Su Cuba si discute

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Su Cuba si discute

Ho ricevuto vari commenti sul mio pezzetto su Orlando Zapata Tamayo, con mia sorpresa prevalentemente positivi (e li ometto). Voglio comunque segnalare un dibattito che si è aperto sul sito di Gennaro Carotenuto, http://www.gennarocarotenuto.it, e un contributo di Roberto Massari, che riporto subito dopo.

di Raffaele Della Rosa, venerdì 26 febbraio 2010, 06:49

Non mi sono preso la briga di procurarmi una approfondita documentazione sulle idee politiche di cui era partigiano Orlando Zapata Tamayo, il dissidente cubano morto in carcere dopo più di 70 giorni di scioperio della fame. Chiedeva di essere considerato un prigioniero politico.

So che Amnesty International lo aveva adottato, e questo, fino a prova contraria, credo possa essere considerato sufficiente.
Mi vengono alcune considerazioni amare, molto amare.
Cuba, è sì una dittatura, uno stato di emergenza a vita, (con la attiva collaborazione di un certo vicino del nord) possiamo ormai dirlo, ma CERTAMENTE non è (tanto per non citare sempre i soliti Pinochet e kamerati varii) né l’Egitto, né il Marocco, né la Tunisia ecc. ecc., tanto per parlare di casi osceni molto vicini a noi.
Democrazie, per definizione, dato che sono amiche dell’Occidente.
Là non credo che a un leader della dissidenza sarebbe stata data la possibilità di parlare con giornalisti stranieri per denunciare l’assassinio di un prigioniero politico, come ha potuto fare il cubano Elizardo Sanchez.
Eppure in queste “democrazie” le torture (e le sparizioni) sono all’ordine del giorno, mentre a Cuba, come testimonia lo stesso Sanchez, si ricorda un solo altro caso simile, nel 1972.
A Cuba però si può essere condannati a 36 anni per aver criticato il governo.
E’ accettabile questo ?
E’ accettabile che un regime che dirige il paese da 51 anni non riesca a gestire il pericolo rappresentato dalla critica di un muratore dissidente, sicuramente dotato di notevole spina dorsale, in altro modo che obbligandolo al martirio ?

E’ pensabile che non vi sia una leadership dotata di capacità negoziali tali da garantire insieme flessibilità e controllo in momenti in cui la “rifondazione” della 4 Flotta USA, quella del Caribe, non lascia presagire nulla di buono per i movimenti democratici e progressisti di quella parte del mondo?
E come vedete non metto in primo piano il tema “così si regalano argomenti e pretesti agli amici dell’ imperialismo per denigrare la Rivoluzione Cubana.”
Infatti non si tratta di questo ma della libertà di critica al potere, le cui forme ed i cui confini non possono venire stabilite unicamente e solamente da chi questo potere detiene.
Ovvero si può fare, tanto è vero che lo fanno ma……

Quando questo succede, come è il caso di Cuba, si apre, prima e si approfondisce poi, un fossato tra il paese ed i suoi governanti.
“Ma vai a vedere come e quanto il popolo sia a fianco del governo, anzi quanto il governo sia tutt’uno con il proprio popolo e poi parla !!!” mi hanno detto più volte persone che si reputano sincere amiche della Rivoluzione Cubana.
Si tratterebbe quindi di rompicoglioni isolati ?
E questi rompicoglioni isolati costituiscono un problema tale da risolvere con condanne a 36 anni in carceri di rigore ???
Ma davvero vogliamo scherzare ??
I Posada Carriles e quelli come lui che la CIA, nel corso degli anni, ha inviato a Cuba a mettere bombe o ad infettare, con agenti batterici e virali vari, non scendono in strada a dar volantini. Agiscono nell’ombra, e nell’ombra spariscono. Non fanno scioperi della fame. Anzi nell’ ombra organizzano azioni di sabotaggio perchè si abbiano carestie.
Confondere il dissenso politico o anche la semplice critica, fosse la più becera ed infondata, con il terrorismo, il sabotaggio e la controrivoluzione, ha fatto sprofondare la fu Unione Sovietica dal breznevismo al putinismo.
E’ questo che augurano a Cuba quelli che urlano a pieni polmoni che comunque, fino ad ora, Fidel ha SEMPRE avuto ragione ? E non gli viene neppure il più piccolo dubbio che nell’ Accademia della Sicurezza dello Stato si sia già diplomato il Putin cubano ?


Segue sul sito di Gennaro Carotenuto, http://www.gennarocarotenuto.it questo intervento molto diverso:

Dopo aver pubblicato ieri il pezzo critico di Raffaele della Rosa, pubblichiamo anche il punto di vista di Alessandra Riccio, codirettrice di Latinoamerica (gc).

Dicono che Orlando Zapata era fondatore del partito Alternativa Repubblicana ma non sappiamo di questo partito né i programmi né la consistenza. Dicono che era un prigioniero politico ma sappiamo che dal luglio del 1990 entrava e usciva dalla galera con le accuse di possedere armi bianche, due volte per truffa, per esibizionismo, per disordine pubblico e resistenza, due indiscipline che ha continuato a praticare nel carcere.

Nel 2001 era in libertà e come libero cittadino aveva deciso di associarsi ai gruppi di dissenso contro il governo. Nel 2003 torna in prigione, probabilmente come uno dei più di cinquanta dissidenti il cui arresto ha suscitato molto scalpore anche in Europa, motivando sanzioni e prese di distanza. Fatto sta che quel giovane muratore è diventato un “prigioniero politico” per gli avversari del governo cubano che invece lo ha considerato piuttosto un delinquente comune che dava continui grattacapi. La sua condanna iniziale a tre anni era cresciuta in successivi processi fino a 25 anni  per azioni  violente e aggressione a funzionari penitenziari.
Il 18 dicembre del 2009, Zapata aveva iniziato uno sciopero della fame perché non venivano esaudite le sue richieste di avere in cella una cucina e un telefono personale. Pareva ossessionato dal problema del cibo e mangiavo solo quello che gli portava la sua famiglia.
Ostinato nel proseguire il suo sciopero della fame, non risulta che i suoi compagni di lotta, i gruppi dissidenti, i simpatizzanti che dai luoghi dell’ esilio tifavano per lui abbiano cercato di farlo desistere per lo meno quando la situazione si stava protraendo oltre il possibile. In altre occasioni, lo sciopero della fame di alcune teste più visibili del dissenso era stato interrotto a tempo. I giorni della sua agonia Orlando li ha passati nell’infermeria del carcere, poi nell’Ospedale Provinciale di Camagüey e alla fine nell’Ospedale Nazionale per Reclusi dell’Avana sempre sotto la sorveglianza del medici che gli hanno praticato le terapie di alimentazione forzata; una sopraggiunta polmonite bilaterale ha posto fine a quell’agonia.
Sua madre lo ha potuto accompagnare e non ha negato che al figlio siano state prestate tutte le cure necessarie; d’altra parte, appena qualche mese prima Zapata era stato operato di un tumore al cervello. Ma adesso c’è chi si scaglia anche contro i medici cubani, accusandoli di aver servito i tenebrosi disegno dei fratelli Castro, ormai descritti come dei consumati torturatori sempre pronti alle peggiori abiezioni.

La morte di Zapata, disgraziatamente coincide con la Presidenza Spagnola alla Comunità Europea e con il lavoro paziente del Ministro degli Esteri Moratinos, per convincere il parlamento europeo a normalizzare i rapporti con Cuba dopo quell’infausto 2003. Questa coincidenza ha scatenato negli ambienti ostili al governo cubano una cieca indignazione che gonfia i dati, tace i dettagli, esagera nelle accuse e dà per scontato che a Cuba si pratichino morti extragiudiziarie, si torturi e si violino i diritti dei detenuti.

Yoani Sánchez ha avuto la tribuna d’onore sul quotidiano spagnolo “El País”, in assoluto il giornale che ha preso più a cuore la morte di Zapata. In una Tribuna veemente, la blogger più famosa del mondo si indigna –fra gli altri infiniti orrori del mondo castrista- che al povero Zapata fossero state vietate le visite dei familiari. Da dodici anni due dei Cinque prigionieri politici detenuti nelle carceri statunitensi non possono ricevere la visita delle loro mogli perché il dipartimento di Stato teme che possano rappresentare un pericolo per il paese.

Sulla tomba di Orlando Zapata, invece della pietà, si è voluto scatenare la bagarre utilitaristica, facendo di quel muratore indisciplinato e ribelle uno strumento di macabra utilità nella pur legittima battaglia che ciascuno ha il dovere di condurre per affermare le proprie idee.

http://www.giannimina-latinoamerica.it/taccuino/535-orlando-zapata

Raffaele Della Rosa | 27 febbraio 2010 19:52 |

Orlando Zapata Tamayo, “muratore indisciplinatio e ribelle”

Bello, forse chi lo ha scritto non gli attribuisce il senso che gli attribuisco io.

Ma se il mio cervello sapesse guidare le mie mani per far bene il muratore, anche a me piacerebbe avere sulla tomba, un epitaffio simile.

INDISCIPLINATO E RIBELLE. SISSIGNORI, se meritato, mi piacerebbe DAVVERO !!!!!!!

 

lembo11 | 28 febbraio 2010 09:49

Cuba è nel cuore di tanti di noi, non merita di essere giustificata per la morte di Orlando Zapata con le argomentazioni usate da Alessandra Riccio

…arrestato per disordine pubblico e resistenza, due indiscipline che ha continuato a praticare nel carcere…quel muratore indisciplinato e ribelle…

Dopo averlo letto, sono andato a rivedere chi l’aveva scritto, sperando in una cattiva traduzione in italiano. Niente da fare. Non basterebbe l’intero territorio di Cuba per contenere le tombe con l’epitaffio indisciplinato e ribelle, e accanto a quella di Raffaele ci sarebbe anche quella del Che.

 

Antonio Moscato | 28 febbraio 2010 17:18 |

Ho apprezzato l’intervento di Raffaele Della Rosa, di cui ho condiviso soprattutto la conclusione.

Mi ha rattristato invece l’intervento di Alessandra Riccio. La conosco bene, mi ha insegnato molte cose quando era a Cuba, parlando senza le reticenze di quando scriveva, e aiutandomi ad avere gli occhi aperti.

Quello che mi ha turbato è stato vedere che oggi usa gli stessi argomenti che mi sono arrivati da diverse parti del mondo, da parte di quelli che non accettano critiche fraterne a Cuba. I suoi commenti sembrano ricavati dalle veline delle ambasciate, che non hanno pudore a insistere nel presentare come Orlando come “muratore indisciplinato e ribelle”, che “entrava e usciva dalla galera con le accuse di possedere armi bianche, due volte per truffa, per esibizionismo, per disordine pubblico e resistenza, due indiscipline che ha continuato a praticare nel carcere”.

Viva la disciplina! Una volta il movimento operaio capiva e spiegava l’eventuale “delinquenza” con le circostanze sociali, ora si presenta come una colpa l’essere indisciplinato!

A Cuba ho visto più volte nelle stazioni di polizia le foto dei ricercati: al 95% sono neri. E quando ho chiesto come mai, mi hanno detto: i neri sono predisposti… Non a caso, sotto l’influenza sovietica, a Cuba è stato esaltato Lombroso…

E’ possibile che si sorvoli sul fatto che, qualunque sia stato il suo passato, Orlando Zapata Tamayo aveva imboccato la strada di una lotta in cui ha messo in gioco la sua vita?

Si dà per scontato che gli oppositori siano tutti controrivoluzionari: la maggior parte non lo sono affatto, ma lo diventeranno, se la sinistra continuerà a considerare un crimine proporsi di avere un sistema elettorale diverso da quello che ha impedito all’URSS e ai paesi organizzati sul suo modello di salvarsi, illudendosi con risultati fittizi.

E questo che mi preoccupa e su cui ho scritto in più occasioni, come si può vedere sul mio sito

( https://antoniomoscato.altervista.org/ ) digitando il link Cuba…

 

A CHI PUO’ INTERESSARE    Una dichiarazione di Roberto Massari

 

Sento il dovere di esprimere una mia valutazione sul recente tragico fatto accaduto a Cuba, ritenendo che un mio silenzio al riguardo sarebbe ipocrita e disonesto.

Orlando Zapata Tamayo, operaio edile (idraulico) di 42 anni, di povere origini e di pelle nera, è morto martedì 23 febbraio, al termine di un lungo sciopero della fame iniziato 85 giorni prima. Il ricovero in ospedale negli ultimi giorni non è riuscito a salvarlo e, del resto, i patimenti subiti in carcere avevano da tempo minato le sue condizioni fisiche.

Raul Castro si è limitato ad esprimere il proprio dispiacere (senza alcun cenno di voler punire i responsabili di questo assassinio) e ha attribuito la responsabilità morale del decesso alla guerra che fanno gli Usa contro Cuba. Inutile aggiungere che in tutto il mondo (da vari ambienti politici, di destra e di "sinistra") sono fioccate le proteste per questo ingiustificabile crimine dello Stato cubano.

Per completare l’informazione devo aggiungere quello che a me pare, nella gravità della vicenda, l’aspetto ancor più grave e che riguarda il meccanismo infernale per cui un’iniziale "breve" condanna per ragioni politiche è stata trasformata in una condanna all’ergastolo. Mi spiego.

Dopo la morte, le autorità cubane hanno diramato una scheda sul detenuto, definendolo un delinquente comune, già colpevole di vari crimini. La verità, però, è tutt’altra: Orlando Zapata era stato arrestato a maggio del 2003, nella retata che portò in carcere circa 75 dissidenti e della quale molto si parlò (e si continua a parlare) sui giornali e da allora. Era stato condannato a tre anni per "disobbedienza" (e quindi è falso il tentativo di far di lui un delinquente comune: magari lo sarà stato in precedenza, ma l’arresto del 2003 fu politico) e, stando in carcere, la sua condanna è stata però via via aumentata, fino ad arrivare a 36 anni (che, vista la sua età, equivale all’ergastolo). Ricordo che nell’epoca peggiore del Gulag, in Urss si usava raddoppiare la cosiddetta "piatnica" (cioè di 5 anni in 5 anni). In questo modo il nostro caro Dante Corneli se ne fece 20, proprio col sistema dei raddoppi. Qua siamo però alla follia: da 3 si arriva a 36 moltiplicando per 12, con aggravi di reato tutti determinati dal comportamento ribelle di Zapata in carcere. E questa carica ribelle me lo rende certamente molto più umano e simpatico dei suoi carcerieri. Avendo voglia di scherzare, si potrebbe dire che questa sua continua volontà d’insubordinazione lo rende un po’ più in sintonia col cognome che portava.

Ma tornando alla tragicità dell’evento – e vista la campagna di denigrazione organizzata dalle autorità cubane, ma visto anche che di Orlando Zapata si parlerà a lungo nei prossimi anni, essendo sicuramente destinato a diventare un simbolo (un po’ come Jan Palach in Cecoslovacchia) – vorrei stabilire un criterio fermo da adottare in questi casi: falsificare e mentire sullo status di un prigioniero è cosa facile (e ignobile), come dimostrò per decenni la burocrazia stalinista con i suoi milioni di persone recluse con false accuse o senza accuse di sorta. Orbene, avendo invece Amnesty International dichiarato che Orlando Zapata è un "prigioniero di coscienza" (seguendo probabilmente la definizione che fu adottata dopo la Seconda guerra mondiale, col trattato di Helsinki), io non posso non crederle e non accettare questa definizione.

Mi spiego. Non avendo io gli strumenti per stabilire se sia vero o no ciò che affermano le autorità cubane (o in altri casi di aguzzini in altri paesi), devo adottare un criterio che sia sempre valido. E quindi, se accetto in genere le denunce di Amnesty International, non posso non accettarla anche in questo caso. Insomma, non posso avere una doppia moralità nemmeno a questo riguardo, come fa invece parte della ex estrema sinistra: per la quale, quando Amnesty denuncia l’illegalità nei confronti dei palestinesi, dei kurdi, dei prigionieri di Guantanamo, va tutto bene; quando denuncia le illegalità compiute da forze considerate a torto o ragione come "progressiste", non va più bene e la denuncia non è più attendibile. A un organismo come Amnesty o si dichiara di credere sempre o mai. Non si può fare anche in questo caso il proprio sciocco tornaconto politico, perché ciò significherebbe togliere efficacia anche alle denunce provenienti da Amnesty che più ci stanno a cuore e che ci aiutano a difendere tante vittime della repressione politica. In conclusione, un prigioniero torturato o violato nei suoi diritti, va sempre e comunque difeso, indipendentemente dalla sua collocazione ideologica. L’essere umano che è in lui, la sua dignità umana, ci deve stare a cuore più delle sue idee.

Ferma restando quindi la mia condanna senza se e senza ma del crimine compiuto nei confronti di Orlando Zapata, così barbaro nella forma e così ingiustificabile nella sostanza, non posso dimenticare che il ricorso dello Stato cubano a pratiche repressive nei confronti di suoi cittadini che si schierano all’opposizione è niente se paragonato a ciò che fanno gli Usa a Guantanamo, o le forze di polizia dei Paesi membri della Nato nei vari carceri speciali, segreti o non più tali sparsi per il mondo, di cui è piena la cronaca quotidiana e di cui avemmo le tristemente celebri prove di torture dal carcere di Abu Ghraib (si veda il libro di Mauro Pasquinelli da me pubblicato nel 2004: "Torture made in Usa"). Se ci mettessimo qui a elencare le violazioni dei diritti umani che vengono compiuti in tutto il mondo (Russia compresa, per non parlare della ferocia dello Stato cinese) Cuba non la troveremmo di certo ai primi posti. Per me, però, è inaccettabile anche il semplice fatto che si sia costretti a includere Cuba in tale lista, vista le premesse democratiche su cui si sviluppò la Rivoluzione, per giunta a più di 50 anni dal trionfo della guerriglia castrista, senza che sia intervenuto da allora il benché minimo cambio di governo o di personale politico: quindi con una solidità istituzionale a prova di bomba – è il caso di dirlo, memori della crisi dei missili del ’62.

[…]

Il testo è molto più lungo, ma la seconda parte, anche se interessante, non è centrata esclusivamente su questa ultima vicenda, e aprirebbe quindi discussioni su altri aspetti. Può essere richiesta naturalmente scrivendo a Roberto Massari ([email protected])