Venezuela | Una vittoria di Pirro

 


Il successo del PSUV e del presidente Maduro nelle elezioni del 6 dicembre è formalmente incontestabile: hanno avuto il 68% dei pochi votanti. Hanno contribuito al risultato i non pochi errori di diversi settori delle opposizioni, sia di quella barricadiera di Guaidó, sia di chi ha accettato le lusinghe del governo prestandosi ad assumere un ruolo fittizio di dirigenti di organizzazioni decapitate preventivamente dalla Commissione elettorale asservita a Maduro. E questo vale anche per i nostalgici del chavismo della prima fase, screditati a livello di massa dal loro passato chavista e dalla accettazione delle regole del gioco fissate da CNE e Tribunale supremo.

In realtà si tratta di una vittoria di Pirro: il PSUV ha vinto con carte truccate, ma ha avuto ugualmente un milione e mezzo di voti in meno rispetto al risultato catastrofico delle elezioni parlamentari del 2015, che avevano dato la maggioranza di due terzi all’opposizione (ma allora aveva votato il 75%, ora il 31%). In questi ultimi cinque anni gli elettori del PSUV si sono ridotti di circa un terzo (quasi la metà rispetto alle ultime elezioni presidenziali con Chávez nel 2012).

Il fallimento di Maduro nella gestione dell’economia ha pesato meno delle efficacissime manovre per utilizzare tutte le contraddizioni delle opposizioni, ma continuerà a pesare nella gestione di un paese che avrà un parlamento allineato e una popolazione prostrata. Se gli Stati Uniti tenteranno di approfittarne come è probabile, data la sostanziale convergenza di Biden con i repubblicani in politica estera, lo faranno rafforzati dalla certezza di poter sfruttare il disorientamento della parte più generosa e combattiva del chavismo, che si è astenuta ma non ha saputo riorganizzarsi in modo credibile.

L’unico dato positivo di questa elezione è la crisi accentuata della componente di destra dell’opposizione, incapace di darsi dirigenti meno inconsistenti di Guaidó. Le mobilitazioni che avevano spaccato in due il paese hanno lasciato il posto a una passività rassegnata della base degli opposti schieramenti, che ha fatto aumentare le astensioni e permesso il successo di manovre di corridoio affidate ad attori non al di sopra delle parti come il Consejo Nacional Electoral, il Fiscal general, i membri del Tribunal Supremo de Justicia, ecc. che ricalcando la parte peggiore del modello statunitense non solo trumpiano rispondono a una parte sola e durano in carica fino a 12 anni.

Torneremo sul contesto latinoamericano e sull’atteggiamento di Cuba. Ma intanto va detto chiaramente che le minacce USA al Venezuela, che non hanno impedito a tante multinazionali di fare ottimi affari con il petrolio e altre risorse di quel paese, esistono realmente, ma per contrastarle non è possibile appoggiare incondizionatamente il gruppo postchavista fingendo di non vedere come punta esclusivamente a consolidare il proprio potere, offrendo non pochi argomenti alla propaganda imperialista in tutto il continente. (a.m.)

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