Una precisazione necessaria

È abbastanza normale che nella fretta di far entrare in una mezza pagina un pezzo troppo lungo, una redazione faccia qualche taglio, sacrificando la dialettica. Se poi ci mette di suo un titolo ad effetto, lo snaturamento di un’intervista è garantito. È quel che è capitato a una intervista rilasciata da me al giornale “il Fatto Quotidiano”, che è apparsa oggi. Nel titolo c’era l’affermazione secca “Maduro come Renzi”, mentre un occhiello assicurava che “Solo la Chiesa può salvare il paese”; un’espressione che mi ha fatto letteralmente sobbalzare sulla sedia, dal momento che anche nella fase attuale caratterizzata da un papa argentino ottimo comunicatore, ho sempre diffidato del ruolo che la Chiesa cattolica tende ad assumere nelle cosiddette “transizioni” latinoamericane, e l’ho detto a chiare lettere polemizzando soprattutto con certa sinistra che scopre ora la dottrina sociale della Chiesa e se ne innamora. In realtà avevo detto solo che per evitare una guerra civile era necessaria una mediazione, e che l’unica che poteva proporla era la Chiesa, non certo la Colombia, il Messico o gli USA (o anche l’Europa). Indubbiamente è meglio fermarsi un passo prima della guerra civile, soprattutto se la minaccia del ricorso alle armi viene non da un oscuro militante disposto a combattere con ogni mezzo quelli che gli vengono indicati come “fascisti”, ma dal potente Ministro della Difesa, Vladimir López Padrino, capo di stato maggiore dell’esercito, e con importanti incarichi operativi nell’esercito. “Se ci attaccano risponderemo con le armi”, ha detto. Quali armi?

In ogni caso la “salvezza del paese” non può dipendere certo da un accordo tra due schieramenti che si contendono il potere. La maggior parte dei chavisti critici, e anche Marea socialista (uscita dal PSUV burocratizzato poco prima della morte di Chávez) temono proprio che si arrivi a un compromesso basato su una nuova spartizione della rendita petroliera e mineraria. Si eviterebbe la guerra civile, ma non si uscirebbe certo dalla crisi.

Lasciamo perdere altre inesattezze, che si rivelano da sole come sviste redazionali, come la collocazione di Diosdado Cabello (capo degli oltranzisti della “boliborgesia” chavista) come presidente dell’Assemblea Nazionale dominata dalla MUD dal dicembre 2015; segnalo invece quel che mi pare grave che si sia perso del mio discorso: la polemica con una ricostruzione della crisi attuale basata in gran parte dei media sulle dichiarazioni ugualmente mistificanti e menzognere della MUD da una parte, del governo dall’altra, escludendo tutte le voci che criticano da sinistra Maduro.

Va detto che oggi “il manifesto”, che dopo il distacco della Colotti ha nettamente migliorato l’informazione, ha dato finalmente notizia dell’esistenza di uno – non il più consistente, né il più radicale – dei raggruppamenti che criticano da sinistra i due maggiori schieramenti: la “Piattaforma cittadina in difesa della Costituzione” animata da Edgardo Lander e quattro ex ministri di Chavez.

Ma oltre a una conoscenza a tutto tondo del dibattito venezuelano, quel che manca in Italia è una valutazione realistica della politica degli Stati Uniti, che nell’immaginario della sinistra appaiono spesso pressoché onnipotenti. “Gli Stati Uniti minacciano severe sanzioni al Venezuela”, ripetono in molti ricavandone le conclusioni che bisogna difendere incondizionatamente chi viene additato come bersaglio da Washington; dimenticano però che queste minacce gli Stati Uniti le hanno fatte per anni, fin dall’inizio del “processo bolivariano”, ma dopo il fallimento del golpe dell’aprile del 2002 le hanno fatte solo verbalmente senza impegnarsi troppo.

D’altra parte anche verso Cuba tutti i presidenti, da Eisenhower a Trump, hanno continuato a proclamare la loro ostilità e l’impegno a porre termine alla “dittatura castrista”, senza riuscire a farlo e senza tentare una nuova aggressione diretta dopo il clamoroso fallimento dello sbarco a Playa Girón. Ricordarlo non attenua le colpe degli USA, ma serve a distinguere tra le sparate propagandistiche per uso elettorale interno e le reali minacce.

Le dichiarazioni di guerra a Chávez sono state ribadite ogni anno ad uso interno, ma gli Stati Uniti sono rimasti costantemente al primo posto sia nelle esportazioni verso il Venezuela, sia nelle importazioni, e soprattutto hanno continuato a rifornirsi di petrolio venezuelano, consentendo alla PDVSA di acquistare in tutto o in parte le nove grandi raffinerie specializzate nel trattamento del crudo ultrapesante del Venezuela che servono il mercato nordamericano. Ha pesato l’esperienza del fallimento del golpe del 2002 per l’intervento delle masse, che liberò Chávez e ne provocò la radicalizzazione, ma anche il fatto che nonostante tutto il Venezuela non rappresentava un vero pericolo per gli Stati Uniti, nonostante il coraggioso impegno “bolivariano” per ricostruire l’unità del continente.

I compagni ossessionati dalle minacce statunitensi, che dimenticano quante volte sono state fatte ma sono state rese vane dal timore dell’entrata in scena di settori di massa, dovrebbero preoccuparsi piuttosto di un’altra cosa: gli Stati Uniti fin dai loro primi anni hanno avuto velleità imperialiste, ma sono intervenuti solo quando potevano approfittare di una crisi evidente del potere locale, o almeno della perdita dei contatti con le masse che l’avevano sostenuto in passato. E proprio le forzature di Maduro, e la sua ricerca dello scontro, potrebbero oggi tentarli. Già una decina d’anni fa Dan Restrepo, direttore dell’American Project presso il Center for american Progress a Washington, ammoniva il suo paese, a cui consigliava di “ignorare Chávez” in nome del reciproco interesse: un brusco taglio delle forniture venezuelane di crudo agli Stati Uniti sarebbe costato 3 o 4 miliardi di dollari a Caracas, ma non meno di 23 miliardi agli Stati Uniti. [i] Per il diverso peso delle due economie, certo, ma anche perché dal permanere di un rapporto consolidato da decenni è sempre il paese più forte a trarre il massimo vantaggio. Come dalle commesse per imponenti lavori pubblici hanno ottenuto lauti profitti una serie di aziende italiane, dall’Inpregilo alla Trevi, dalla Snam progetti all’Alenia all’Oto Melara e alla Telecom, fino a molti capitalisti di dimensioni più ridotte, ma non meno disposti a lamentarsi per strappare contratti ancora più favorevoli: ho avuto modo di visitare perché invitato da un socio l’imponente circolo italiano di Caracas (con diversi ristoranti di lusso ma anche piscine olimpioniche e campi di calcio). Nonostante l’ostentazione del lusso e della ricchezza non c’era uno dei frequentatori che non si lamentasse del chavismo. Ma non uno di quei signori vuole davvero tornare in patria, come invece sono costretti a fare molti venezuelani poveri con un’ascendente italiano o spagnolo, che non riescono a reggere al ritmo stressante dell’inflazione a tre cifre, alla penuria, alla generalizzazione del bachaqueo, cioè la speculazione sulla rivendita sul mercato nero di prodotti calmierati altrimenti introvabili.

Sono questi i veri problemi del Venezuela, che generano una crisi sociale e politica senza precedenti, e su questi si deve discutere, non sul numero di morti subito da una parte o dall’altra. E di questo discute la sinistra, indignata anche perché Maduro aveva tenuto nascosta la vendita di quasi tre miliardi di dollari di bond della PDVSA, ceduti alla Goldman Sachs con lo sconto del 69% sul valore nominale, mentre i venezuelani fanno la fame…

A chi crede fermamente alla propaganda di Maduro, ed è convinto quindi che l’opposizione sia tutta fascista e manovrata dagli Stati Uniti, consiglio di leggere cosa pensa il giornale della Confindustria di questo “brutto affare” della Goldman Sachs, che dovrebbe aprire un po’ gli occhi su un gruppo dirigente cinico che usa l’antimperialismo come strumento propagandistico, ma si preoccupa contemporaneamente di conquistare la fiducia dei vertici della finanza mondiale dimostrandosi un puntuale pagatore e un abile piazzista dei beni sottratti al popolo venezuelano: http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2017-05-31/venezuela-usa-pasticcio-goldman-sachs-che-compra-bond-maduro-120255.shtml?uuid=AEoQRwVB

(a.m.)

PS. Segnalo che tempestivamente i compagni di rproject hanno tradotto l’appello di Marea socialista:

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http://rproject.it/2017/08/venezuela-lettera-aperta-di-marea-socialista/


[i][i] Il saggio di Dan Restrepo, Agli Usa conviene ignorare Chávez, era stato tradotto e pubblicato da Limes nel numero 2 del 2007, dedicato a Chávez-Castro, l’Antiamerica.