Sulla guerra non si taglia

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Sulla guerra non si taglia

Giulio Marcon ha segnalato sul Manifesto del 7 aprile (ripreso poi da www.dirittiglobali.it) la Legge delega che vara la nuova distribuzione delle enormi spese per la difesa, concentrandole sull’acquisto di armi. I media di regime hanno parlato di sacrifici, ma è falso: la riduzione di 33.000 tra militari e civili (e sono ancora pochi, rispetto all’enorme e inutile apparato) significa semplicemente spostare il loro mantenimento dal bilancio della difesa ad altri settori dell’amministrazione statale. Un misura quindi di razionalizzazione analoga a quelle prese già da molti paesi, a partire da Stati Uniti e Russia, e punta solo a una maggiore efficienza nel portare la morte in giro per il mondo.

Lo aveva preannunciato più volte l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, e lo ha ribadito lo stesso Mario Monti, davanti a una rappresentanza dei militari italiani presenti nel Libano: nessuna riduzione della nostra presenza nel mondo. Anzi, come abbiamo già segnalato recentemente sul sito (Nuova impresa umanitaria: la Somalia* e L’Italia e la ricolonizzazione dell’Africa), si stanno preparando altri fronti, oltre a quelli che si possono rischiare per le intemperanze dei nostri “marines” imbottiti di ideologie fasciste spediti a sparare contro presunti pirati in mari lontani…

Vorrei aggiungere all’ottimo articolo di Giulio Marcon una mia considerazione sulla presunta “riduzione” dei cacciabombardieri F-35 da 131 a 90. Già alcuni mesi fa in F35 e bugie avevo parlato di una “rateizzazione” dell’acquisto degli F35. Non nel senso di pagarli a rate, ma nel senso di annunciare solo il primo scaglione di novanta aerei. Tanto le consegne devono essere in ogni caso scaglionate in molti anni anche per esigenze della produzione, e si farà sempre in tempo, una volta finita l’ondata di proteste, o trovato qualche altro pretesto per acquistarli (magari una nuova guerra “umanitaria” contro un paese meno indifeso dell’Iraq, dell’Afghanistan, della Libia, che provochi qualche perdita agli invasori) per ordinare anche gli altri 40. Qualcuno può pensare che la Lockeed (che sta combattendo a suon di tangenti le perplessità degli stessi Stati Uniti) ce li rifiuterebbe?

Vedremo, se non riusciremo a cacciare questo governo, di gran lunga il peggiore di quelli dell’ultimo mezzo secolo.

PS Un’ultima considerazione: descrivendo lo scandalo della Lega la grande stampa ha insistito sul gossip delle lauree comprate e della assunzione di un gigolò nell’ufficio di presidenza del Senato, ma hanno accennato solo di sfuggita che Francesco Belsito, il cassiere della Lega, era stato nominato vicepresidente della Fincantieri. Possibile che non ci si indigni? Belsito non aveva nessuna particolare qualificazione (era un arrampicatore sociale che aveva cominciato la sua ascesa come autista di un ministro) per dirigere questa azienda pubblica. La Fincantieri è stata deliberatamente mal gestita e lasciata agonizzare, a scapito di una manodopera di alta qualificazione, e a beneficio di cantieri privati a cui sono state passate le commesse, e di imprese Finmeccanica a prevalente destinazione militare. Ecco da dove comincia lo sfacelo della nostra economia, e il debito che vogliono far pagare a noi…

(a.m. 8/4/12)

Una delega di guerra

di Giulio Marcon

La legge delega varata ieri dal Consiglio dei ministri per la riforma delle forze armate conferma le anticipazioni delle scorse settimane fatte dal ministro-ammiraglio Di Paola alle Commissioni Difesa di Camera e Senato e dal Consiglio Supremo della Difesa: tagli in 10 anni al personale militare e civile della difesa (33mila addetti in meno) per avere più risorse da destinare alle armi e alle operazioni militari all’estero.

Infatti non si parla complessivamente di tagli alla spesa ma – dice Di Paola – di «bilanciare la spesa militare in senso virtuoso» (cioè meno soldi per gli stipendi e più risorse per le armi) per una riforma da fare, bontà sua, «senza richiedere risorse aggiuntive». E Di Paola ha aggiunto che non si tratta di un intervento «lacrime e sangue»: quelle infatti le versano già operai e pensionati, mentre i generali possono sorridere ancora una volta. I tagli al personale delle Forze Armate sono buona cosa, ma se ne possono fare tranquillamente il doppio e non è necessario aspettare 10 anni per farlo, mentre un operaio a Pomigliano o a Termini Imerese il posto di lavoro lo perde in un giorno.

Mentre si tagliano, massacrandole, le spese agli enti locali, al welfare, al lavoro, alle pensioni dovremmo pure ringraziare il ministro della difesa perché propugna una riforma «senza chiedere risorse aggiuntive». Ci mancherebbe pure che ne volesse altre di risorse oltre ai 25 miliardi che la Difesa spende ogni anno per le forze armate e ai 10miliardi che si sperpereranno nei prossimi anni per i 90 cacciabombardieri F-35. E mentre su un altro tavolo, quello della Fornero, è l’articolo 18 (quello dello Statuto dei lavoratori) ad essere sotto attacco, sul tavolo del ministro Di Paola è l’articolo 11 della Costituzione che va a farsi benedire. Cosa hanno a che fare con quegli articoli della Costituzione che dicono che «l’Italia ripudia la guerra come mezzo per dirimere le controversie internazionali» (art. 11) e che compito delle forze armate è la «difesa della patria» (art. 52), i 90 cacciabombardieri d’attacco F35 (arma del primo colpo, il famigerato first strike, capaci inoltre di trasportare ordigni nucleari), fiore all’occhiello del nuovo modello di difesa proposto dal ministro della difesa?

Il bilanciamento della «spesa militare in senso virtuoso» significherà sostanzialmente un aumento della spesa per i sistemi d’arma (come appunto i cacciabombardieri F35, ma anche le fregate Fremm e Orizzonte, i sommergibili U-212) e per le missioni militari all’estero dentro un modello interventista delle forze armate italiane che segue fedelmente la logica e la strategia della Nato. Queste altro non sono che una sorta di «mobilitazione permanente» contro i «nuovi nemici»: Islam, nuove potenze globali (Cina, Russia, India, ecc.), terrorismo internazionale, detentori (da cui dipendiamo) delle materie prime, come il petrolio e il gas. Invece di investire nella prevenzione dei conflitti, nella cooperazione internazionale e nella sicurezza comune, continuiamo ad armarci fino ai denti, per la felicità di Finmeccanica e di tutta l’industria militare italiana.

Più che una riforma, questa è una controriforma. Altro che «grossa innovazione» come l’ha definita il Ministro-Ammiraglio, che più tecnico non si può. È una controriforma perché spenderemo tanti soldi in più per le armi, perché le nostre forze armate avranno sempre di più un ruolo interventista, perché saremo a ricasco della Nato e perché in questo modo l’articolo 11 della Costituzione sarà svuotato di senso, nella forma e nella sostanza. Di Paola e i generali saranno soddisfatti, ma c’è poco da cantar vittoria. Sicuramente non lo fa il paese e non lo fanno le tante persone (operai, pensionati, giovani) che non sanno come far fronte a questa crisi così drammatica. L’unico modo per affrontare «la spesa militare in senso virtuoso» è ridurla, destinando i risparmi al lavoro, al welfare e ai giovani. Il premier Monti, così attento al rigore e alla lotta alle corporazioni, di fronte agli interessi della «casta delle stellette» ha alzato arrendevolmente bandiera bianca. E questo non è un bene per il paese.

Giulio Marcon

 

 

Sullo stesso numero del Manifesto, altri utili articoli sullo stesso argomento: Manlio Dinucci e Tommaso di Francesco sui costi degli F-35, e Matteo Bartocci sui molti ammortizzatori sociali che proteggeranno i militari “in esubero”, dalle assunzioni in altre amministrazioni statali o locali, agli incentivi per le imprese private che li assumeranno, a una super cassa integrazione al 95% dello stipendio…