“Contraddizioni in seno alla sinistra”

 

 

Un mese fa avevo già dato Un consiglio ai “tifosi” della squadra di Tsipras…, raccomandando loro di leggere su «Le Monde Diplomatique» di settembre un articolo molto ben documentato sulle conseguenze della firma del terzo memorandum, che risultava in evidente contraddizione con quanto esaltato dal PRC e da altri residuati della sinistra, e soprattutto sulle pagine del quotidiano ospitante. È passato appena un mese, e già la schiera degli innamorati del “realismo” di Tsipras si è fortemente ridotta. È disceso un pietoso silenzio, tranne che sulle pagine del manifesto, che comunque ha ridimensionato un po’ l’enfasi trionfalista che caratterizzava durante l’estate le sue corrispondenze da Atene.

Di nuovo due articoli apparsi su «Le Monde Diplomatique» di ottobre stridono con l’impostazione prevalsa nella sinistra italiana: in primo luogo quello di Serge Halimi, Far breccia nel muro mediatico, che ha un grande rilievo (inizia in prima pagina e riempie l’ultima), quando parla del caso greco all’interno del tema principale, che è appunto il “muro mediatico” creato dalla mostruosa concentrazione dei mass media nelle mani di grandi gruppi capitalisti, accenna all’imprudenza di Tsipras e parla di delusione per la fine della “speranza greca”. Ma è ben più esplicito il giudizio dell’articolo di Philippe Lamberts specificamente dedicato al “piano di aggiustamenti” (definito da lui “il cosiddetto accordo”) imposto alla Grecia e sottoscritto da Tsipras il 13 luglio. Lamberts è un eurodeputato belga, copresidente del gruppo Verdi-ALE (Alleanza Libera Europea) e non nasconde la sua simpatia per il progetto originario di Syriza, ma non si spiega come Tsipras abbia potuto “fare un voltafaccia una settimana più tardi [rispetto alla clamorosa vittoria del referendum del 5 luglio] accettando condizioni ancora più drastiche” di quelle respinte poco prima.

Lamberts denuncia duramente “la logica coloniale della troika in Grecia”, esplicitata nel “cosiddetto accordo” firmato da Tsipras, che prevede che “il governo [greco] deve interpellare le Istituzioni entro un tempo adeguato e ottenere il loro consenso su qualsiasi progetto legislativo relativo ai settori contemplati dall’accordo, prima di sottoporlo a una consultazione pubblica o al parlamento”. È evidente che “la sovranità dei rappresentanti greci è limitata da quella delle istituzioni, che tuttalpiù hanno una legittimità formale, non reale”.

Ma si preoccupa soprattutto delle conseguenze su Syriza. Lamberts concede che “naturalmente, non ci si può sempre aspettare da un partito una coerenza assoluta tra il suo programma e l’azione che conduce una volta al governo”, ma pur ammettendo che per formare una coalizione si possa essere obbligati a un compromesso, conclude che “in questo caso abbiamo assistito a un tale grado di contraddizione che uno dei fondamenti della democrazia, il rispetto degli impegni presi, è messo in discussione”.

L’accenno alla coalizione è interessante, dato che abitualmente in Italia viene sottovalutato che uno degli elementi che hanno premuto (e premono) su Tsipras è l’alleanza con l’ANEL di Kammenos dietro cui si nasconde il peso della potente casta militare (totalmente schierata con i paesi che la riforniscono di inutili e costosissimi armamenti) e di quella della Chiesa ortodossa, gelosa custode dei propri privilegi. Indipendentemente dal ridotto peso elettorale di ANEL rispetto a Syriza, la coalizione ha determinato il carattere interclassista del governo fin dall’inizio.

Comunque Lamberts non ha peli sulla lingua nel definire la svolta del 13 luglio: umiliazione, e soprattutto capitolazione. Unica attenuante, quella dell’impreparazione e dell’ingenuità: “la capitolazione apparentemente incomprensibile di Tsipras il 13 luglio diventa spiegabile quando ci si rende conto che l’alternativa non era stata presa seriamente in considerazione tantomeno preparata”. Lamberts condivide sostanzialmente le critiche delle sinistre interne che dopo l’esclusione dal partito hanno costituito “Unità Popolare”: bisognava dotarsi dell’arma della Grexit che invece è stata lasciata esclusivamente nelle mani dei suoi creditori. “La questione non era dunque di sapere se il governo ellenico desiderasse usarla, ma se fosse pronto a farlo nel caso in cui la negoziazione fosse andata oltre l’accettabile”. Infatti “questa scelta, a breve termine dolorosa anche per la Grecia, avrebbe significato anche per i suoi creditori un default di pagamento”, oltre che una perdita di credibilità della moneta unica.

Invece, mentre la Merkel e i suoi soci usavano ogni possibile ricatto, “niente di simile da parte di Tsipras, che è giunto a Bruxelles pronto a pagare qualsiasi prezzo pur di mantenere la Grecia nell’euro, già sapendo quindi di dover tradire la fiducia che una larga maggioranza di suoi concittadini aveva riposto nuovamente in lui una settimana prima. I creditori hanno sfruttato spudoratamente il loro vantaggio”.

Questa seria riflessione critica, sulle colpe dell’UE, ma anche sulle responsabilità del governo Syriza-ANEL, viene dal Belgio. In Italia, invece, la lettura apologetica della giravolta di Tsipras ha ridato fiato all’incredibile Vendola, a cui anche oggi il manifesto concede una pagina, per riproporre ancora una volta il suo cinico rifiuto di ogni scelta di coerenza: dopo tutto quel che è accaduto quest’anno in Italia, ha ancora l’impudenza di lasciare aperta una porta a un’alleanza con il PD a Milano e perfino a Roma (dovunque lo accettino, si capisce tra le righe…). Sempre in nome di un unico “principio”: separarsi “dalla sinistra dell’impotenza e della testimonianza”. Un principio che, insieme all’orrore per il “minoritarismo”, ereditato direttamente dal PCI, ha caratterizzato gran parte della cosiddetta “nuova sinistra” e del PRC, e ha portato a una sistematica incapacità di concepire una vera opposizione al sistema.

(a.m.16/10/15)