La sinistra del PSUV su Chávez

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VENEZUELA

Il governo di Chávez, non è un governo dei lavoratori ma non è neppure un governo del capitale e dell’imperialismo.

 

Intervista a Viento Sur di Gonzalo Gómez Freire

 

 

Gonzalo Gómez Freire è stato uno dei fondatori del sito di informazione alternativo e popolare www.aporrea.org, nato nel 2002 a partire da un organismo di coordinamento del movimento popolare Asamblea Popular Revolucionaria, creata per opporsi al colpo di Stato di destra. È inoltre membro di Marea Socialista, una tendenza politica, sindacale e della gioventù all’interno del Partito socialista unito del Venezuela (PSUV), il partito di Chávez, ed è attivo nella centrale sindacale Unión Nacional de Trabajadores (UNETE). Marea Socialista è nata nel 2006 e ha partecipato al processo di costruzione del PSUV promosso dal presidente Chávez nel 2007. Si tratta di una corrente marxista rivoluzionaria critica, che pubblica un giornale e partecipa alle varie mobilitazioni e lotte popolari e operaie nel paese. L’ho incontrato più volte in marzo, ma ho trovato particolarmente utile questa intervista apparsa sul ricchissimo sito WEB di Vientosur in aprile, prima dello scandalo degli arresti ed estradizioni di militanti presunti guerriglieri delle FARC verso la Colombia, di cui ho parlato ampiamente su questo sito:  Lettera aperta a Chávez, Venezuela: la "ragion di Stato" e Il labirinto colombiano. Si veda anche: Cambiamenti in America Latina e Ripercussioni del caso Joaquín Pérez Becerra, che peraltro non hanno cambiato l’orientamento generale di Marea Socialista nei confronti del governo e dello stesso Chávez. (a.m. 6/9/2011)

 

 

Viento SurNove anni fa, il movimento popolare ha fatto fallire il colpo di Stato contro il presidente Chávez. Qual è il tuo bilancio di questo periodo?

Gonzalo Gómez Frias – Per quanto riguarda il colpo di Stato, la principale lezione è che è indispensabile la partecipazione delle masse popolari, del popolo, come l’unica forza in grado di sconfiggere i tentativi di golpe e le cospirazioni della destra venezuelana e imperialista. Come è noto, è stata la partecipazione popolare ad opporre, nella mobilitazione del 13 aprile 2002, una risposta massiccia e a far fallire il colpo di Stato, insieme a settori dell’Esercito, che hanno difeso il presidente Chávez.

È meno noto, tuttavia, che cosa è avvenuto l’11 aprile per tentare di bloccare il colpo di Stato. Questo perché, quel giorno, il governo non ha fatto la scelta di promuovere la mobilitazione popolare per difendersi, ma ha invece fatto appello a fidarsi dell’Esercito, sostenendo che tutto era sotto controllo, che la serrata padronale e la partecipazione della burocrazia sindacale al tentativo di rovesciamento erano fallite. Il governo, sicuramente per prudenza e per evitare un bagno di sangue, aveva invitato la popolazione ad andare a lavorare normalmente e a non cadere nelle provocazioni.

D. – Abbiamo letto, in un giornale uruguayano, un intervista a Hugo Chávez in cui questi sostiene che, di fronte al colpo di Stato, a salvarlo sono stati i suoi capitani e il popolo. Quale settore ritieni sia stato quello più decisivo?

R. – C’è stata la combinazione di entrambi, perché prima che intervenissero settori dell’Esercito, era indispensabile poter contare su una partecipazione determinante della popolazione, che li ha incoraggiati e ha fornito loro una base d’appoggio. Si è quindi trattato di una combinazione civico-militare. Ma occorre insistere: non si è chiamato il popolo a scendere in piazza per fare fronte al golpe perché si temeva che la cosa potesse sfociare in un massacro. Invece l’Asamblea Popular Revolucionaria, insieme ad altri collettivi e movimenti popolari, si sono mobilitati nei quartieri di Caracas.

Insistiamo sulla necessità di chiamare il popolo ad affrontare il colpo di Stato, perché la destra stava invece mobilitando i ceti medi e la borghesia per far credere che fosse il popolo a cacciare il governo, laddove si trattava di una cospirazione ordita da alcuni dei partiti d’opposizione, dai militari, dalla burocrazia sindacale e dai vertici della Chiesa. Noi crediamo che la massiccia presenza popolare dell’11 aprile per le strade sia stata l’elemento determinante perché ci fosse poi la gigantesca mobilitazione del 13, che ha permesso il rientro del presidente.

D. – I settori che si sono mobilitati per salvare il processo bolivariano sono sempre così attivi?

R. – L’avanguardia popolare continua a partecipare attivamente al processo. Ci sono però aspettative che non sono state ancora soddisfatte appieno, nonostante le conquiste e le acquisizioni che abbiamo avuto, e questo provoca usura e demoralizzazione in alcuni settori delle masse popolari, che smettono di partecipare o lo fanno con minore energia di prima. Questo ha parecchio a che vedere con i ritmi del processo. Credo che, a volte, le conquiste che facciamo degenerino e marciscano più rapidamente dell’approfondirsi della rivoluzione. Qui c’è un pericolo serio, perché questo semplicemente mette in pericolo la continuità del processo.

D. – Quali sono finora, secondo te, le conquiste più significative?

R. – Ce ne sono di vario genere. Da un lato, per quanto riguarda la difesa della sovranità in materia economica e di politica internazionale. In Venezuela non ci sono basi USA. Qui la DEA non esercita alcun controllo sulla lotta contro il traffico di droghe. Si fanno pagare tasse alle multinazionali; il paese non è sottomesso alle direttive internazionali degli Stati Uniti; c’è una politica di integrazione latinoamericana, sudamericana. E abbiamo un esercito che continua ad essere quello che è stato, perché qui ha legami più stretti con la popolazione, svolgendo insieme delle funzioni sociali.

Dall’altro lato, ci sono le conquiste sociali, le “missioni”, che hanno consentito di migliorare la sanità o l’accesso all’istruzione, per limitarsi alle più comuni. La crescita degli effettivi universitari, l’eliminazione dell’analfabetismo, la riduzione degli indici di povertà, sono notevoli se paragonati alla situazione sotto la IV Repubblica. C’è infine il problema della partecipazione politica. Tutto questo è l’espressione di una rivoluzione democratica con gli elementi di una rivoluzione antimperialista. Questo però non significa che siamo nel socialismo.

D. – Non esiste, quindi, in Venezuela il cosiddetto “Socialismo del XXI secolo”? Come definire, allora, gli attuali rapporti sociali?

R. – Il termine “Socialismo del XXI secolo” non è definito, in realtà; è piuttosto uno slogan per sottolineare come non si tratti di quello che si chiamava il “socialismo reale”, il vecchio socialismo burocratico che esisteva in Urss e nei paesi dell’Europa dell’Est. È da quel socialismo che ci si deve differenziare. Come dal socialismo riformista, che non è socialismo perché ha lo scopo di fornire una riverniciatura democratica e sociale al sistema capitalista, con il processo molto protratto di una presunta trasformazione che porta solo alla sconfitta, come sappiamo.

Ora, o i lavoratori e i settori popolari mobilitati assumono realmente il potere e fanno trasformazioni accelerate, oppure i processi rivoluzionari si logorano, si deteriorano e vengono liquidati. Noi non sappiamo ancora verso dove andrà questo “Socialismo del XXI secolo”: in Venezuela, se ne discute: alcuni parlano di transizione al socialismo, ma noi ancora viviamo chiaramente in una società capitalista.

D. – Quali sono le particolarità di questa società capitalista nell’attuale Venezuela?

R. – La differenza e la particolarità stanno nel fatto che il controllo dell’apparato statale sta in mano a un settore legato ai movimenti sociali e popolari. E in questi settori figurano anche militari che hanno cominciato ad agire di fronte ai massacri del 27 febbraio [1989: sommosse popolari a Caracas represse nel sangue] schierandosi al fianco delle classi popolari.

D.Quale è dunque la definizione dello Stato venezuelano oggi?

R. – In Venezuela c’è una rivoluzione democratica con elementi legati ai movimenti sociali e antimperialisti che sono in continuo sviluppo, e questa situazione ha acuito le contraddizioni tra il capitale e il lavoro. Si tratta di un’esperienza molto importante, in cui si tentano ad esempio esperienze di controllo operaio in alcune fabbriche nazionalizzate. Ci sono anche esperienze di consigli di lavoratori per discutere su come si produce, come funzionano e si gestiscono le imprese, contabilità compresa. Questo indica in che senso vogliamo che evolva la società. C’è la volontà di designare i gestori fra i lavoratori, a partire dal movimento operaio, ma c’è anche molta resistenza da parte di settori burocratici dello Stato.

D.Questo processo di controllo operaio si sta estendendo, si generalizza?

R. – Il processo è molto importante qualitativamente perché si svolge in fabbriche strategiche come l’industria metallurgica, la siderurgia o l’alluminio. Ha acquisito una certa ampiezza a Ciudad Guayana, dove i lavoratori e le organizzazione sindacali lo applicano nell’azienda elettrica nazionale. Viceversa, nella società petrolifera PDVSA non c’è controllo operaio, malgrado il fatto che, quando ci sono stati interruzione di corrente e sabotaggio padronale, si sono visti comparire organi di controllo operaio e collettivo a cui partecipavano lavoratori, alcuni quadri e le comunità vicine, ma poi tutto questo è sparito.

Va sottolineato che ci sono forti resistenze in seno a settori burocratici dell’apparato statale, che non vogliono che il controllo operaio sia effettivo e concreto. Alti funzionari legati all’apparato governativo non ne vogliono sapere, perché sono loro a ricavare profitto dalle transazioni con le imprese capitaliste. I lavoratori si scontrano con questa resistenza, e questo dà luogo a mobilitazioni, come a Guayana. Si dà anche il caso di sindacati che vogliono rappresentare i lavoratori, fungere da portavoce, ma quando vedono che i lavoratori organizzano comitati e che funzionano in assemblee generali, e che il vecchio sindacato non è più la figura centrale, si rifiutano di cedere terreno.

D.Il 31 marzo c’è stata a Caracas un’importante manifestazione indetta dall’UNETE. Quali ne erano gli obiettivi e le richieste?

R. – L’UNETE è un’organizzazione dei lavoratori, ed ha convocato questa manifestazione con delegati di base e collettivi sociali. Le principali rivendicazioni erano incentrate su questioni di miglioramenti salariali e di condizioni di lavoro, per l’accelerazione delle trattative sui contratti collettivi di lavoro, perché sono molto in ritardo. Esistono casi scandalosi, ad esempio quello dei lavoratori della televisione che ancora non hanno contratto collettivo, da 21 anni… metà dei quali sotto il processo rivoluzionario, una cosa piuttosto insolita.

Si è marciato anche per migliorare la legislazione del lavoro, contro alcune forme di criminalizzazione della lotta sindacale, contro l’impunità nei casi di assassinio di dirigenti e militanti sindacali da parte di sicari. E per una migliore partecipazione e consultazione della classe operaia nelle questioni politiche della rivoluzione, nelle decisioni governative.

D.La legislazione del lavoro è andata avanti negli ultimi anni?

R. – È ancora la stessa della IV Repubblica, elaborata dai capitalisti, il che è perlomeno paradossale! Una delle principali rivendicazioni dell’UNETE è appunto quella di elaborarne una nuova.

D.A che cosa si deve questa paralisi?

R. – La legislazione del lavoro va riformata radicalmente, bisogna farlo in maniera rivoluzionaria. Questo però significa che bisogna scontrarsi frontalmente con i capitalisti e cambiare i rapporti sociali di produzione. Questo equivarrebbe a colpire la colonna vertebrale del sistema, ma non c’è la volontà politica di farlo. L’apparato statale ha paura di un cambiamento del genere, non vuole entrare su quel terreno, utilizzare la forza dei lavoratori e la loro mobilitazione per realizzare cambiamenti radicali. Il padronato privato – e anche quello pubblico – si prendono beffe delle sentenze legali a favore dei lavoratori, ad esempio quelle per il reintegro dei lavoratori licenziati o dei sindacalisti repressi. Non applicano quelle misure, le ignorano completamente.

D.Quindi c’è una contraddizione tra questa situazione e il discorso del presidente Chávez che, ad esempio nell’intervista citata, sosteneva che il Venezuela avanza verso il socialismo, annunciando l’instaurazione del controllo operaio per i lavoratori e da parte dei lavoratori, perché vi sia un reale potere di decisione sulla produzione?

R. – Si, è chiaro. Ci sono proclamazioni sull’orientamento socialista del processo venezuelano, ma poiché si mantiene la struttura del vecchio Stato borghese e non si adotta un programma anticapitalista radicale, è logico allora che si producano contraddizioni del genere. Lo stesso governo che parla del controllo operaio, che nazionalizza l’industria siderurgica sotto la spinta della lotta e delle organizzazioni dei lavoratori, quello stesso governo non è stato in grado di cambiare la vecchia legislazione del lavoro. È incoerente.

La classe operaia e i settori popolari stessi sono quelli che fanno appello a superare questa incoerenza, a rafforzarsi come soggetto sociale, a mobilitarsi per un programma popolare di sinistra, a indicare al governo quali sono i passi da compiere. Non ci si può semplicemente accontentare del fatto che Chávez sia il leader della rivoluzione e gli altri stiano ad aspettare la sua benevolenza.  Qui si parla di democrazia partecipativa e protagonistica e per noi questo vuol dire partecipare realmente a prendere le decisioni, all’orientamento del governo. Vogliamo che si decidano meccanismi per concretizzare questo e fare in modo che non sia solo il presidente a interpretare le richieste popolari, a riflettere le nostre esigenze in un modo o in un altro. Vogliamo che i lavoratori esercitino realmente il potere.

D.Esiste dunque un paradosso tra quel si dichiara e la volontà reale dei dirigenti del processo. La mano destra fa il contrario di quella sinistra. Come si spiega questo?

R. È difficile indovinare quale sia la “volontà reale” dietro questo. Quel che c’è di concreto, invece, sono i fatti che constatiamo, le pratiche, i risultati. Ora, occorre constatare che, a distanza di undici anni dall’inizio del processo, l’economia è sempre dominata dalle imprese capitaliste. Malgrado le nazionalizzazioni, è il capitale privato a predominare, sono lo sfruttamento, i monopoli, ad esempio quello del gruppo Polar o di certe banche. E occorre, inoltre, precisare che non si tratta di nazionalizzazioni senza indennizzo, ma di acquisti forzati di imprese pagate al di sopra del loro effettivo valore sul mercato. È quindi più realistico parlare di economia mista, che pone il problema di una contraddizione irrisolta.

A mio avviso, la politica del governo dovrebbe essere molto più aggressiva in materia di nazionalizzazioni. Occorrerebbe, ad esempio, instaurare il monopolio di Stato del commercio estero, perche ci sono problemi enormi di sabotaggio del rifornimento alimentare. Abbiamo problemi di scarsezza di beni volutamente provocata dai capitalisti. Dovrebbe essere considerata, per evitare questo, una misura come il monopolio del commercio estero. Le multinazionali e le imprese private continuano a controllare in larga misura il commercio estero, l’importazione e l’esportazione, ed è una delle grandi discussioni che bisogna affrontare.

Un altro dibattito riguarda la situazione del settore finanziario. Qui, sanno tutti che le banche continuano a fare profitti impressionanti, che sono immerse fino al collo in truffe di ogni genere, in speculazioni immobiliari. Tuttavia, malgrado alcune misure destinate a dare un po’ di respiro ai settori colpiti da questi comportamenti, il governo non fa niente per impedirgli di nuocere. Anzi, si sono concessi più vantaggi alle banche. Il potere della banche costituisce così un ostacolo perché il governo possa realizzare un piano che risolva i problemi economici più urgenti del paese. Questi problemi sono naturalmente messi in luce e sfruttati dalla destra, che cerca di provocare il logoramento del governo agli occhi della popolazione.

D.Credi che la classe operaia e le sue organizzazioni facciano parte della base sociale che sostiene il governo del presidente Chávez?

R. – Si, ne fanno parte. E, pur difendendo questo governo di fronte all’imperialismo e alle forze della destra, abbiamo al tempo stesso con esso alcune divergenze interne che vanno poste con chiarezza.

D.Quali sono i settori sociali che sostengono il governo e ne costituiscono la base sociale?

R. – Fondamentalmente, i settori popolari, le comunità popolari. Ma fra loro ci sono attori sociali che devono affermare il proprio ruolo principale per approfondire la rivoluzione; in particolare, è il caso della classe operaia e dei contadini poveri, perché se non si mobilitano, se non ci sono lotte e rivendicazioni, allora non ci sarà costruzione di un soggetto rivoluzionario. E, in questo caso, il governo si lascerà influenzare da altre persone che anch’esse, attualmente si stanno dando da fare. Non dimentichiamo tra l’altro che abbiamo sempre uno Stato borghese e un grave processo di burocratizzazione; qui stanno i veri freni del processo rivoluzionario.

D.Come si manifesta il processo di burocratizzazione e quali ne sono i pericoli se si sviluppa? Come evitarlo?

R. – Il processo è nato, fin dall’inizio, con deformazioni burocratiche, perché ha avuto l’eredità dell’apparato statale borghese. Il governo bolivariano si è costituito a partire dalla precedente legislazione, nonostante il fatto che ci sia stata un’Assemblea costituente. Questo si manifesta soprattutto nel fatto che le principali decisioni si prendono all’interno di questo apparato di Stato, e che la partecipazione dei lavoratori e delle comunità non è generalizzata, che non sono le masse popolari a decidere e a partecipare a tutti i livelli. Non sono la classe operaia e i suoi organi a dirigere la politica economica, né alcun altra politica del resto, in questo paese.

Il governo si mostra a volte sensibile alle aspirazioni dei lavoratori, ma la burocrazia di Stato agisce con la stessa logica dei capitalisti nello sfruttare i lavoratori, incluso nelle fabbriche nazionalizzate. Se un’impresa è nazionalizzata, non passa realmente in mano ai lavoratori e delle comunità se questi non possono intervenire realmente nell’organizzazione del processo produttivo, prendere le decisioni, e se i gestori si oppongono al miglioramento delle condizioni sociali dei lavoratori, perfino andando contro la vitalità della fabbrica. C’è in questo una contraddizione, un conflitto d’interessi, e deve essere risolto. A tal fine, occorre che i settori che sostengono la rivoluzione rafforzino la loro organizzazione, la loro coscienza, la loro formazione, la loro mobilitazione e agiscano in modo autonomo, ai margini dello Stato, per evitare i rapporti clientelari e i fenomeni di cooptazione che fanno loro perdere forza.

D.Come evolve il PSUV nel processo di costruzione del potere popolare?

R. – Da un punto di vista politico, il problema è che lo si costruisce con un piano dall’alto, prestabilito, che impedisce ai vari settori sociali di incidere a sufficienza nella costruzione del partito, in modo che questo possa esprimere al proprio interno le loro diverse esigenze. Non si sta quindi costruendo un partito in grado di svolgere i compiti che deve realizzare. Si impongono forme organizzative che puntano più a un rapporto del tipo leader-masse, che alla formazione di veri e propri quadri a partire dalla base, e così il partito si indebolisce invece di rafforzarsi. In definitiva, non è il partito a dirigere lo Stato, ma è lo Stato che ha organizzato il suo proprio partito. Il quale, quindi, corre il rischio di non essere che una semplice cinghia di trasmissione e una macchina elettorale legata al potere dei governatori, dei sindaci, degli alti funzionari dello Stato, ecc.

D.Quali sono gli elementi di continuità e di rottura di questo Stato rispetto alla IV Repubblica? Chávez ha ragione quando afferma che il suo esecutivo è un Governo del Potere Popolare?

R. – Questo governo ha al contempo elementi di continuità e di rottura rispetto alla IV Repubblica e questo è fonte di contraddizioni permanenti; esse non si potranno risolvere se non tramite la partecipazione e la mobilitazione delle masse, che impongano un cambiamento a partire dai loro bisogni. Esse aspirano a esercitare realmente il potere. E questo che occorre rafforzare ulteriormente.

D. – Che ruolo svolge l’esercito in questo processo?

R. – Da una parte, un settore di estrazione popolare ha reagito all’esperienza del massacro del 27 febbraio 1989, e in questo senso si può dire che una parte dell’apparato fondamentale dello Stato borghese, come è l’esercito, si è distanziata dal vecchio regime, e da ciò derivano aspetti fondamentali dell’attuale processo. Le attuali forze armate hanno maggiori legami con le comunità, e un maggior carattere nazionalista e antimperialista, con una concezione dell’unità dei popoli delle Americhe che esclude ingerenze di potenze straniere nelle questioni militari. Prima gli USA avevano i loro rappresentanti nelle forze armate, nelle principali caserme e nel Ministero della Difesa, e questo oggi sarebbe impensabile. Ciò ha significato una conquista sul terreno della sovranità. Inoltre si sono prodotti cambi importanti nella forma dell’organizzazione militare, come nel caso della milizia popolare aperta ai cittadini di tutte le età.

D.Chávez sottolinea in un’intervista che una rivoluzione non può dipendere da un solo uomo, che lui non è indispensabile. Tuttavia, la realtà sembra contraddirlo, dal momento che la sua figura di leader è diventata una pedina centrale del processo…

R. – Farò un esempio. Qualche mese fa, c’è stata una conferenza pubblica con alcuni dirigenti e vari intellettuali che sostengono il processo bolivariano. Il professore spagnolo Juan Carlos Monedero ha usato in quell’occasione il termine “iper-leadership” come problema che si doveva evitare e questo ha provocato grande scompiglio ed è molto dispiaciuto al governo e alla direzione del PSUV.

Abbiamo dunque un leader che svolge un ruolo importante e che è effettivamente indispensabile per consolidare l’unità del popolo e la sussistenza del processo attuale. Tuttavia, al tempo stesso, è indispensabile che vi sia uno sviluppo autonomo dei movimenti sociali e popolari, delle organizzazioni dei lavoratori e dei contadini che devono imprimere il loro marchio e discutere seriamente con il governo sul programma da portare avanti per approfondire la rivoluzione. E Chávez si dovrebbe legare a questi settori in modo diverso da quel che sta facendo in questo momento.

D.Quali compiti propone Marea Socialista per questa trasformazione?

R, – Non è solo Marea Socialista a proporre questi cambiamenti. La centrale operaia UNETE punta nella stessa direzione. Meno burocrazia, meno capitalismo e più socialismo, più misure anticapitaliste e più rapide, più misure antiburocratiche che implichino una maggiore trasformazione democratica, una maggiore partecipazioni nel prendere le decisioni. Il socialismo implica risolvere le attuali contraddizioni, poiché non abbiamo ancora smantellato il vecchio Stato e non l’abbiamo fatta finita con il sistema di sfruttamento. È questo che dobbiamo cambiare.

Bisognerebbe, ad esempio, smettere di continuare a pagare il debito estero corrotto generato dalla IV Repubblica. Il governo attuale denuncia il fatto che il debito estero è un meccanismo di sfruttamento e di sottomissione dei popoli agli interessi del capitalismo e dell’imperialismo, ma, malgrado tutto, continua a rimborsarlo puntualmente, mentre quelle somme potrebbero essere utilizzate per risolvere non pochi problemi sociali, ad esempio quello dell’alloggio. Invece, visto che vi è un’elevata rendita petrolifera, il governo continua a rimborsare il debito. Conservando questo tipo di rapporto con il capitale finanziario nazionale e internazionale si rende più difficile la soluzione complessiva dei problemi sociali. Si fanno progressi, si ottengono acquisizioni, ma non potremo realmente risolvere i problemi senza la vera rottura con il sistema capitalista.

D.Qualcuno ritiene che il processo bolivariano, anziché andare verso il Socialismo del XXI secolo, si orienti viceversa verso un compromesso con l’imperialismo…

R. – Se il Venezuela non prende le misure che consentono di approfondire la via al socialismo, con la partecipazione dei lavoratori alle decisioni economiche, allora la borghesia continuerà – benché per il momento non abbia il potere politico –  a sfruttare e a esercitare una pressione onde accelerare il processo attuale, in cui si vede che la burocrazia diventa una neoborghesia usurpatrice e parassitaria a partire dall’apparato di Stato.

O il processo rivoluzionario va avanti, o fallisce. Questo potrebbe tra l’altro colpire i tentativi di unità dei paesi latinoamericani, sia con l’ALBA o con altre forme di integrazione. Questi strumenti dovrebbero, d’altra parte, focalizzarsi ben più sull’unità dei popoli e non tanto sull’unità dei governi e degli Stati, che includa quei governi capitalisti che sono appoggiati politicamente dal Venezuela.

D.Come si valutano, fra i militanti del PSUV, i rapporti che il governo di Chávez intrattiene con l’Iran, la Cina, la Russia, ecc.?

R. – Bisogna saper distinguer le cose. Una cosa sono i rapporti e gli scambi commerciali di cui il nostro paese ha bisogno, e altra cosa è concedere ad alcuni governi di quei paesi un sostegno o un riconoscimento politico. Si possono avere rapporti economici con tutti i paesi, ma se in alcuni di essi c’è oppressione e repressione di settori in lotta, o esistono attentati ai diritti umani, non dobbiamo offrire loro un appoggio politico in cambio di questi rapporti economici.

Il governo Chávez si è spinto fino ad evocare la creazione di un fronte antimperialista e addirittura di una “V Internazionale” con i dirigenti di questi paesi, anche se per fortuna non si è andati oltre queste proclamazioni. Proporre la formazione di un fronte antimperialista è corretto, ma il problema che resta è che non si precisava quali forze dovessero farne parte. Non si precisava se si trattasse di un fronte mondiale al fine di far convergere le forze rivoluzionarie o di un fronte comprendente settori borghesi.

Un organismo che raccolga una serie di governi di paesi diversi per fare da contrappeso alla pressioni imperialiste, non è esattamente la stessa cosa  di un’organizzazione internazionale dei popoli e dei lavoratori in lotta contro il capitalismo internazionale e il suo sistema di dominazione mondiale.

Non è la stessa cosa, ovviamente, raggruppare le organizzazioni che mobilitano i lavoratori e i popoli, ad esempio nei paesi arabi, e creare un’alleanza con i governi che li opprimono.

La proposta di Chávez di una V Internazionale era dunque confusa. Alle prime riunioni preparatorie in Venezuela è stato invitato a partecipare il PRI messicano, un partito corrotto che ha oppresso per decenni la popolazione. Si voleva creare una V Internazionale con quel partito o con Cristina Kirchner in Argentina? Alla fine, la proposta è stata di fatto ritirata. L’unica sua utilità è stata quella di mettere all’ordine del giorno la necessità di un raggruppamento di forze che si oppongono all’imperialismo, ma, a tal fine, il contenuto era inadeguato e del resto non se parla assolutamente più.

D.Dal punto di vista della solidarietà rivoluzionaria e internazionalista, come spiegare il sostegno di Chávez, insieme a Castro e ad Ortega, a Gheddafi di fronte alla rivolte popolari in Libia?

R. – Fin dall’inizio, Marea Socialista ha dichiarato che la mobilitazione popolare in Libia fa parte integrante delle rivolte che scuotono tutti i paesi arabi e del Nord dell’Africa, che noi sosteniamo, malgrado tutte le loro contraddizioni e debolezze. Abbiamo manifestato energicamente contro l’intervento della NATO e dell’imperialismo sostenendo che i problemi della Libia dovessero essere risolti dai libici stessi, ma che questo non debba significare in alcun modo un qualsiasi sostegno al regime di Gheddafi. Quest’ultimo ha smesso da molti anni di svolgere un ruolo progressista e non si tratta più di un paese effettivamente indipendente, quali che siano gli indicatori sociali che si citano sulla Libia.

In questo senso, non crediamo che lo scoppio delle rivolte popolari in Libia sia stato frutto di una manipolazione della CIA e dell’imperialismo: crediamo che ad avviare queste rivolte siano state le masse popolari, esattamente come in altri paesi arabi. Naturalmente, sappiamo anche che dopo il loro inizio l’imperialismo ha cercato di intervenire su di esse al fine di incanalarle e di influenzarne i dirigenti. Nel caso della Libia, certi settori, accusati di subire questa influenza, cominciano ormai a protestare contro l’intervento della NATO perché quest’ultima non cerca davvero di sostenerli, bensì di assumere il controllo della protesta. Occorre capire che le direzioni rivoluzionarie non nascono automaticamente a partire dal momento in cui si producono processi rivoluzionari e che, in numerose occasioni, bisogna costruirle durante il processo stesso. E bisogna anche essere consapevoli che possono fallire rispetto al loro compito e degenerare.

D.Quale messaggio rivolgeresti ai giovani d’Europa che si interessano del processo bolivariano?

R. – Viaggiando in Europa, ho potuto osservare come sia enorme l’offensiva di distorsione dell’informazione sul Venezuela promossa dai mezzi di comunicazione di massa. Il nostro paese viene presentato come una dittatura, un regime militare, con grossolane qualificazioni contro il presidente. Ora, va sottolineato che il Venezuela sta vivendo un processo democratico. Che in Venezuela, finché i movimenti popolari saranno attivi, c’è una grande occasione che ci si apre davanti. Il Venezuela si scontra con l’imperialismo e resiste, ed è per questo che merita di essere sostenuto. Vogliamo continuare a portare avanti il nostro processo senza ingerenza esterna, né degli Stati Uniti, né dei paesi europei.

Bisogna, naturalmente, discutere sul cammino da seguire per il nostro processo rivoluzionario, ma questo è un altro problema. Le campagne mediatiche nei paesi imperialisti puntano esclusivamente a creare le condizioni favorevoli per ottenere l’appoggio delle rispettive popolazioni a misure che permettano – successivamente – di intervenire per influenzare negativamente il processo bolivariano.

Le probabilità di sviluppo della rivoluzione democratica dipendono attualmente dall’appoggio al nostro regime democratico. Occorre difendere la rivoluzione bolivariana e questo governo dalle ingerenze imperialiste, perché, pur non trattandosi di un governo dei lavoratori, non è però neanche un governo del capitale e dell’imperialismo.

Per questo, bisogna al tempo stesso sostenere tutto ciò che va nella direzione dell’approfondimento della rivoluzione in favore dei lavoratori e del popolo venezuelano. Come dice la parola d’ordine centrale delle mobilitazioni dell’UNETE: «Né burocrazia, né capitale! Socialismo e più rivoluzione!»

 

 

[L’intervista è stata fatta a Caracas il 6 aprile 2011, da Julio Gómez e Gustavo Acevedo, per la rivista spagnola “Viento Sur”. È stata poi ripresa da “Inprecor”, nn. 575-576, luglio settembre 2011. La traduzione è di Titti Pierini]

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Segnalo, indipendentemente dalla proposta fatta in automatico dal sito nei Related articles in base alle parole chiave, di cui spesso non comprendo la logica, che i testi a cui è più utile fare riferimento sono Lettera aperta a Chávez, Venezuela: la "ragion di Stato" e Il labirinto colombiano. Si veda anche: Cambiamenti in America Latina e Ripercussioni del caso Joaquín Pérez Becerra; sulla Libia: Chi libererà davvero la Libia? Precisazioni sulla Libia… Achcar sulla Libia