi delle milizie.
Era lui che ha raccolto quel centinaio di attivisti internazionalisti giunti a supportare il Donbass. Gli altri se ne sono fregati. Mozgovoy è intervenuto anche al forum antifascista. E poi è finito ucciso in un’imboscata; annientati i suoi collaboratori, civili. Era già scampato a un tentato omicidio, si era salvato, era stato anche criticato, da Mosca.
L’omicidio
Aveva detto, pur senza rivelarlo, di sapere chi era stato. Ora la versione ufficiale del suo omicidio accusa un gruppo banditesco ucraino (chiamato, che ironia, «Shadow»), ma non sono pochi che off the record a giornalisti e conoscenti ripetono: è un omicidio interno.
C’è da capire cosa succederà al suo battaglione. É che tra i comandanti del Donbass la resa dei conti è arrivata da tempo. Ne sono morti non pochi. Si dice che tutto sia accaduto dopo la svolta voluta dalla Russia: via i duri e puri, dentro quelli più morbidi che Mosca mica vuole conquistare Kiev. O mica vuole il socialismo (ci sarebbe da capire poi se la nostra idea di socialismo coincide con quella di Mozgovoy o dei comunisti ucraini).
A Mosca va bene così come è adesso la situazione in Ucraina. Da un lato Kiev in bancarotta e dall’altro il Donbass neutrale, cuscinetto tra Mosca e il pericolo atlantico (paura comprensibile, ma che non può giustificare tutto) .Mozgovoy invece voleva arrivare in fondo e imperterrito aveva criticato gli accordi di Minsk. Da tempo la sua era una presenza considerata scomoda da chi dietro le quinte ha provato a muovere i propri fili politici, come ad esempio i capi attuali della regione separatista.
L’amico Strelkov
Ma Mozgovoy, per quanto piacesse a qualcuno a sinistra in Occidente, non ha mancato di avere posizioni peculiari. A partire dall’alleanza di ferro con il russo Igor Strelkov, pluricitato e decantato dal noto teorico fascista Dugin.
Quest’ultimo, invasato ormai dal conflitto nel Donbass, di Strelkov ha scritto che «è necessario difendere i Miti, il modo in cui Strelkov ha combattuto e ancora combatte per la Novorossya, per la Grande Russia, e per ognuno di noi», chiudendo con un laconico, ridicolo e paradossale (per chi anche in Strelkov ha visto chissà chi) «Che Cristo sia con te, Igor…»
Si dirà che in guerra, può capitare avere amicizie un po’ così. Poi Mozgovoy ha messo in piedi una sorta di tribunale popolare grezzo e un po’ pericoloso. Ma si dirà che anche in questo caso, può capitare, compresi alcuni giudizi poco lusinghieri sulle donne. Ed ecco tornarci al punto di partenza. Quale idea di sinistra è sviluppata nel Donbass? Possiamo davvero farla tutta «nostra»? Forse, ammesse le ragioni di una denuncia e resistenza contro una Kiev filo occidentale e guidata dalla Nato, dovremmo cominciare anche a scandagliare pericolose vicinanze, evitando rischiosi abbagli.