Chi salverà Haiti?

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Pochi aiuti, molti militari

Ma la speranza viene dalle donne…

 

I commenti che avevamo fatto nei tre testi inseriti nel sito fin dai primi giorni, e che partivano da una lettura di dati disponibili sulla situazione haitiana, sono stati confermati: a mano a mano molte verità scomode sono filtrate in parte perfino sui grandi giornali di informazione. Anche sugli schermi televisivi è stato possibile vedere arrivare di corsa in Italia col primo aereo parecchi funzionari dell’ONU (incolumi e perfino con un gatto al seguito…), mentre i marines sbarcavano con i mitra puntati. Bel soccorso!

Dal Brasile arrivano sempre più allarmi sul tipo di equipaggiamento fornito ai rinforzi inviati al corpo già presente come MINUSTAH: proiettili di gomma antisommossa, bombe lacrimogene, machetes…

Il generale brasiliano Jorge Armando Félix, ministro della Sicurezza istituzionale della Presidenza della Repubblica, ha detto chiaramente che le forze dell’ONU ad Haiti “non hanno carattere umanitario, ma di sicurezza, e non possono deviare da questa missione”. Casomai devono essere aumentate ulteriormente.

Il ministro della Difesa Celso Jobim, ha ammesso che “per la mancanza di acqua, di alimenti e di combustibile la gente comincerà a essere più indignata”. E ha aggiunto che l’occupazione militare dovrà essere protratta per “almeno altri cinque anni”.

E in effetti un progetto per intervenire più massicciamente è allo studio, ma non dell’ONU: è stato concordato con l’Italia; è stato annunciato al momento della partenza della portaerei Cavour e dell’investitura di Bertolaso come coordinatore di tutti gli aiuti da parte di Berlusconi, durante la parata propagandistica con i bambini delle scuole elementari dell’Aquila… La vanità di Berlusconi, che pretende di avere un ruolo mondiale, si salda con la più fondata aspirazione del subimperialismo brasiliano a contare di più nel suo continente.

Negli Stati Uniti, prima di partire per Haiti con il marito (che si è fatto riprendere per dieci minuti mentre spostava con garbo delle bottiglie d’acqua), Hillary Clinton ha “suggerito” al parlamento haitiano di affidare maggiore autorità al presidente Preval (di cui molti hanno osservato che è stato ripreso in questi giorni sempre comodamente istallato all’aeroporto, anziché in giro nelle strade e negli accampamenti). In un’intervista al New York Times la Clinton ha parlato esplicitamente della necessità di proclamare lo stato d’assedio. Ma il potere intanto è già stato preso direttamente dal comando USA.

 

Ieri Michel Chossudovsky, uno dei più attenti studiosi della politica dei paesi imperialisti, USA in testa, ma senza trascurare il Canada in cui vive, ha fornito nuovi dati sul carattere militare dell’impegno degli Stati Uniti, confermati dal fatto che a dirigere l’invio di uomini e materiali non sono le agenzie governative civili, ma il Pentagono, e in particolare il comando sud, USSOUTHCOM, la cui “missione” è quella di “dirigere operazioni militari e promuovere la cooperazione mel campo della sicurezza, per conseguire gli obiettivi strategici degli Stati Uniti”.

(si veda http://www.globalresearch.ca/).

La USSOUTHCOM è responsabile di tutte le operazioni di “controinsurrezione” nell’America Latina e nei Caraibi, compresa l’istallazione di nuove basi in Colombia, al confine con il Venezuela.

Chossudovsky sottolinea anche che in tutti i comunicati sui contatti telefonici tra Obama e il presidente Preval, non si è accennato minimamente a discussioni sull’entrata e il dispiegamento delle truppe statunitensi: l’assenza di un apparenza di governo in funzione ad Haiti è stata utilizzata per legittimare, con il pretesto umanitario, l’arrivo di una poderosa forza militare, che ha assunto de facto diverse funzioni di governo del paese.

Il generale Douglas Fraser, comandante dell’USSOUTHCOM, ha definito l’intervento ad Haiti come un’operazione di Comando, Controllo e Comunicazioni (C3). Infatti, ha spiegato che “le caserme della MINUSTAH sono parzialmente distrutte e dobbiamo quindi occuparci noi di ristabilire comunicazioni e comando centrale”.Il comandante della MINUSTAH d’altra parte “al momento del terremoto si trovava a Miami, e quando tornerà potrà coordinarsi con noi, anche se la capacità operativa del contingente dell’ONU è ridimensionata”. In ogni caso l’ONU ha promesso di aumentare il suo contingente. Ma la direzione è stata assunta ormai apertamente dagli Stati Uniti. Obama geme oggi per aver perso il collegio che fu dei Kennedy, ma dovrebbe preoccuparsi anche di più per la fine rapidissima delle speranze che aveva suscitato la sua elezione.

 

Comunque già ora gli effettivi della MINUSTAH (7.031 militari, 2.034 poliziotti, 488 membri del personale civile internazionale, 1.212 del personale civile locale, 212 volontari delle Nazioni Unite), sommati a quelli inviati dagli Stati Uniti unilateralmente, ed esclusi quelli promessi dalla Francia, gli altri brasiliani in arrivo, i carabinieri, alpini e marinai italiani, ecc., sfiorano i 20.000 uomini. Chossudovsky ricorda che in Afghanistan, prima dei rinforzi promessi da Obama, c’erano 70.000 militari, in un paese con 28 milioni di abitanti. Ad Haiti, in proporzione alla popolazione, ce ne sono già e ce ne saranno molti di più.

 

Il problema è che negli ultimi anni ad Haiti ci sono stati molti, troppi, interventi militari patrocinati dagli Stati Uniti. Anche nel 1994, dopo tre anni di governo militare, furono mandati 20.000 militari statunitensi definiti “forze di pace”. Era il quinto o sesto intervento in quel paese, e come i precedenti non si preoccupava minimamente di restaurare la democrazia, ma “al contrario, fu fatto proprio per impedire un’insurrezione popolare contro la Giunta Militare”. Ne aveva scritto già allora lo stesso Michel Chossudovsky: The Destabilization of Haiti, Global Research, 28 febbraio 2004. In spagnolo: http://www.lahaine.org/index.php?p=11272 .

Le truppe straniere rimasero ad Haiti fino al 1999, e contribuirono al disfacimento delle forze armate haitiane. Una compagnia di mercenari o “contractors”, la DynCorp, fu incaricata di fornire assistenza tecnica per ristrutturare la polizia haitiana. Ma dopo il ritorno di Jean-Bertrand Aristide, nel 2004 un colpo di Stato fu preparato addestrando nella Repubblica Dominicana nuovi squadroni delle morte composti da ex appartenenti alle bande di tonton-macoute dei Duvalier. Ecco perché nel paese c’è tanta violenza diffusa e incontrollabile.

 

Assurdamente oggi sulla stampa “democratica” italiana si parla benevolmente dell’ultimo dei Duvalier, Jean-Claude, che dal suo “esilio” di Parigi avrebbe “donato” al popolo haitiano 8 milioni di dollari di una Fondazione intestata a sua madre. Peccato che quei milioni, non solo sono pochissimi rispetto ai 900 milioni che risultano trafugati dalla famiglia Duvalier, ma sono gli unici che sono stati scoperti e sono quindi stati “congelati” in attesa di un processo. Uno scherzo miserabile, regalare l’unica briciola del maltolto non in suo possesso…

Ancora più assurdamente le televisioni italiane nominano invece sempre come “dittatore” Jean-Bertrand Aristide, mentre fu uno dei pochissimi governanti di Haiti regolarmente eletto. Era di centrosinistra, eletto sull’onda di una grande speranza popolare di riscatto e di moralizzazione, e fece non pochi errori (compreso quello di fidarsi delle promesse di Washington), ma fu lo stesso molto amato dal popolo. Il funerale di Bob Molière, uno dei deputati del partito Fanmi Lavalas fondato da Aristide e tuttora maggioritario (anche se in un parlamento del tutto privo di poteri), si è trasformato il 18 in una manifestazione di sostegno all’ex presidente deportato in Sudafrica, che invano ha chiesto in questi giorni di poter tornare ad Haiti. Anche Bob Molière tra l’altro era stato incarcerato per un anno dopo il colpo di Stato.

 

Altra assurdità: Cuba, che aveva già 400 medici operanti in permanenza ad Haiti, e ne ha offerti altri, pronti per partire (ne aveva mandati migliaia, insieme ad altri esperti di recupero di feriti perfino nel lontanissimo Pakistan, che per giunta non era certo affine politicamente), viene ignorata ed anzi criminalizzata anche dalla nostra stampa. Per giunta negli USA due analisti della Fondazione Hermitage, James M. Roberts y Ray Walser, in un documento del 14/1/2010 (“American Leadership Necessary to Assit Haití After Devastating Earthquake”), hanno spudoratamente ammonito che “probabilmente Cuba e Venezuela, che hanno sempre tentato di limitare l’influenza degli USA nella regione, potrebbero approfittare del terremoto per migliorare il loro profilo e aumentare la propria influenza”…

 

Intanto nello sfacelo di Haiti, prosperano le compagnie private di sicurezza (ce ne sono almeno 20 a Port-au-Prince). Stanley St. Louis, direttore della Pap Security, che prima del terremoto contava 2.000 uomini, e aveva tra i suoi clienti le stesse forze dell’ONU e diverse ambasciate, ha dichiarato il 19 gennaio a Francisco Peregil, del quotidiano spagnolo El País, che per fronteggiare la delinquenza dilagante c’è un solo rimedio: fucilare.

“Il direttore generale della polizia non ha detto ufficialmente di uccidere sul posto i delinquenti, ma lo ha detto”, ha dichiarato. La ragione sarebbe semplice: le prigioni sono crollate, la polizia dispersa e disorientata, alcuni sono morti o feriti, altri hanno disertato, mentre i criminali sono tanti e più organizzati di prima. “L’unico posto sicuro per i delinquenti è il cielo”… O l’arruolamento tra i contractors…

 

L’unica notizia positiva per il momento viene dalle donne: da domenica 17 si è istallato nella città di Jimani, al confine tra Haiti e Repubblica Dominicana, un Accampamento Internazionale femminista. Già positivo che tra le promotrici ci siano insieme organizzazioni dominicane e haitiane, alla faccia di tutti i tentativi di contrapporre i due popoli fratelli. Lo scopo principale per una prima fase è quello di assicurarsi che gli aiuti arrivino davvero a chi ne ha bisogno. Nell’Accampamento c’è una postazione della Radio Internacional Feminista, ed è stato stabilito un collegamento con Naomi Klein, che si è impegnata fin dall’inizio per evitare che il terremoto serva come pretesto per operazioni di ricolonizzazione… Ed è stato lanciato un appello di una quindicina di organizzazioni femministe, dall’Argentina al Messico, dall’Honduras al Brasile, firmato anche da decine di militanti conosciute di altri paesi. È la prima iniziativa latinoamericana “dal basso”, un segnale importante di speranza.

Naturalmente c’erano già state diverse iniziative di denuncia, di cui una molto tempestiva e molto efficace da parte di Fidel Castro, nelle sue “riflessioni personali”, e un’altra di Hugo Chávez.

Ma quello che occorre è un’iniziativa coordinata. Chávez ha parlato della necessità di una Quinta Internazionale, ma la si deve vedere subito all’opera per non lasciare sola Haiti di fronte al ritorno del passato…

(a.m. 20/1/10)

P.S. Il testo Chavez: per la V Internazionale di François Sabado, presente ancora sul sito nelle segnalazioni in prima pagina, è stato poco visitato, perché probabilmente si confondeva col precedente, sullo stesso argomento, di Guillermo Almeyra, pubblicato in spagnolo alcuni giorni prima. Vale la pena di guardarlo, è molto bello. Fa parte dei documenti per il Congresso della Quarta Internazionale.