Cuba. La fine annunciata del libretto di approvvigionamento, la “libreta”

 

di Amaury Valdivia*

Già a prima vista il “libretto di approvvigionamento” (tessera di razionamento, libreta come viene indicata a Cuba), in generale non brilla per i prodotti che ogni mese garantisce al consumatore medio: circa 3 kg di riso, 2 kg di zucchero, ¼ di litro d’olio, una dozzina di uova, una manciata di fagioli e alcuni prodotti di carne. Inoltre, permette ogni giorno di mettere a tavola 100 g di pane e dà diritto a un litro di latte pastorizzato per i bambini, le donne incinte e i pazienti colpiti da malattie croniche, nonché l’accesso a distribuzioni occasionali di pollo e carne bovina. Un piccolo extra.

Già da qualche tempo la libreta non è più il libretto generoso con il quale i cubani ricevevano di tutto, dai giocattoli per la Giornata del bambino, alle bevande e alle torte per i loro matrimoni. La crisi economica degli anni 1990 e la politica di “eliminazione dei beni gratuiti” condotta dal governo durante l’ultimo decennio l’hanno portata a un passo dalla sparizione.

“La libreta costa allo Stato 1.016 miliardi di dollari all’anno, di cui la popolazione paga il 12%”, ha dichiarato di fronte all’Assemblea nazionale, nel dicembre 2010, Marino Murillo Jorge, all’epoca (tra il 2009 e il 2011) ministro dell’Economia e della Pianificazione e leader visibile della campagna per la liquidazione della libreta. Tre mesi prima, aveva ordinato il ritiro delle sigarette e degli articoli da bagno dal paniere regolamentato, nell’ambito di una strategia che mirava a “eliminarlo progressivamente”.

Solo l’opposizione popolare è riuscita a impedirne l’abolizione. All’epoca tutti i cittadini adulti erano stati chiamati a dibattere le “linee direttrici”, il programma di sviluppo nazionale che doveva essere approvato in occasione del sesto congresso del Partito comunista, nell’aprile 2011. In maniera inattesa, la maggioranza degli interventi avevano ignorato le altre questioni e si erano concentrati sulla difesa della libreta; cosa che ha forzato la decisione di mettere in stand by la sua soppressione.

“Per coloro che non conoscono i meccanismi quotidiani di funzionamento dell’economia familiare cubana (…) potrebbe essere molto difficile comprendere perché il mantenimento della libreta, al di là dei criteri economici, è una questione così delicata… Oggi, a Cuba, non si concepisce il consumo senza ciò che offre la libreta… Per molte famiglie, rappresenta più della metà di quello che possono acquistare o ottenere in termini di alimentazione”, spiega l’antropologo Adrián Fundora in uno studio pubblicato nel 2017 dall’Istituto di ricerche culturali Juan Marinello dell’Avana.

La mobilitazione per la libreta e la “ripresa in mano”

Dopo l’arrivo del Covid-19 a Cuba, il ruolo della libreta si è rafforzato. Diverse province e municipalità l’hanno utilizzata per controllare la vendita di prodotti di prima necessità che diventavano rari. Ma, a livello nazionale, è stato deciso che una tale misura non era pratica. In giugno, il Primo ministro Manuel Marrero Cruz (occupa questo posto dal 21 dicembre 2019, una funzione che era stata soppressa nel 1976) ha dichiarato che “benché tutti esigano che tutto sia fatto con la libreta, non è possibile. Come ha spiegato, ci vogliono 5200 tonnellate di ogni prodotto per dare una libreta a ogni compatriota e non abbiamo sempre a disposizione delle quantità così importanti”. Secondo lui la coscienza sociale è sufficiente a impedire il fiorire dell’accaparramento e della speculazione.

Nelle settimane che sono seguite, i Cubani hanno dovuto far fronte a un’estate di file interminabili – durate talvolta più giorni – e a un’escalation dei prezzi che ha liquidato i benefici dei copiosi aumenti di salari dell’anno precedente. A fine agosto, la situazione era talmente compromessa che la maggior parte delle amministrazioni provinciali ha deciso di ristabilire i sistemi di vendita controllata. Poco dopo l’entrata in vigore di questo programma commerciale, a Santa Clara, una delle città più popolose dell’isola, centinaia di cittadini hanno chiamato la televisione locale per felicitarsi con le autorità per la decisione. Uno dei messaggi domandava di “non abbandonare o stancarsi di questa idea necessaria. Non c’è molto e siamo numerosi, ma è meglio questo che cadere nelle mani degli opportunisti”. In poche parole, questa era l’esigenza che si imponeva a tutto il paese.

In un primo tempo, sembra che il Palazzo della Rivoluzione ceda di fronte al fatto compiuto; il Primo ministro (Manuel Marrero Cruz) e le sue posizioni sono relegate in secondo piano e viene approvata l’utilizzazione della libreta come strumento per organizzare le vendite nelle due monete legali (il peso cubano e il CUC, così viene chiamato il peso convertibile cubano).

Anche il discorso pubblico subisce alcuni cambiamenti e la stampa di regime racconta storie di persone che riescono, per la prima volta dall’inizio della pandemia, ad acquistare del pollo e altre merci fino ad allora di difficile accesso. Dopo la controversia generata dall’apertura dei negozi in moneta liberamente convertibile, è sembrato che la libreta tornasse a vivere una seconda gioventù, facendo leva sulla domanda popolare e sul bisogno del governo di ridurre le tensioni.

Ma questa luna di miele è durata meno di due mesi. A metà ottobre, Marino Murillo Jorge esce dal suo ritiro virtuale al comando di una commissione anodina del Comitato centrale del partito comunista cubano e convoca la televisione nazionale per annunciare, insieme all’attuale ministro dell’Economia e del piano (Alejandro Gil), l’imminenza di un processo di drastiche riforme. Tra le misure già approvate dal Partito e dal governo, che prenderanno effetto “dai primi giorni dei prossimi mesi”, figurano l’abolizione del CUC, la svalutazione del peso cubano (che resterà l’unica moneta) e l’aumento simultaneo dei salari di Stato e dei prezzi di praticamente tutti i prodotti e i servizi.

Tra le tante questioni, Marino Murillo Jorge non si è lasciato scappare l’occasione per ricordare che la sparizione della libreta resta un obiettivo, “dato che non dobbiamo sovvenzionare dei prodotti, ma delle persone”. Una lunga lista di “gratuità ingiustificate” non saranno più pagate dallo Stato, ha annunciato con il suo abituale stile da caserma.

Molti concittadini hanno preso male le dichiarazioni dell’ex-zar delle riforme a Cuba, che a inizio decennio cumulava i poteri di ministro, vice-presidente del Consiglio dei ministri, membro dell’Ufficio politico (la più alta istanza del Partito) e capo dell’allora robusta Commissione per la messa in atto degli orientamenti. Un cammino all’insegna del successo burocratico, ma non certo del sostegno popolare.

Manuel Marrero Cruz non se la cava nemmeno in pubblico. Chiaramente abituato a un livello ben superiore a quello del Cubano medio, ha raggiunto il posto di Primo ministro nel dicembre 2019, dopo aver passato tutta la sua carriera professionale nelle imprese del settore del turismo e essere stato ministro per 15 anni. La sua nomina ha sconcertato tutti gli esperti di Cuba, che l’avevano scartata per la sua mancanza di esperienza in due ambiti considerati strategici come quelli dell’agricoltura e della costruzione di alloggi.

Attendendo il “giorno zero”

La riunificazione monetaria è essenziale per L’Avana, che si è lanciata in una campagna di promozione delle esportazioni per coprire i deficit del reddito causato dal crollo del turismo, delle missioni di collaborazione all’estero (medici) e dell’invio di fondi delle famiglie (esiliate, in particolare, negli Stati Uniti).

Anche gli economisti che criticano il governo difendono la pertinenza di questa misura, anche se mettono in guardia contro il pericolo che, dopo il “giorno zero”, il paese possa cadere in un circolo vizioso. “Non vedo come sia possibile prevenire la pressione inflazionistica di fronte a una domanda accresciuta (…) senza aumentare l’offerta di prodotti”, ha avvertito il professore universitario Julio Carranza Valdés in un articolo pubblicato sul blog El Estado como tal nel luglio scorso, rimettendo così in questione l’ottimismo ufficiale concernente il primo aumento massiccio dei salari degli impiegati di Stato. I fatti hanno finito per dargli ragione.

Un altro pericolo è che la svalutazione del peso cubano scateni una corsa all’acquisto di dollari che alimenterà il mercato parallelo delle divise, già in pieno sviluppo: dall’inizio della pandemia, il biglietto verde è praticamente raddoppiato di valore. “Quelli che hanno anticipato questa situazione in un modo o un altro e hanno una composizione del proprio risparmio più concentrata in divise estere, sono i meno esposti, insieme a quelli che hanno degli investimenti fisici”, ha dichiarato l’economista Pavel Vidal Alejandro, dell’università Javeriana di Cali (Colombia), in un’intervista accordata in settembre a El Toque, una rivista alternativa online.

Ebbene, questa non è la realtà della maggioranza della popolazione, che vive con i conti in rosso da decenni e che si precipita ogni inizio mese a “fare la spesa”: per comprare la quota regolamentata distribuita attraverso la libreta.

“È quello che ci spetta e su questo non si scherza!”, ha dichiarato a un consumatore de L’Avana. Ed è così dal luglio del 1963.

* Articolo pubblicato nel settimanale Brecha il 6 novembre 2020. Traduzione in italiano a cura del segretariato MPS, che ringrazio. Segnalo anche l’articolo di Samuel Farber, che non è stato possibile tradurre per ora, per vari problemi di salute (mia e del computer…), ma che può essere scaricato in spagnolo: https://correspondenciadeprensa.com/?p=14934 In ritardo di qualche giorno, ma è bene seguire le vicende di Cuba e i suoi problemi, che non spariscono certo insieme a Trump.

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