Le ossessioni di Losurdo

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Le ossessioni di Losurdo

Premessa

Qualche mese fa mi è stato chiesto dai compagni spagnoli della rivista Vientosur di sviluppare un mio vecchio articolo sul libro di Losurdo su Stalin, che loro avevano già tradotto, perché in Spagna quel libro era stato pubblicato e presentato molto favorevolmente da qualche recensione. La mia precedente rassegna, ammetto, dedicava più attenzione a una parziale ma interessante correzione di linea di Luciano Canfora, in un saggio pubblicato in appendice al volume, che allo stesso Losurdo. Per chi la volesse leggere, è riportata in appendice all’articolo Trotskij, Stalin e Canfora. Ho fatto del mio meglio, dopo una rilettura paziente del libro, che mi è costata parecchia fatica (francamente c’è di meglio da leggere), ed ecco il risultato. Riporto a parte la traduzione del mio articolo, Las obsesiones de Losurdo, che può essere utile per i compagni che, sempre più spesso, visitano il mio sito da paesi latinoamericani. (a.m. 8/10/11)

 

 

Avevo recensito forse un po’ troppo sbrigativamente lo Stalin di Domenico Losurdo, probabilmente perché attratto dalla novità di una parziale correzione di linea di Luciano Canfora nel saggio pubblicato in appendice. Certo avevo colto un elemento importante: Losurdo ignora completamente la immensa letteratura sovietica e russa sui Gulag (ignora Solzhenicyn e Salamov, Grossman e Rybakov, la Ginzburg e la Mandelstam e centinaia di altri che lo stalinismo l’hanno anche provato sulla loro pelle o su quella dei loro cari), ed è sempre partito per affrontare la presunta “leggenda nera” da quel che scriveva Stalin o un suo cortigiano, mettendolo poi a confronto con qualche frase – avulsa dal contesto – di un “denigratore”, possibilmente debole e poco attendibile. La principale fonte per le critiche a Stalin è il “Rapporto segreto” di Chrusciov al XX Congresso del PCUS, che Losurdo assimila spregiudicatamente a Trotskij e al movimento trotskista, ignorando che da questo era venuta subito una critica severissima alla metodologia usata. Ernest Mandel per esempio aveva sostenuto già nel 1956 quello che Losurdo presenta ora come una sua scoperta: Chrusciov concentrava tutte le responsabilità dello stalinismo su una persona sola, Stalin, esattamente per assolvere se stesso e tutto il gruppo dirigente dalla lunga complicità col tiranno. Aggiungo: il metodo di Chrusciov era praticamente quello di Stalin.

A volte però Losurdo cita anche passi di Trotskij, in genere fraintendendoli per scarsa attenzione alle vicende a cui si riferivano. Anzitutto non tiene conto che molto di quello che scriveva Trotskij non era di polemica contingente, ma puntava ad analizzare i processi profondi, per capire le trasformazioni dell’URSS. Così Losurdo contrappone i pochi accenni presenti ne La rivoluzione tradita al riaffiorare dell’antisemitismo (e non potevano essere che pochi, dato che il fenomeno si sarebbe sviluppato pienamente solo dopo la seconda guerra mondiale), a singole frasi di condanna rituale dell’antisemitismo da parte di Stalin, pronunciate molto prima che cominciasse a perseguitare i membri del Comitato Antifascista Ebraico, a commissionare i processi ai “medici assassini”, e a programmare la deportazione totale della popolazione di origine ebraica. Assurdamente arriva a dire che casomai è Trotskij ad essere antisemita, perché riferendosi alla Russia zarista descrive il ruolo della finanza ebraica. I sionisti più fanatici con questo metodo estendono la definizione allo stesso Marx…

Losurdo è talmente ossessionato dalla parola “tradimento”, che gli sembra l’essenza della critica di Trotskij (forse non sa che il titolo La rivoluzione tradita era stato scelto dal primo editore), che la ripete anche più volte in una pagina, per liquidare i critici di Stalin: ero stato tentato di contare quante volte l’avesse utilizzata, ma ho rinunciato; d’altra parte l’insistenza esagerata si nota a prima vista. Un’altra ossessione è quella per il “messianismo anarcoide”, che Losurdo vede dappertutto negli oppositori a Stalin, e che associa al “cosmopolitismo” e all’“universalismo astratto”, per battere il quale si appella alla Fenomenologia dello Spirito di Hegel, che conosce meglio di quanto conosca la storia dell’URSS.

Così trova naturale, come “autodifesa” di Stalin dal “terrorismo” che sarebbe stato nel programma dell’Opposizione di sinistra, la violenta repressione del modesto tentativo di inalberare dei cartelli contro la burocrazia durante i cortei per il decennale della rivoluzione. E analogamente, ignorando tutto delle regole democratiche in vigore nel partito bolscevico e mantenute formalmente anche dopo il X congresso che aveva soppresso il diritto di frazione pubblica, accetta la leggenda staliniana di una “tipografia clandestina”. In realtà era solo il tentativo dell’opposizione di riprodurre almeno al ciclostile il documento alternativo a quello della maggioranza, visto che non veniva stampato nelle tipografie del partito come era statutariamente previsto.

E quanto al pericolo di terrorismo, Losurdo lo vede confermato soprattutto da un mediocre pamphlet giovanile del giornalista fascista Curzio Malaparte, Tecnica del Colpo di Stato, e quindi interpreta il terrore staliniano come legittima risposta a un tentativo di "colpo di Stato delle opposizioni". È così grande l’ossessione per il pericolo di una guerra civile, che un accenno ai criteri classici di militanza, che comprendono anche la formazione militare, viene scambiato per la preparazione di un’insurrezione. Tra l’altro quell’accenno era stato fatto in un documento interno dell’Opposizione di sinistra, non dall’esilio come scrive Losurdo, ma prima, e quindi ancora dall’interno del partito e dell’Internazionale, in armonia con i criteri esistenti. Se Losurdo avesse letto davvero la biografia di Trotskij di Pierre Broué, che usa per estrapolare una frase dal contesto, saprebbe che per ben 7 anni, dal 1926 al 1933 l’Opposizione di sinistra russa e internazionale ha discusso a fondo sulla propria collocazione e che Trotskij aveva difeso tenacemente il rifiuto di accettare le espulsioni, rivendicando la reintegrazione nel partito, anche a costo di perdere una parte dei propri sostenitori.

La mancanza di conoscenze approfondite porta Losurdo a un uso scandaloso ma forse inconsapevole della terminologia staliniana: egli scrive che gli agenti di Trotskij “si insinuano dappertutto”, “si annidano” nell’esercito e perfino nella GPU, “si infiltrano” e cercano di “metter piede” ovunque. Losurdo non si rende neppure conto che la maggior parte dei presunti “infiltrati” sono semplicemente una parte importante del partito che ha fatto la rivoluzione d’Ottobre, e che casomai i veri infiltrati sono quelli che danno loro la caccia e li braccano, e che tra il 1925 e il 1928 cominciano ad espellerli. Sono spesso quelli arruolati in massa dopo la morte di Lenin, con la cosiddetta “Leva Lenin” che aveva raddoppiato il numero degli iscritti contrariamente alle indicazioni precise del leader morente, che aveva proposto di ridurlo drasticamente per escludere gli arrivisti accorsi in gran numero dopo la fine della guerra civile. I nuovi arrivati erano stati indottrinati al fideismo e all’ubbidienza cieca con i “brevi corsi” di “marxismo-leninismo”, e usati per aggredire fisicamente gli oppositori e togliere loro la parola. Un nome solo per caratterizzare questa generazione postrivoluzionaria: Andrej Januar’evič Vyšinskij, l’ex menscevico che negli anni Trenta diventerà l’implacabile accusatore nei processi che hanno sterminato la vecchia guardia bolscevica.

Losurdo si presenta abitualmente come devoto seguace di Gramsci, di cui usa qualche frase dei “Quaderni” per contrapporre l’internazionalismo di Stalin al “cosmopolitismo” di Trotskij, ma ha dimenticato la dura lettera di Gramsci al Comitato centrale del PCR, in cui nel 1926 denunciava l’esclusione di Trotskij, Zinov’ev, Kamenev e altri dagli organi dirigenti del partito, che preparava quella dal partito dell’anno successivo. La lettera fu bloccata da Togliatti insieme a Bucharin, e la sua esistenza fu nascosta anche ai comunisti italiani per decenni. Nella lettera, dopo un riconoscimento alla funzione avuta dal partito russo “in questi nove anni di storia mondiale”, come “elemento organizzatore e propulsore delle forze rivoluzionarie di tutti i paesi”, esclamava: “Ma voi oggi state distruggendo l’opera vostra, voi degradate e correte il rischio di annullare la funzione dirigente che il Partito comunista dell’URSS aveva conquistato per l’impulso di Lenin”. Già nel 1926 d’altra parte la reale possibilità di eleggere i dirigenti era stata sostituita largamente dalle cooptazioni, dalla nomina di fiduciari che rispondevano solo a chi li aveva nominati dall’alto e non ai militanti della struttura di partito che erano stati mandati a dirigere.

La scarsa conoscenza del contesto storico rende possibili diverse sviste e non pochi anacronismi: ad esempio trattando il caso Kirov Losurdo scambia per una giustificazione del terrorismo (e quindi per una conferma alla tesi che ha ricavato dal pamphlet di Malaparte) un’analisi di Trotskij che prende sul serio le spiegazioni ufficiali e si domanda se l’uccisione del dirigente di Leningrado corrisponde a una protesta individuale o riflette un atteggiamento di larghi settori della gioventù. Io non ho elementi per escludere come fa categoricamente Losurdo la fondatezza delle insinuazioni avanzate da Chrusciov nel rapporto segreto del 1956 e ribadite con le stesse parole nelle conclusioni del XXII congresso cinque anni dopo, né mi sembra molto importante: i crimini accertati di Stalin sono talmente grandi e numerosi, che potremmo anche togliergliene di dosso alcuni, senza che cambi nulla nel giudizio complessivo. Non so dove Losurdo abbia scovato un libro con una tesi assolutoria, ma anche se fossero coincidenze casuali le circostanze riportate da Chrusciov (ad esempio la morte repentina di tutti i testimoni, analogamente a quanto avvenne poi nel caso dell’assassinio di Kennedy), rimane il fatto inequivocabile che la morte di Kirov fu attribuita alle opposizioni e usata come pretesto per scatenare una repressione fino a quel momento senza precedenti, che nel giro di due o tre anni doveva colpire anche quei dirigenti che si erano piegati e avevano abbandonato l’opposizione. Ma è certo che Losurdo ignora che Kirov, dopo essere stato a lungo un fedele collaboratore di Stalin, era apparso nel XVII congresso del 1934 il punto di riferimento per una nuova potenziale opposizione maturata tra i quadri stalinisti preoccupati per il risultato catastrofico della collettivizzazione forzata, che aveva aggravato anziché risolvere la crisi alimentare delle città, e per il successo di Hitler, conseguenza diretta della tattica folle imposta da Stalin al partito comunista tedesco, che era stato costretto ad appoggiare i nazisti contro la socialdemocrazia nel referendum prussiano del 1932.

E peggio ancora scambia per avallo o incoraggiamento del terrorismo una considerazione di Trotskij sulle possibili motivazioni dell’uccisore di Kirov, sostanzialmente analoga a quella che Trotskij stesso e Lenin avevano fatto nel 1916 per commentare l’uccisione del primo ministro austriaco da parte del giovane segretario del partito socialista austriaco Fritz Adler. E non si accorge che per la mentalità del fondatore dell’Armata rossa, comune a un’intera generazione di rivoluzionari, nel 1934 era difficile perfino immaginare la logica perversa dell’NKVD. Già in esilio, Trotskij aveva per qualche tempo creduto che in alcuni processi a intere categorie (ingegneri, ecc.) ci fosse qualche esagerazione, ma a partire da dati reali. Non sospettava ancora la mostruosa capacità di inventare capi di imputazioni e “prove” assurde, che resterà poi una costante dell’URSS anche nel suo lento declino. Quando lo capirà, leggendo le incredibili confessioni estorte a vecchi compagni che aveva stimato, incanutirà di colpo.

Conoscendo poco del periodo dei primi anni della rivoluzione, Losurdo si scandalizza quando Trotskij (secondo lui malato come sempre di “messianismo anarcoide” e “universalismo astratto”…) sostiene che “la vera famiglia socialista, liberata dalla società dai pesanti e umilianti fardelli quotidiani, non avrà bisogno di nessuna regolamentazione”. Orrore, questo vuol dire che “a provocare la protesta e lo sdegno di Trotskij era già l’idea di una regolamentazione giuridica dei rapporti familiari”… A questo Losurdo contrappone la saggezza di Kaganovic che polemizza contro presunte tendenze estremiste che a suo dire avrebbero voluto “sopprimere qualsiasi spazio di convivenza comune tra marito e moglie”. Peccato che le cose stessero un po’ diversamente: la posizione di Trotskij si richiamava a quello che la rivoluzione aveva fatto nei primi anni, quando il potere dei soviet aveva riconosciuto che allo Stato non competeva l’intervento in questioni private come il matrimonio o il divorzio, e c’era stata una battaglia per liberare la donna da pesanti incombenze attraverso asili, lavanderie, mense comuni. La posizione di Kaganovic registrava invece il fallimento su questo terreno, e attraverso la nuova santificazione del matrimonio (tranne che per la burocrazia) scaricava sulla donna di nuovo il sovraccarico delle faccende domestiche. Lungi dall’essere dettata da faziosità polemica come immagina Losurdo parlando di “protesta e sdegno”, la posizione di Trotskij, riproposta nella Rivoluzione tradita, era il frutto di una lunga battaglia fatta quando era ancora al vertice del potere, attraverso articoli apparsi sulla stampa ufficiale, raccolti poi in un prezioso volumetto su Rivoluzione e vita quotidiana. Trotskij si preoccupava sia delle infrastrutture comunitarie che avrebbero dovuto ridurre il peso dei compiti domestici, sia della battaglia contro le resistenze maschilistiche e patriarcali di tanti compagni, come farà decenni dopo anche Guevara.

Ma dove Losurdo rivela maggiormente i limiti della sua conoscenza storica, è nell’attribuzione a Trotskij e a tutta l’opposizione di una visione meschina, che li avrebbe portati a “gridare alla degenerazione della Russia sovietica a causa della persistenza dell’economia privata nelle campagne e nella collaborazione di classe dei comunisti coi contadini”. Una calunnia derivata dalle estremizzazioni del Bucharin più faziosamente schierato con Stalin contro l’Opposizione, ma del tutto priva di fondamento. Trotskij non solo aveva accettato la NEP, ma l’aveva proposta con un anno di anticipo, in base alla sua esperienza della situazione dei contadini nell’ultima fase della guerra civile. Quando due anni dopo l’Opposizione si allarmò per le differenziazioni sociali prodotte dalla NEP, e dalla formazione di uno strato sociale che tendeva alla restaurazione del capitalismo e affamava le città e gli stessi contadini poveri, la soluzione proposta non era la fine della collaborazione con i contadini, ma al contrario il suo rafforzamento attraverso l’orientamento dell’industria leggera verso il soddisfacimento dei bisogni delle campagne, per creare un interesse materiale dei contadini poveri all’entrata spontanea nelle cooperative.

È anche fastidioso sentir presentare il dibattito successivo alla morte di Lenin come ispirato da una lotta per il potere, e da ambizioni personali, mentre tutti gli storici rigorosi, a partire dal Carr, da Deutscher e Broué, hanno cercato casomai di capire perché Trotskij aveva rinunciato a dare alcune delle battaglie ancora possibili, probabilmente sdegnato proprio per il livello squallido delle polemiche da parte della cricca raccoltasi intorno a Stalin. Losurdo è ossessionato dall’idea che ci sia una specularità tra i due dirigenti: in realtà quando cominciano i grandi processi Trotskij in una lettera dice che se Stalin all’inizio della sua battaglia per il socialismo in un paese solo si fosse reso conto di cosa avrebbe dovuto fare per difendere quella scelta sbagliata, probabilmente si sarebbe sparato. Lungi dal demonizzare Stalin, cercava di capirne la logica, e non dimenticava che era stato un rivoluzionario. Per Stalin invece la denigrazione anche retroattiva di Trotskij e di tutti gli avversari raggiunge livelli inimmaginabili. D’altra parte già all’inizio dello scontro, anche se non era apparso ancora l’antisemitismo dei suoi ultimi anni, Stalin non esitava a titillare i bassi sentimenti delle masse più arretrate sottolineando la “non casualità” dell’origine non russa (cioè ebraica) della maggior parte dei leader dell’Opposizione di Sinistra… Ma su questo ritornerò.

Non mi soffermo sulle sviste minori di Losurdo, come quella su Kronstadt, che rivela la solita volontà di assoluzione per Stalin (che in realtà nel 1921 era ancora assolutamente marginale e non ebbe nessun ruolo in quella tragedia), e raccoglie sia pure in forma indiretta l’attribuzione al “gendarme”, anzi al “maresciallo Trotskij” della responsabilità diretta e principale nella repressione, a cui invece non partecipò. Dato che Losurdo crede che la denuncia di Trotskij si riducesse in sostanza all’accusa di tradimento, vede come una nemesi storica che gli insorti di Kronstadt gli rivolgessero quella stessa accusa.

Un caso clamoroso di anacronismo da scarsa conoscenza della Russia sovietica prestaliniana (a cui avrebbe fatto bene qualche lettura del Carr, o di Victor Serge) riguarda il ruolo di Yakov Blumkin, che nel 1918, da giovane social rivoluzionario di sinistra partecipò all’uccisione dell’ambasciatore tedesco Wilhelm von Mirbach, fu condannato a morte, ma scampò all’esecuzione e fu poi come tanti altri in quegli anni perdonato, ricominciando a lavorare nella CECA una volta scongiurato il pericolo della ripresa della guerra con la Germania. Losurdo non immagina che il dato che riporta è semplicemente la prova del fatto che nei primi anni della rivoluzione militanti di altre tendenze del movimento operaio avessero pieno diritto di cittadinanza nei soviet e persino nella CECA. Egli commenta: “Agli occhi delle autorità sovietiche non poteva che essere un provocatore”; quando nel 1929 Blumkin si incontra con Trotskij a Prinkipo, appena rientrato a Mosca viene fucilato (con stupore dei sovietici, dato che fino a quel momento la repressione aveva colpito solo chi si schierava contro i soviet). Ma per Losurdo è logico, e anzi insinua che Trotskij avrebbe avuto qualche affinità con il giovane attentatore del 1918, dato che entrambi pensavano a un “colpo di frusta” per risvegliare la Russia; la prova poi è che Blomkin partecipò alla “cospirazione diretta da Trotskij”, ossia ai “tentativi dell’opposizione di prendere il potere”…

La riprova ulteriore sarebbe un articolo di Trotskij sull’Ucraina , in cui si dichiarava favorevole alla sua indipendenza. Losurdo non sospetta neppure che il diritto all’autodeterminazione dell’Ucraina era stato ribadito nel 1917 non solo da Trotskij ma anche da Lenin, che si indignava con l’ipocrisia dei menscevichi che proponevano mozioni per l’indipendenza dell’Irlanda e dell’India: “La nostra India o Irlanda sono l’Ucraina e la Finlandia”, diceva Lenin, prima e dopo la presa del potere. Invece, per Losurdo, Trotskij finiva in questo modo per portare acqua ai progetti di Hitler…

Il problema è il metodo di Losurdo, che è l’opposto di quello di uno storico rigoroso: ha trovato delle citazioni di Trotskij in qualche pamphlet accusatorio, e le riporta senza conoscere il contesto. E considera come massima autorità (credendolo “antistaliniano”…) Dimitrij Volkogonov, che è stato uno “storico ufficiale” quando Breznev tentava la riabilitazione di Stalin, poi con Andropov, Cernenko, Gorbaciov, Eltsin e Putin… Uno “storico” che per anni aveva presentato Trotskij come un traditore filo imperialista, ma nell’ultima fase, essendo cambiato un po’ il vento, ha cominciato a descriverlo come un pericoloso avventurista: l’importante era renderlo esecrabile e scoraggiarne comunque la lettura…

Con simili consulenti, è logico che Losurdo accetti la favole di una guerra di Finlandia dovuta al rifiuto di questo paese di accettare “uno scambio consensuale di territori” proposto dall’URSS, e metta in rapporto la vicenda con una vergognosa giustificazione di Katyn: in quel clima “come avrebbero reagito gli ufficiali polacchi dopo lo smembramento della Polonia?”, si domanda Losurdo (senza domandarsi anche perché questo smembramento era stato concordato con Hitler, e ignorando naturalmente che Stalin non lo aveva subito, ma si era espresso più volte contro la sopravvivenza dello Stato polacco). Della Finlandia sarebbe stato meglio ricordare che il presunto “tentativo di scambi di territori” era avvenuto portando al seguito dell’Armata rossa un governo provvisorio presieduto da Otto Kuusinen, come era stato fatto anche – con miglior successo, almeno per il momento – nei paesi baltici e negli altri territori barattati con Hitler. La evidente difficoltà dell’Armata rossa in Finlandia (fu necessario impegnare alla fine 1.200.000 uomini, più o meno l’equivalente dell’intera popolazione finlandese maschile adulta in quel periodo) fu proprio l’elemento che incoraggiò Hitler a sferrare l’attacco prima del previsto.

Invece Losurdo usa più volte l’esistenza della Germania nazista come spiegazione e giustificazione di molte decisioni di Stalin: ad esempio lo sterminio dell’élite militare dell’Armata rossa nel 1937-1938. E per giustificare il processo a Tuchacewskij e agli altri quadri militari si aggrappa a un apprezzamento di Churchill, sorvolando sulla catastrofe militare del primo anno di guerra, quando per impreparazione e mancanza di ufficiali sperimentati (alcuni erano passati al grado superiore anche tre volte in un anno, per colmare i vuoti creati dalle purghe) morirono o caddero prigionieri dei nazisti milioni di russi, civili e militari rimasti senza ordini utili. Egli si aggrappa a varie testimonianze per rifiutare gli accenni negativi del “Rapporto segreto” al disorientamento dei primi giorni dopo l’invasione. Come se non fosse stato descritto in tanta memorialistica non apologetica.

A Losurdo appare faziosità inammissibile la lucida analisi di Trotskij sulla fatale corsa all’intesa con Hitler dopo la conferenza di Monaco. Trotskij aveva previsto che dopo aver sacrificato la rivoluzione spagnola per compiacere l’imperialismo franco-britannico, Stalin si sarebbe illuso di ottenere una lunga tregua da un accordo con la Germania. Ma invece di rafforzare l’URSS, quell’accordo la indebolì perché portò entro i suoi confini popoli che non avevano conosciuto la rivoluzione d’ottobre, e che dopo una breve esperienza della brutalità della repressione (che colpì non solo poche decine di migliaia di ufficiali a Katyn, ma molte centinaia di migliaia di cittadini della Polonia orientale e dei paesi baltici), fornirono non pochi collaborazionisti alle truppe naziste. Quello che sfugge a Losurdo è che per Stalin pur di ritardare la guerra era logico tentare qualsiasi alleanza, non solo illudendosi sulla sua durata e solidità, ma soprattutto senza il minimo criterio morale, e senza tener conto delle ripercussioni delle sue scelte: il patto Ribbentrop-Molotov provocò in tutti i partiti comunisti gravi disorientamenti, e ne indebolì ulteriormente le forze, creando le premesse per le ripetute crisi del dopoguerra in Ungheria e soprattutto in Polonia dove alla vigilia della spartizione il partito comunista era stato semplicemente soppresso, e con una motivazione oltraggiosa. Il prezzo pagato dopo la tardiva ricostituzione del partito fu la sua estraneità al potente movimento di resistenza antinazista.

L’antisemitismo di Stalin

La preoccupazione principale di Losurdo è smentire categoricamente che avesse un minimo fondamento l’accusa di antisemitismo rivolta a Stalin. Oltre a ricordare le simpatie per il nazismo di Churchill e di tanti esponenti degli Stati Uniti (vere, anche se non si capisce che c’entrino), oltre al fatto che è singolare che a volte le denunci e a volte invece apprezzi i riconoscimenti fatti a Stalin dalle stesse persone, Losurdo usa altre argomentazioni molto contraddittorie. Per esempio riporta molte testimonianze (anche queste vere) sul ruolo di Stalin e dell’URSS nell’appoggio militare e nelle forniture dirette o tramite Polonia, Jugoslavia e Cecoslovacchia ai sionisti tra il 1945 e il 1949, riprese da un libro molto interessante di un russo, Leonid Mlečin, dal titolo significativo: Perché Stalin creò Israele (Sandro Teti, Roma, 2010). Riporta la ragione di fondo di questa scelta, che era quella di contrastare l’imperialismo britannico, ma omette le scandalose citazioni di frasi ostili ai palestinesi e agli arabi in generale, al limite del razzismo. E non coglie affatto che questo appoggio non escludeva il fastidio per ogni forma di tutela della cultura ebraica e anche yiddish sul territorio sovietico, e che già nel 1948 fu ucciso senza processo con un finto incidente d’auto il principale animatore del Comitato Ebraico Antifascista, Solomon Michoels, mentre altri esponenti furono processati e condannati a morte poco dopo. A Domenico Losurdo preme ossessivamente ribadire che nulla accomunava Stalin a Hitler, e potremmo concordare (anche se è noto che i due avevano avuto in molti momenti un’ammirazione reciproca) dato che le loro motivazioni erano diverse. In Stalin non c’era una particolare giudeofobia, ma semplicemente una concezione che attribuiva a un’intera popolazione le colpe vere e più spesso presunte di alcuni. Non mi pare tuttavia che la differenza rispetto all’antisemitismo classico la renda più accettabile. L’ostilità crescente verso gli ebrei russi, per reazione al fallimento della sua illusione di usare lo Stato d’Israele contro la Gran Bretagna e gli USA, non era diversa da quella verso ceceni, calmucchi, tatari di Crimea, tedeschi del Volga e tutte le altre popolazioni colpite da terribili punizioni collettive, come la deportazione in condizioni di provocare la morte dei più deboli, a volte quasi la metà di chi era stato strappato alla sua terra.

Conoscendo poco dell’URSS, Losurdo porta come prova una dichiarazione di Ilja Ehrenburg in cui propone l’assimilazione degli ebrei, che devono “essere lasciati in pace” e che “tutti i tentativi di indurli al sionismo e al rimpatrio vanno fatti cessare”, ma senza sospettare che era rivolta anche contro il progetto staliniano di spostare gli ebrei sovietici nel lontano Birobijan o nella Crimea in cui la deportazione dei tatari aveva creato spazio. Il processo ai medici, su cui è stato scritto moltissimo, non sembra a Losurdo riconducibile a un pregiudizio etnico, perché nella lista degli assassini in “camice bianco” c’era anche, come al solito, qualche non ebreo. Ed erano gli anni in cui gli arresti e le torture per far confessare un “complotto sionista” investivano perfino la moglie ebrea di Molotov, anch’essa ministro. Ed erano gli anni in cui fu prima ripetutamente massacrata dalla censura preventiva, poi ritardata e infine bloccata la pubblicazione di una straordinaria documentazione sul “genocidio nazista nei territori sovietici”, che era stata raccolta dal Comitato Ebraico Antifascista su proposta di Albert Einstein, e curata da Il’ja Ehrenburg e Vasilij Grossman. Solo negli anni Novanta fu ritrovata prima la bozza censurata, poi il dattiloscritto originale negli archivi dei servizi segreti sovietici, pubblicato in italiano col titolo di Libro nero. Il genocidio nazista nei territori sovietici. 1941-1945, Mondadori, Milano, 1999. La non pubblicazione si doveva alla volontà di “russificare” la “Grande Guerra Patriottica”: tra l’altro in quegli anni non si voleva ammettere la partecipazione di altri gruppi etnici alla resistenza e si cancellarono o modificarono i nomi degli appartenenti ai “popoli puniti” perfino sui monumenti che ne dovevano ricordare il sacrificio.

Losurdo cita (sia pure solo per estrapolarne una “ammissione” alla sua tesi innocentista) un libro che ricostruisce quel terribile periodo finale della vita di Stalin (Louis Rapoport, La guerra di Stalin contro gli ebrei, Rizzoli, Milano, 1991), ma dice che il titolo del libro è meno convincente della dichiarazione di Stalin, che denunciava la “guerra dei sionisti contro l’Unione sovietica”… In ogni caso Losurdo non l’ha usato per capire quel periodo, e la ragione che ha portato la grande maggioranza degli ebrei sovietici, per anni schierati in difesa della rivoluzione, a voler lasciare il paese. Egli respinge ad esempio ogni caratterizzazione antisemita del processo a Rudolf Slánsky (ampiamente documentata da Arthur London e nel prezioso libro di Karel Kaplan, Relazione sull’assassinio del segretario generale, Valerio Levi, Roma, 1987) basandosi su due incredibili testimonianze: quella della stessa figlia dell’ex segretario del PCC costretta a testimoniare – come spesso accadeva nei “processi spettacolo” – contro il padre, che avrebbe “favorito l’emigrazione in Israele”, e quella dello stalinista francese Duclos che assicurava che in Cecoslovacchia il processo colpiva “giustamente” dei “traditori sionisti al servizio della politica di guerra di Washington”. Losurdo si compiace anche che in Romania Ana Pauker se la sia cavata con pochi mesi di carcere, pur essendo incolpata di “non aver impedito il flusso degli ebrei romeni verso Israele”: ma non dice che era stata salvata dalla tempestiva morte di Stalin, a cui seguì immediatamente la liberazione dei medici e la sconfessione del loro processo come una montatura, e la fine a catena dei processi analoghi avviati in tutti i paesi dell’area.

Come molti filosofi della storia, Losurdo non si preoccupa molto della ricostruzione delle concrete vicende storiche su cui filosofeggia. In un altro suo libro recente, Il peccato originale del Novecento, parla ad esempio di una “rivoluzione dall’alto” di Stalin proiettata verso le regioni asiatiche. Il “fardello dell’uomo bianco assume ora una peculiare configurazione con la città russa impegnata a esportare con la forza delle armi la civiltà (socialista) nelle campagne asiatiche”. Che assurdità! Come può un marxista parlare di “rivoluzione dall’alto”? Il termine è stato usato abbondantemente (persino dallo Shah) ma nessuna vera rivoluzione è mai nata per decisione esterna, e meno che mai “dall’alto”. Anziché dai fatti, egli giudica Stalin per i suoi discorsi, che non avevano quasi nessun rapporto con quel che si stava facendo: potevano ad esempio biasimare gli esecutori della collettivizzazione forzata decisa da lui, parlando di “vertigine del successo che ci ha dato alla testa”, per riprendere pochi mesi dopo la stessa politica in forma ancor più insensata (provocando milioni e milioni di morti e lasciando un’eredità ineliminabile di sfacelo nelle campagne di cui la Russia paga il prezzo ancor oggi). Stalin poteva far scrivere a Bucharin la “Costituzione più democratica del mondo” (non era neppure vero, ma in tanti lo ripetono ancora oggi) proprio mentre preparava il grande Terrore (e Bucharin sapeva bene di essere già incamminato verso il patibolo).

Losurdo raggiunge risultati di un macabro umorismo quando accenna a un episodio effettivamente riportato anche da Pasternak (da cui trae la citazione) e da molti altri, ma che aveva ben altro significato. Egli scrive infatti che, “con lo scoppio della guerra, ai detenuti si offre persino la possibilità di una mobilità e promozione sociale”, giacché “molti deportati chiesero di arruolarsi volontari”, e altri, “specie gli ufficiali e i quadri tecnici sopravvissuti, furono liberati e reintegrati nei ranghi”. Altro che promozione sociale, si trattava invece soltanto di un’impressionante ammissione: evidentemente Stalin e gli altri dirigenti sovietici sapevano tanto bene che i condannati come “nemici del potere sovietico” non lo erano affatto, che in caso di necessità potevano affidargli le armi per difenderlo. E la necessità c’era: l’episodio si verificò alla fine del 1941, quando la folle impreparazione che era la conseguenza delle illusioni staliniane sulla durata dell’alleanza con Hitler portò alla catastrofe dei primi mesi di guerra: il fronte occidentale, dove tra morti e prigionieri le perdite si contavano a milioni, chiedeva ogni giorno rinforzi dal fronte orientale, che fu sguarnito oltre ogni logica. Alla fine i generali che comandavano le truppe siberiane, e che temevano un possibile attacco giapponese, chiesero di poter rimpiazzare gli uomini inviati sul fronte occidentale reclutando alcune divisioni tra i “nemici del popolo”. Gli fu concesso, a riprova appunto del fatto che tutti conoscevano la falsità delle accuse che avevano riempito i campi. Ma ci sembra incredibile che oggi si parli di “mobilità e promozione sociale” per i sopravvissuti che ottenevano di poter combattere per salvare lo Stato sovietico, dopo che Stalin li aveva gettati nel “tritacarne”, magari con l’accusa di “calunnie antitedesche”, come accadde a molti ufficiali nel periodo dell’idillio con Hitler. Su cui Losurdo sorvola, dato che è difficile spiegare in termini di necessaria difesa la consegna a Hitler di duemila comunisti tedeschi e austriaci, in gran parte ebrei, nel 1940.

Per ricostruire un periodo storico Losurdo si basa solo su quel che dice di sé il gruppo dirigente (con questo criterio, tra cinquant’anni, leggendo Berlusconi, si potrebbe concludere che in Italia per decenni c’è stato un regime comunista…). Losurdo cita tranquillizzato una delle tante dichiarazioni fatte per la stampa estera da Stalin, che sosteneva che “sarebbe ridicolo identificare la cricca hitleriana col popolo tedesco”. Che bello! Che internazionalismo esemplare! Peccato che per tutta la durata della “Grande Guerra Patriottica” non solo in URSS ma sulla stampa “comunista” di tutto il mondo, compresa la rivista teorica del PCI “Rinascita”, si pubblicavano articoli che stravolgevano citazioni di Marx ed Engels per condannare la “barbarie prussiana e germanica”. Peccato che all’Armata Rossa era stata data licenza di stupro e di rapina in Germania e anche in Ungheria. Peccato che milioni di tedeschi di ogni età e condizione sociale alla fine della guerra sono stati espulsi dai Sudeti e dalle regioni annesse all’URSS e alla Polonia. Per Losurdo questi fatti contano meno delle dichiarazioni propagandistiche del grande mentitore o dei non casuali elogi di Stalin fatti da anticomunisti come Churchill o De Gasperi.

D’altra parte nell’uso delle abbondanti citazioni di Stalin, si capisce che a Losurdo sfugge la necessità di tener conto di una periodizzazione della storia sovietica, oltre che dello stesso Stalin, che ha mutato toni ed argomentazioni più volte anche quando il suo potere, dopo il grande terrore, è diventato assoluto. Ad esempio ancora nella seconda metà degli anni Venti e fino alla cesura del 1934 (l’assassinio di Kirov) gli oppositori sono stati discriminati, allontanati dagli incarichi, privati del diritto di parola, ma non uccisi. E anche dopo i primi processi di Mosca, il ritmo delle esecuzioni cresce abbastanza lentamente, fino alla sostituzione di Jagoda con Ežov nel 1937, quando ci sarà un vero e proprio salto qualitativo. Un libro recente di Nicolas Werth, L’ivrogne et la marchande de fleurs, Paris, Tallandier, 2009 (traduzione italiana: Nemici del popolo. Autopsia di un assassinio di massa. URSS 1937-1938, Il Mulino, Bologna 2011) documenta chiaramente il grande balzo della repressione in quel biennio, molto più ampio di quella più nota che aveva colpito le élites politiche attraverso i processi spettacolo. In soli due anni si arrivò a circa un milione e mezzo di arresti, di cui la metà con sbrigative condanne alla pena capitale: si colpirono strati larghissimi della popolazione sostanzialmente estranei a ogni lotta politica contro il regime, scelti con i più diversi criteri, spesso pseudo etnici: ad esempio i “tedeschi” a volte erano cittadini sovietici di lontana origine tedesca, o prigionieri di guerra tedeschi rimasti in Russia per simpatia, o addirittura esuli politici dalla Germania o dall’Austria; i “polacchi”, che pagarono il prezzo più alto, erano inizialmente scelti tra gli ex prigionieri polacchi rimasti volontariamente in URSS, gli esiliati politici, rifugiati ed immigrati, vecchi membri dell’ex partito socialista polacco, tutti i presunti “nazionalisti” delle regioni in cui c’era una forte comunità. Gli stessi criteri furono usati per colpire i lettoni (che pure erano stati un pilastro dei bolscevichi durante la rivoluzione d’Ottobre ed erano rifugiati in URSS per le persecuzioni anticomuniste nel loro paese), i finnici, i bielorussi, gli ucraini, sempre sospettati di legami con gli appartenenti allo stesso gruppo etnico fuori dei confini, e accusati di aver costruito complotti e organizzazioni militari.

Stalin in un discorso durante il ricevimento per il ventesimo anniversario della rivoluzione aveva detto: “Elimineremo tutti i nemici dello Stato e dei popoli dell’URSS; elimineremo loro ma anche la loro famiglia e la loro stirpe. Alzo il mio calice allo sterminio finale di tutti i nemici e di tutta la loro stirpe (rod)”. Losurdo si affanna a negare ogni accusa di antisemitismo nei confronti di Stalin, ma dovrebbe riflettere su questi dati: gli arresti anche se non riguardano in quel momento gli ebrei sono ugualmente determinati da un’appartenenza etnica. Tra l’altro alcuni ebrei marxisti hanno preferito evitare il termine antisemitismo anche per la Shoah, preferendo parlare di “etnismo essenzialista”, cioè dell’attribuzione di caratteristiche negative a una determinata etnia per colpirla. Ovviamente il termine può così essere usato anche per le persecuzioni dei ceceni, degli hutu o dei rom, rifiutando la pretesa dei sionisti di presentare gli ebrei come gli unici perseguitati nella storia.

Dopo il grande terrore ci sarà una tregua momentanea, e la guerra porterà poi una vera svolta, con una forte utilizzazione del nazionalismo panrusso, la mobilitazione della gerarchia della chiesa ortodossa, e anche di mullah e rabbini, ma soprattutto una notevole diminuzione della repressione. Era il pericolo estremo a imporla, a dimostrazione che il terrore indiscriminato non rafforzava lo Stato ma ne rivelava la debolezza. Poi a guerra finita si torna indietro, e questo spiega la persecuzione delle élites ebraiche, che cresce e si spezza solo con la morte del “Capo”, ma anche l’orribile sorte riservata a milioni di soldati caduti prigionieri dei nazisti, e che saranno spostati da un lager tedesco al Gulag, dove saranno spesso protagonisti delle grandi rivolte del 1953.

Le ragioni dell’involuzione staliniana

Losurdo ha una visione edulcorata della storia dell’URSS, ma non può negare però che qualcosa sia andato storto. Perché è successo? Una spiegazione ce l’ha, anche se è ben poco utile. Usa infatti molte volte il concetto di “Dialettica di Saturno”, che non spiega nulla e in pratica equivale a dire fatalisticamente che “la rivoluzione divora i suoi figli”. Perché lo farebbe? Lo fa sempre inevitabilmente? O lo ha fatto solo, dopo una lunga involuzione, l’URSS, che poi ha trasmesso il male ai paesi che ne hanno riprodotto il modello? E chi divora e chi è divorato? Sono i principali dirigenti della rivoluzione a prendere l’iniziativa dello sterminio degli avversari, o gli elementi che inizialmente erano marginali? Anche questo varrebbe la pena di capire. E quanti vengono divorati? Se sono la maggior parte dei protagonisti della prima più difficile fase della rivoluzione dovrebbe significare qualcosa.

A Losurdo sfugge che c’è stata una cesura profonda non solo nella storia dell’URSS, ma anche in quella del “comunismo” mondiale. Lo sterminio della quasi totalità della dirigenza della rivoluzione russa non vuol dire nulla? Si badi che le vittime non erano due o tre ma 18 su 31 membri del comitato centrale nel periodo 1917-1921, e 8 su 10 membri del Politbjuro. Anche negli anni successivi alla vittoria di Stalin sulle opposizioni, la strage dei quadri raggiunse percentuali inimmaginabili (ad esempio furono uccisi il 70% dei delegati e dei membri del CC eletti al XVII congresso del PCUS del 1934, il cosiddetto “congresso dei vincitori”, dato che le opposizioni erano state sconfitte, esiliate, deportate). Alcuni ripetono ancora il detto: “quando si taglia un bosco, volano le schegge”, ma c’erano ben più che schegge! E non ci sono solo i morti, c’è lo snaturamento del partito, che non è più un centro vivo di discussione e di iniziativa politica, ma una caserma: l’allarme di Gramsci nel 1926 a quanto pare continua ad essere ignorato e rimosso. I compagni come Losurdo si indignano certo, se e quando ci pensano, per i milioni di morti della repressione staliniana, ma oltre a tentare di ridurne il numero, non ne comprendono il significato: in quegli anni c’è stata una vera e propria controrivoluzione. Non è stata la rivoluzione (“Saturno”) a divorare i suoi figli, ma è la controrivoluzione che si è vendicata per la sua sconfitta iniziale, purtroppo non definitiva. Come aveva previsto il vecchio Marx, una rivoluzione che si ferma, finirà per vedere riaffiorare la “vecchia merda”…

10/6/2011

Antonio Moscato