Le reticenze del papa sulla guerra

Quanta ipocrisia negli elogi alla visita del papa ai cimiteri della prima guerra mondiale! I giornalisti che hanno sempre giustificato senza pudore tutte le imprese imperialiste degli ultimi decenni, si sono commossi di fronte al gesto del papa di cominciare la visita dal cimitero austroungarico, ovviamente ignorando l’appello di 11 sacerdoti perché, oltre ai caduti dei due eserciti, fossero ricordati i soldati bollati come disertori e fucilati alla schiena perché non volevano uccidere ed essere uccisi. Tantissimi, molti di più di quelle migliaia che ebbero almeno un frettoloso simulacro di processo: già prima di Caporetto molti furono abbattuti sul campo di battaglia dai carabinieri (che avevano proprio questa specifica e poco benemerita funzione) o dai loro stessi ufficiali, per rendere impossibile la ritirata da un assalto inutile a trincee imprendibili.

Certo, i sacerdoti che hanno scritto la lettera sono pochi. Per molti è un argomento valido per non ascoltarli. Le minoranze, secondo il buon senso comune, avrebbero sempre torto. Per giunta pochi li conoscono: il nome più noto è quello di Albino Bizzotto (presidente di “Beati i costruttori di pace”), che fu insieme al vescovo di Molfetta Tonino Bello o quello di Ivrea Luigi Bettazzi tra i promotori di quella crociata di interposizione a mani nude che raggiunse Sarajevo in piena guerra. Ma la virtù o il crimine non dovrebbero essere valutati in base al numero dei seguaci…

Il papa ha così fatto bei discorsi retorici senza implicazioni pratiche, parlando di “terza guerra mondiale a pezzi”, e denunciando i “mercanti di armi” come responsabili delle guerre. Lo aveva già fatto, anche se limitando assurdamente l’accusa al “commercio illegale di armi”, che è insignificante rispetto a quello che viene legalizzato da una decisione di un governo. E lasciamo da parte i governi apertamente non democratici, come quelli di Egitto o Siria, Russia o Ucraina, o la quasi totalità degli Stati membri dell’ONU: anche in un paese formalmente democratico come l’Italia, è discutibile il diritto a parlare in nome di tutto un popolo di chi ha avuto, in una competizione elettorale che non aveva al centro nessuna delle grandi questioni della guerra e della pace, un 42% dei voti espressi da quella metà dell’elettorato che ha votato, e quindi rappresenta realmente poco più del 20% dei cittadini. Eppure in nome di quella presunta maggioranza, assicurata in parlamento da una legge truffaldina e anticostituzionale, si spendono miliardi per armi offensive come le portaerei e i cacciabombardieri, e per spedizioni in terre lontane di cui il 90% degli italiani ignora perfino l’esistenza e l’ubicazione.

Comunque la denuncia del male senza indicare come combatterlo è inutile e a volte anche dannosa, se serve solo a far ottenere credito e fiducia acritica. Quegli umili sacerdoti, ispirati non solo dal vangelo ma anche dalla coraggiosa denuncia di don Milani nei confronti dell’istituzione stessa dei cappellani militari (che non solo benedicono le armi assassine e ne esaltano il successo, ma hanno la funzione di tranquillanti per i soldati credenti in crisi di coscienza), non sono stati ascoltati. Non mi sorprende, conoscendo bene la storia della chiesa e del papato, ma dovrebbero rifletterci tutti quelli che hanno abboccato all’esaltazione quasi unanime dei media per il nuovo papa “impegnato per la pace”. Allego alla fine l’articolo di Luca Kocci che ha segnalato la vicenda sul manifesto di ieri.

Ma vorrei segnalare un’altra manifestazione di ipocrisia: la visita del papa nelle zone in cui fu combattuta la guerra mondiale non solo è stata gestita militarmente dai cappellani (che hanno gradi e retribuzioni di ufficiali in rapporto ai loro compiti), ma ha visto presenti molte autorità dello Stato, impegnate a dare al centenario della Grande Guerra un’impostazione che impedisca di ricavarne la minima lezione. Era presente naturalmente anche il ministro della “Difesa” Roberta Pinotti, che sarebbe poi volata a Grottaglie per accogliere il “nostro eroe” Massimiliano Latorre di ritorno dall’India e per promettere da quell’aeroporto un maggiore impegno per una soluzione che assicuri definitivamente l’immunità (meglio sarebbe stato dire impunità…) ai due militari e a tutti quelli che fanno il loro mestiere.

È lecita una domanda: quanto si è speso in voli tra Italia e India, per contrattare i migliori avvocati indiani e italiani, per tacitare le famiglie delle vittime, per fare una sistematica campagna propagandistica sui due? Una campagna stampa che è partita da una menzogna infinite volte ripetuta sulla nave che sarebbe stata in acque internazionali (se fosse stato vero, il capitano della nave doveva essere processato per aver accettato di far sbarcare i due sparatori), ha cercato di depistare inventando altri inesistenti attacchi di pirati in quelle acque, e ha proseguito minimizzando la causa principale: gli appartenenti ai corpi speciali (Folgore, Tuscania, ed altri, tra cui la San Marco a cui appartenevano i due marò) sono galvanizzati con una retorica che rivendica le imprese delle guerre fasciste. E che porta quasi fatalmente a episodi come questi e alla necessità di assicurare, appunto, impunità a chi finisce nei guai per qualche “bravata”.

Detto per inciso, avendo accennato agli stipendi da ufficiali per i cappellani militari, vorrei ricordare che alla prima blanda protesta dei corpi di polizia il governo Renzi-Alfano-Pinotti ha risposto subito assicurando che il blocco alla rivalutazione degli stipendi ci sarà per tutti gli statali con funzioni sociali utili, ma non per quelli dei cinque corpi di polizia. Salvo sgridare un po’ le loro associazioni per il metodo dei “veti inammissibili”, cioè per aver dichiarato di essere disposti allo sciopero. Imparassero un po’ dai poliziotti quei sindacati che continuano a pretendere di rappresentare i lavoratori, compresi quelli del pubblico impiego: invece di fare a gara a chi fa prima o dopo una gita a Roma per una inutile parata, o di accettare come fa Landini le lusinghe a buon mercato di Renzi, pensassero a ricominciare un itinerario che porti a un vero e serio sciopero generale contro il governo! E che come prima voce da tagliare indichi le spese militari: tutte, dagli F35 alle imprese umanitarie o di polizia internazionale in paesi lontani. (a.m. 14/9/14)

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Redipuglia, «il papa si ricordi dei disertori»

da “il manifesto”e Luca Kocci

13 settembre 2014

I disertori e gli obiettori di coscienza che hanno rifiutato gli ordini dei generali di uccidere e distruggere sono stati i veri eroi della prima guerra mondiale. Il papa si ricordi di loro e li nomini «esplicitamente». Chiedono anche questo a Francesco, che stamattina sarà in visita al sacrario militare di Redipuglia per il centenario dell’inizio della grande guerra, 11 preti “di frontiera” del nordest – fra cui Albino Bizzotto dei Beati i costruttori di pace e Pierluigi di Piazza del Centro Balducci di Zugliano (Ud) – in una lettera aperta indirizzata al pontefice. «Migliaia e migliaia di soldati sono stati processati e uccisi perché si sono rifiutati di obbedire a comandi contro l’umanità – si legge nel testo divulgato ieri sera dall’agenzia Adista –. Sono stati a lungo bollati come vigliacchi e disertori, per noi sono profetici testimoni di umanità e di pace, meritano di essere esplicitamente ricordati nella celebrazione della memoria».

Chissà se papa Francesco lo farà. Sicuramente però il sacrario di Redipuglia non invita alla valorizzazione di quanto scriveva don Lorenzo Milani 50 anni fa – «l’obbedienza non è più una virtù ma la più subdola delle tentazioni» –, quanto piuttosto all’esaltazione del sacrificio eroico e dell’obbedienza cieca. Voluto espressamente da Mussolini, a cui non piaceva il precedente cimitero militare del 1923 – «un grande deposito di ferrovecchio», lo avrebbe definito il duce –, il sacrario di Redipuglia fu inaugurato il 18 settembre 1938, lo stesso giorno in cui a Trieste venivano proclamate le leggi razziali. Rispondeva pienamente al piano del regime di sacralizzare e fascistizzare la memoria della prima guerra mondiale, come dimostra visibilmente la parola «Presente» – ad imitazione del rito dell’appello durante le commemorazioni dei fascisti morti – ossessivamente scolpita sui 22 gradoni di marmo bianco sotto i quali sono tumulati oltre 100mila soldati, di cui 60mila ignoti.

La visita, interamente gestita dall’ordinariato castrense che l’ha fortemente militarizzata, comincerà questa mattina alle 9 quando il papa atterrerà all’aeroporto di Ronchi dei Legionari – accolto dal ministro della Difesa Roberta Pinotti e dal presidente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani – e si recherà al cimitero austro-ungarico di Fogliano. Poi, a Redipuglia, la messa solenne al sacrario militare, al termine della quale sarà recitata una preghiera per i caduti e le vittime di tutte le guerre e ai vescovi verrà consegnata una lampada da accendere nelle loro diocesi durante le commemorazioni della prima guerra mondiale. Alle 13 sarà di nuovo in Vaticano.

Il ruolo e le responsabilità dei cristiani restano sullo sfondo ma sono importanti, e le rimettono al centro dell’attenzione gli 11 preti del nordest. «La prima guerra mondiale – scrivono – ha visto contrapporsi persone che professavano la stessa fede. Preti cattolici benedivano le armi italiane invocando la protezione delle pallottole, affinché colpissero l’avversario; preti cattolici benedivano i cannoni austro-ungarici con le stesse parole, vescovi dell’una e dell’altra parte invitavano i fedeli a Te Deum di ringraziamento per le stragi perpetuate dai propri eserciti nei confronti degli avversari». Il generale Cadorna «si dichiarava profondamente cattolico, cercava di andare a messa ogni giorno e poi spediva al massacro il fior fiore della gioventù, ordinando la fucilazione senza pietà di chi si rifiutava di obbedire a ordini disumani».

Più che celebrare si tratta allora fare memoria di «un’intera generazione di giovani mandati al massacro nella guerra di trincea». E soprattutto di rilanciare le battaglie per la pace e il disarmo di oggi, in un tempo in cui gli Stati ritengono e usano la guerra come strumento ordinario della politica e della risoluzione delle crisi internazionali – anche quelle di queste settimane – e chi fugge da povertà e guerre è respinto con violenza. Anzi, denunciano i preti, «spesso sono proprio coloro che frequentano le chiese a sostenere la necessità di una linea di durezza e non accoglienza in nome di un presunto egoistico diritto alla sicurezza» e «a fomentare l’incomprensione tra le religioni, lasciandosi trascinare in pregiudizi dettati da indebite e ignoranti generalizzazioni».

Luca Kocci