Un’ondata di scioperi ferma l’industria dell’auto in Turchia

 

di Gippò Mukendi Ngandu

su Sinistra Anticapitalista

In questi giorni si sta sviluppando in Turchia un’ondata di proteste e scioperi che sta coinvolgendo Bursa, la capitale dell’automobile turca, città che si trova a 150 km da Istanbul. La notizia sembra disinteressare i mass-media italiani, eppure le mobilitazioni e gli scioperi coinvolgono anche la Fiat Tofaş di Bursa. Evidentemente c’è il timore che trapeli la notizia che vi sono lavoratori nelle tanto decantate economie in crescita che lottano per ottenere salari più alti, migliori condizioni di lavoro e libertà sindacale, l’esatto contrario di quello che vogliono Marchionne, la Confindustria e Renzi.

Gli scioperi “non autorizzati”nei fatti è impossibile proclamare scioperi “legali” rispettando le attuali leggisi sta sviluppando in un settore che è una delle locomotive dell’industria turca e delle sue esportazioni.

Gli scioperi, iniziati il 15 maggio, stanno coinvolgendo due delle principali industrie automobilistiche che producono sul suolo turco, la Renault e la Fiat. Le mobilitazioni si sono accese dopo il successo ottenuto dagli operai dell’industria Bosch, grande multinazionale tedesca della componentistica che si trova nello stesso bacino industriale, che hanno ottenuto una aumento del 60% dei salari.

Si è trattato di un vero e proprio contagio. Prima hanno scioperato gli operai della Renault che hanno richiesto anche loro aumenti salariali, denunciando il contratto collettivo che congela i salari siglato dal sindacato “rappresentativo” Turk Metal, un vero e proprio sindacato giallo: i suoi rappresentati sono direttamente legati ai padroni e reprimono anche fisicamente gli operai che cercano di organizzarsi autonomamente. Tra l’altro, gli operai che cercano di aderire al sindacato concorrente Birlesik Metal – Is, considerato più a sinistra e che ha chiamato alla lotta contro il nuovo contratto) subiscono intimidazioni e di violenze. Quando il sindacato “ufficiale” ha, tra l’altro, dichiarato che di fronte agli scioperi i padroni avevano il diritto di licenziare i lavoratori, 10,000 operai hanno scelto di abbandonarlo.

Nel giro di poco tempo la protesta ha investito anche la Fiat che hanno scioperato il giorno dopo. Le manifestazioni sono poi proseguite per tutto il fine settimana, tanto che la mattina di lunedì 18 maggio la Fiat ha fatto sapere attraverso un comunicato stampa di aver dovuto interrompere la produzione.

Queste le rivendicazioni: la fine della rappresentatività Turk Metal; nessun licenziamento; applicazione del contratto siglato alla Bosch.

Altre imprese hanno poi scioperato il 18 maggio: le imprese turche di Mako e Otortim, l’americana Delphi e la francese Valeo. Martedì 19 maggio il numero degli scioperanti è stato superiore ai 15,000 operai.

Questo movimento coinvolge un settore chiave dell’industria turca, il fiore all’occhiello.

Secondo i dati dell’associazione dei costruttori automobilistici turchi(OSD), le fabbriche Oyak-Renault e Fiat Tofaş insieme realizzano il 40 per cento della produzione automobilistica turca, che rappresenta il 10 per cento delle esportazioni totali del paese e nel 2014 è stata di 1,22 milioni di unità: quasi il doppio delle 698mila dell’Italia.

La Oyak-Renault di Bursa è la più grande fabbrica Renault fuori dall’Europa occidentale ed è gestita da una joint venture – una società che nasce dall’accordo di collaborazione tra due o più impresecontrollata al 51 per cento dalla casa automobilistica francese Renault e al restante 49 per cento dall’Oyak, il fondo pensioni delle forze armate turche. A Bursa, Renault costruisce i suoi modelli Clio, i più venduti in Francia. (nelle carrozzerie berlina, station wagon e van), Fluence (a benzina ed elettrica), Megane e Symbol lo stabilimento costruisce anche circa 450.000 cambi e motori l’anno. La Oyak-Renaultfondata nel 1969 – impiega circa 5.700 persone, di cui 4.400 operai che lavorano su 3 turni di 8 ore ciascuno, ha una capacità produttiva di circa 360.000 unità l’anno e nel 2014 ha prodotto 318.246 automobili (dati OSD).

La Fiat Tofaş, invece, costruisce auto su licenza Fiat dal 1971 ed è per il 37,86 per cento di proprietà del costruttore italiano Fiat (oggi FCA Italy) e per il 37,59 per cento del gruppo industriale turco Koç Holding, mentre il restante 24,28 per cento delle azioni è quotato sul mercato della Borsa di Istanbul. Il suo stabilimento di Bursa impiega circa 6.500 persone, di cui 5.000 operai, e realizza la berlina Fiat Linea (una “tre volumi” derivata dalla Fiat Grande Punto), gli MPV medi Fiat Doblò e Opel Combo, che condividono la base meccanica, e gli MPV piccoli Fiat Fiorino, Citroën Nemo e Peugeot Bipper, anche questi basati su una meccanica comune. Secondo i dati della OSD, la fabbrica Tofaş ha una capacità produttiva di 400.000 unità l’anno e nel 2014 ha prodotto in totale 222.807 auto, di cui due terzi per l’esportazione. Oltre a Renault e Fiat, le principali case automobilistiche ad avere stabilimenti in Turchia sono l’americana Ford, le giapponesi Toyota e Honda e la coreana Hyundai-Kia.

A seguito delle manifestazioni, in questi giorni il ministro dell’industria turco Fikri Isik ha chiesto provocatoriamente che la produzione riprendesse immediatamente, sostenendo che le richieste degli operai possono essere discusse anche mentre si lavora. Questi ultimi non hanno per nulla desistito. La lotta continua. Lunedì 25 maggio Ford Otosan di İnönüuna cittadina a sudest di Bursa dove la casa americana produce il Ford Cargo, un modello di camion – ha sospeso la produzione, mentre gli operai hanno occupato lo stabilimento.

Le proteste, con una dimensione di classe molto forte, mostrano tutte le contraddizioni del capitalismo turco. Circa il 40 per cento dei lavoratori turchi, infatti, lavora 50 o più ore a settimana, il dato più alto tra le oltre trenta nazioni che fanno parte dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico); la Turchia, inoltre, è seconda solo alla Cina per quanto riguarda gli incidenti sul lavoro; il salario minimo è del resto di 350€ e spesso tocca anche i lavoratori specializzati.

Al grande capitale, assettato di profitti, tutto ciò però non basta. Il governo ha pubblicato un documento intitolato “Strategia nazionale per l’impiego” in cui enuncia che i costi della manodopera così come i salari sono troppo elevati in Turchia. E’ così che il governo, alla vigilia delle elezioni, propone un salario minimo regionale ( ossia un salario che sarà più basso in alcune regioni del paese), nuove regole in merito alle indennità in caso di licenziamento e misure che rendano ancora più flessibile il lavoro.

Come osserva un Metin Fayazz, militante turco, sul sito del Npa , “senz’altro le imprese cercheranno in qualche modo di far ripartire la produzione e di contenere la situazione per ristabilire l’ordine in tutto il settore metallurgico. Sanno che devono trovare un compromesso con i lavoratori, ma a breve, cercheranno egualmente di reprimere nuovamente attraverso licenziamenti i dirigenti di questo movimento, cercando di reinserire Turk Metal o di costruire un altro sindacato giallo. Ma è chiara un’altra cosa: qualsiasi sia il risultato delle manifestazioni e degli scioperi attuali, una nuova generazione di giovani lavoratori metalmeccanici senza prospettive per il futuro occupa la scena. La loro esperienza ci assicura che niente sarà più come prima”.

A questa lotta va tutto il nostro sostegno, perché il suo risultato riguarda tutti noi!