Kouvelakis: Per Syriza, c’è un’alternativa alla “ritirata strategica”.

Il tempo non sta dalla nostra parte.

 

 

 

di Stathis Kouvelakis

 

Da quando la manipolazione dei media, che presentava quasi come una vittoria l’accordo di febbraio tra il governo greco e l’Eurogruppo, ha cominciato a sgonfiarsi, l’argomento principale dei suoi sostenitori è stato che «ci ha fatto guadagnare un po’ di tempo».

 

Si doveva fare qualche concessione, dicono i suoi sostenitori, ma queste sono state fatte nel quadro di un «compromesso propulsivo», per usare la terminologia di Yiannis Dragasakis, vice primo ministro e figura prominente dei «realisti» di Syriza.

 

L’argomento in proposito è che non ci sarebbe stata ulteriore austerità per i quattro mesi di durata dell’accordo, il problema di liquidità che ha portato il sistema bancario sull’orlo del collasso sarebbe stato temporaneamente risolto, e il governo avrebbe avuto qualche spazio di manovra nei preparativi per il prossimo giro di negoziati, a giugno, senza dover abbandonare i suoi obiettivi strategici. Non si tratta quindi di una sconfitta, ma di una ritirata tattica che lavora a favore della parte greca.

 

Ma anche senza entrare in un’analisi dettagliata degli impegni assunti dal governo greco nel firmare l’accordo, è chiaro che non c’è voluto molto perché la realtà smentisca i principali punti dell’argomento che precede.

 

Dentro la «Gabbia di ferro»

 

In primo luogo, è diventato chiaro che il governo ha avuto le mani legate. Ha resistito con successo alla richiesta europea di misure di austerità, ma non può neanche realizzare il programma sul quale era stato eletto. In effetti, il nucleo centrale delle misure del programma comporta un costo finanziario e richiede la preventiva approvazione della troika (e smettiamola una volta per tutte con gli eufemismi sulle «istituzioni» e il «Gruppo di Bruxelles»).

 

Questo riguarda in particolare la soluzione del problema degli arretrati di pagamento delle tasse a favore dei contribuenti a basso reddito, il ripristino della soglia esente da tasse per il reddito annuale fino a 12.000 euro, e l’abolizione dell’assurdamente ingiusta ENFIA (Tassa unificata sulla proprietà immobiliare). Inoltre, l’innalzamento del salario minimo a 751 euro deve essere attuato nell’arco di due anni, con scadenze incerte.

 

Infine, la proposta di reintegro degli accordi di contrattazione collettiva e della legislazione del lavoro ha incontrato una fortissima opposizione da parte della troika, e nella lista di riforme del mese scorso del ministro greco delle Finanza, Yanis Varoufakis, il governo si è impegnato a continuare le privatizzazioni in corso e in sospeso.

 

Di conseguenza, nel primo mese del governo di sinistra è prevalso un periodo di inazione legislativa senza precedenti, un vivido riflesso di quella «gabbia di ferro» preparata da lungo tempo, che l’Unione Europea (UE) aveva imposto agli indisciplinati greci. Inazione che equivale alla cancellazione di fatto dei primi annunci del nuovo governo, che avevano creato un clima positivo nella società greca ma anche su scala internazionale tra le forze politiche e sociali alleate.

 

In sostanza, ciò significa che le misure ridistributive, che potevano dare un reale sollievo alla classe operaia e agli altri strati popolari, e permettere a Syriza di stabilizzare le sue alleanze sociali, sono rimandate a tempo indeterminato.

 

Bisogna anche sottolinear qualche cosa che spesso non viene menzionato: il primo periodo del governo Syriza ha, tra l’altro, messo in luce le contraddizioni del programma di Salonicco, sulla base del quale è stato eletto e che si presumeva avrebbe realizzato senza negoziare. Ma come è risultato, l’UE considera «unilaterale» – e pertanto condannabile – ogni rottura con la politica dei memorandum, e non solo il mancato pagamento del debito o l’uscita dall’euro.

 

La conferma più lampante di ciò, è venuta con la lettera dell’economista Declan Costello, spedita a nome della Commissione Europea, che dichiarava che l’approvazione della «legge sulla crisi umanitaria» senza una «adeguata consultazione politica» avrebbe significato «procedere unilateralmente e in modo frammentario, che è incoerente con gli impegni assunti, incluso verso l’Eurogruppo, come affermato nel comunicato del 20 febbraio».

 

E in effetti, in questo accordo, la parte greca dice esplicitamente che si sarebbe: «astenuta dalla cancellazione di misure e da cambiamenti unilaterali delle riforme politiche e strutturali che mettessero a repentaglio gli obiettivi fiscali, la ripresa economica e la stabilità finanziaria, come queste sono valutate dalle istituzioni». Così,fin dall’inizio, non c’era alcuna possibilità che la realizzazione di quel programma sarebbe «esente dal negoziato». 

 

Ma è anche diventato più chiaro che, oltre a essere un casus belli per la UE, il programma non era «fiscalmente neutro» (cioè non aveva alcun impatto sul bilancio) come annunciato. Se no, la sua realizzazione non avrebbe corso il rischio di incorrere nel veto della troika, che è interessata soprattutto a difendere il bilancio in attivo. E questo senza menzionare l’illusione che i soldi che venivano dal fondo EFSF potevano essere usati per altri scopi, un’idea esplicitamente esclusa dall’accordo del 20 febbraio.

 

«Ambiguità creativa»

 

Lo stallodovuto all’inazione legislativa, è stato ulteriormente aggravato dai disaccordi interni sui termini dell’accordo, espressi nella riunione del gruppo parlamentare di Syriza del 27 febbraio e nell’ultima riunione del suo Comitato Centrale nello scorso febbraio (dove il relativo emendamento della Piattaforma di Sinistra ha ottenuto il 41 per cento dei voti).

 

La conseguenza più immediata e più significativa del dissenso è stata che, malgrado le pressioni dell’UE, l’accordo dell’Eurogruppo non è stato portato davanti al parlamento per un voto. Invece, ha cominciato a formarsi un discorso di «ambiguità creativa» sui termini dell’accordo.

 

Che cosa ciò significhi in concreto, era una forma di «disobbedienza selettiva» equivalente a una realizzazione, di fatto «unilaterale», di alcune delle misure contenute nel programma di Syriza. Le più significative di queste sono le leggi relative alla crisi umanitaria,la soluzione del problema degli arretrati delle tasse, la protezione delle prime case dagli espropri, il ripristino dell’ERT (la radio televisione pubblica greca), e l’istituzione di una commissione di audit che indagherà su quanto è accaduto durante l’era dei memorandum.

 

Finora, solo le prime due delle suddette misure sono state introdotte, e ormai lo scarto tra le intenzioni iniziali e il risultato, e la parte svolta dalla troika nel processo di formazione delle leggi, sono diventati evidenti.

 

La legge sulla crisi umanitaria stanzia fino a 200 milioni di euro, circa un sesto di quanto aveva progettato il programma di Salonicco. Il reddito limite per beneficiare delle misure proposte (riallacciamento alla rete elettrica, buoni pasto, sussidi per la casa) è a 4.800 euro per una famiglia di quattro persone, e 6.000 per una famiglia con tre figli, toccando solo casi di estrema povertà. L’obiettivo annunciato di 150.000 famiglie appare piuttosto ottimistico, e in ogni caso è solo metà di quanto indicato nel programma di Salonicco. Ma anche in questa forma ridotta ha avuto l’opposizione della Commissione Europea.

 

La legge che permette 100 rate per il pagamento degli arretrati delle tasse costituisce una forma basilare di sollievo per milioni di persone della classe media o bassa vittime dell’assalto fiscale degli scorsi anni – come anche l’eliminazione dell’ordine di arresto per debiti pubblici – ma anche questa misura è ridotta rispetto alle disposizioni proposte in origine.

 

Non c’è alcuna disposizione per un taglio dei debiti, perché la troika ha respinto questa misura, mentre quanti non pagano due rate mensili successive durante i primi otto mesi, (tre mesi dopo) perderanno questo beneficio. Inoltre chi può permettersi pagamenti immediati è chiaramente favorito in quanto esente da multe e sopratasse.

 

In breve, la ricerca di fonti di introiti pubblici immediati, combinata con la pressione dell’UE per prevenire ogni forma di alleviamento del debito, sembra sia prevalsa sull’obiettivo di combattere l’eccessiva tassazione alla quale la gente comune è stata sottoposta negli ultimi tre anni.

 

Ma anche queste misure simboliche e piuttosto ambigue, che glissano sull’obiettivo fondamentale di Syriza, di ridistribuire la ricchezza, sono bastate per scatenare una nuova raffica di recriminazioni da parte dei leader europei. Nei fatti, il presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, non ha mai cessato l’assalto iniziato il 5 febbraio, quando ha deciso di tagliare il principale meccanismo di finanziamento per le banche greche.

 

Un mese dopo, con i suoi tre «no» alle richieste del governo greco (permettere alle banche greche di emettere buoni del tesoro a breve termine per finanziare i pagamenti del debito pubblico, accettare obbligazioni greche come collaterali della BCE, e il tetto della ELA [Assistenza Liquidità di Emergenza] a 3 miliardi),il presidente della BCE ha chiarito le sue intenzioni. La «tortura della goccia» sulla liquidità, paralizza gradualmente l’economia, poiché la liquidità fornita dal settore pubblico è esaurita e le entrate pubbliche si riducono.

 

Inoltre, a marzo il governo deve pagare al Fondo Monetario Internazionale 1,4 miliardi di euro per il servizio del debito, 800 milioni dei quali sono per il pagamento di interessi sul debito. Per fare fronte a queste necessità, e avendo dato la priorità al pagamento dei creditori, il governo è costretto a prelevare dalle riserve di cassa dei fondi pensioni e di enti del settore pubblico.

 

La situazione finanziaria della Grecia è effettivamente disastrosa; in un’intervista molto discussa allo Spiegel, Alexis Tsipras ha per un momento abbandonato il linguaggio diplomatico e dichiarato che «la BCE ci sta ancora tenendo una corda al collo».

 

Il vertice europeo di giovedì scorso, e il separato incontro a sette di Tsipras con Draghi, la Cancelliera tedesca Angela Merkel, il Presidente francese François Hollande, il Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, il Presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, e il Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, non ha portato sostanziali cambiamenti. Qualsiasi aiuto è strettamente condizionato a una «lista di riforme»che la Grecia deve sottoporre nei prossimi giorni e tutti hanno spinto Tsipras ad agire immediatamente sulle sue «promesse non mantenute».

 

Nella sua conferenza stampa dopo la fine dell’incontro, la Cancelliera tedesca è andata ancora oltre. «Il governo greco ha l’opportunità di scegliere singole riforme ancora in sospeso dal 10 dicembre e sostituirle con altre riforme se queste … hanno lo stesso effetto», ha detto la sig.ra Merkel.

 

Come sottolineato dal corrispondente da Bruxelles del Financial Times, Peter Spiegel, «una richiesta potenzialmente incendiaria, poiché il documento a cui la sig.ra Merkel si riferiva – una lettera scritta dal primo ministro greco di centro destra Antonis Samaras e dal suo ministro delle finanze Gikas Hardouvelis – era stata oggetto di particolare indignazione per Syriza, il partito di estrema sinistra di Tsipras, durante la campagna elettorale».

 

Sembra molto improbabile che il primo incontro bilaterale di oggi a Berlino tra Merkel e Tsipras porterà a una modifica dell’atteggiamento della Germania. Questo è probabilmente ciò che ha portato il leader di Syriza a dichiarare, per la prima volta, che «c’è un piano alternativo» se il paese si trovasse di fronte a una scarsità di liquidità.

 

Una strategia alternativa

 

Il piano – o piuttosto la gamma di strategie – attualmente considerato dagli europei, può essere riassunto come segue: causare il collasso del governo Syriza in tempi brevi, o, e questa sembra essere l’opzione prevalente, spingerlo a una nuova ritirata strategica in aprile, che prepari il terreno per una capitolazione finale a giugno.

 

Questo approccio sembra dimostrato dalla decisione dell’Eurogruppo all’inizio di questo mese, quando, in un’atmosfera particolarmente tesa e con procedure spedite, la parte greca è stata obbligata ad accettare due importanti richieste dell’Eurogruppo. La prima, una conferma molto rigida de «l’impegno a nessuna azione unilaterale e nessun tornare indietro su misure concordate in precedenza che devono essere sempre rispettate». La seconda, il ritorno ad Atene delle squadre «tecniche» della troika.

 

Al di là del simbolismo, tale mossa ha un significato molto pratico: è sulla base dei dati raccolti – cosa che ci si aspetta confermi la tendenza negativa delle entrate pubbliche, degli obiettivi di bilancio e dell’economia in generale – che tali squadre stenderanno le proposte per un nuovo pacchetto di misure di austerità. Questo pacchetto verrà infine presentato dai prestatori come termini di un nuovo «salvataggio» da «negoziare», in realtà imposto al governo greco in estate, quando la Grecia ha a che fare con 10 miliardi di euro di pagamenti del debito.

 

È ormai assolutamente chiaro che rimanere chiusi in questa trappola mortale può solo portare alla disfatta totale del governo Syriza e in più al collasso delle forze politiche e sociali che costituiscono la sua base, con conseguenze dirette e devastanti su scala europea e internazionale. A questo riguardo, il relativo declino nel sostegno a Podemos in recenti sondaggi dovrebbe già sollevare qualche preoccupazione, anche se ha anche cause interne.

 

L’uscita dall’attuale blocco richiede però alcuni prerequisiti. Il primo è la rottura con il clima di compiacimento – in altre parole, rompere con l’idea che, con un’appropriata manipolazione dei media, ogni incontro con i funzionari europei può essere presentato come un successo, e che gli accordi firmati possono essere modificati a volontà.

 

La sincerità e la seria valutazione richieste dalla situazione sono state espresse nel modo migliore dal Ministro degli interni Nikos Voutsis che questo mese ha messo in evidenza davanti al parlamento che «il paese è in guerra, una guerra sociale e di classe con i prestatori» e che a questa guerra «non andremo come spensierati scout, desiderosi di continuare le politiche dei memorandum». Questo è il tipo di linguaggio che i sostenitori internazionali di Syriza devono udire, e non il linguaggio del facile ottimismo che crea illusioni e causa una confusione che domani si può dimostrare costosa.

 

Per vincere questa battaglia – e bisogna sottolineare che malgrado gli arretramenti e le perdite, il risultato della battaglia non è ancora deciso – ci deve essere una preparazione adeguata. Purtroppo, la ritirata di febbraio è risultata necessaria, in quanto si doveva dimostrare che anche con le più sincere intenzioni, insistere sulla strategia di stare nell’euro ad ogni costo può solo portare alla sconfitta.

 

Ovviamente c’è una serie di misure unilaterali che sono armi necessarie in questa battaglia e che logicamente vengono prima dell’opzione di un Grexit. Queste includono due misure che sono componenti da molto tempo del programma di Syriza: controllo dei capitali, che richiede uno stretto controllo pubblico del sistema bancario e insolvenza sul pagamento dei debiti.

 

Dovrebbe però essere chiaro che tali azioni avvierebbero una dinamica che violerebbe vincoli fondamentali dell’unione monetaria, e porterebbero inevitabilmente all’uscita dalla stessa. In ogni caso, l’implacabile ricatto della BCE con la fornitura di liquidità, mette ogni giorno in agenda la questione di recuperare la sovranità sulla politica monetaria.

 

Da questo punto di vista, la proposta più ragionevole è un’uscita negoziata dall’euro, che sarebbe combinata con una cancellazione della maggior parte del debito, e libererebbe le due parti dagli effetti negative di una Grexit forzata e dalla preoccupazione senza fine per un debito greco insostenibile.

 

È vero che, dato il mandato di Syriza sulla questione dell’euro, una tale proposta dovrebbe essere convalidata da una consultazione popolare. La possibilità di un referendum nel caso di uno stallo nei negoziati, è attualmente in discussione nel governo, come dimostrato dalla dichiarazione di Varoufakis alCorriere della Sera, e più di recente da dichiarazioni simili di un portavoce del governo.

 

In ogni caso, questa linea potrebbe costituire la base di una proposta credibile, senza alcuna doppiezza, rivolta alla UE e alla società greca.

 

Perché, in definitiva, qui sta il criterio fondamentale per determinare «dalla parte di chi sta il tempo». Anche se ci sono segni di un declino nel favore , il governo continua ad avere un ampio sostegno popolare, poiché molte persone capiscono l’ovvio, cioè che gli è stata scatenata contro una guerra terribilmente asimmetrica.

 

E in questa guerra, per quelli che stanno dalla parte dell’Europa sarà molto dura ottenere la maggioranza del popolo greco. È anche vero però, che l’atmosfera delle prime settimane del governo, che aveva sollevato lo spirito delle persone e le aveva portate nelle piazze, è cambiata radicalmente. Nondimeno niente ordina che quello spirito non possa essere resuscitato.

 

Però, affinché questo accada, devono risuonare nuovamente le trombe di guerra, e la lotta che ne seguirà deve essere combattuta con tutta la serietà e determinazione necessarie – non con espedientidi PR [relazioni pubbliche] e contorsioni retoriche.

 

                                     

 

Da Jacobin

https://www.jacobinmag.com/2015/03/grfeece-syriza-eurogroup-newgotiations-austerity/

Traduzione di Gigi Viglino